“Salva Italia”, ok, ma “L’Italia sono anch’io”

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Forse un filino demagogico, ma certamente semplice e d’immediato impatto, il titolo “Salva Italia” per il decreto economico di questi giorni dimostra una sapienza di marketing che forse non ci saremmo aspettati da “tecnici”, sia pure blasonati. Ma quale Italia vogliamo salvare? I tragici fatti di questi ultimi due giorni, con il rogo “per errore” del Campo Rom a Torino e la “caccia al negro” di Firenze mi hanno profondamente colpito e mi convincono sempre di più che l’Italia che dobbiamo salvare è quella di tutti, italiani e “nuovi italiani”, quella del Talento, della Tecnologia e della Tolleranza (R.Florida 2002) con un grande accento su quest’ultima. L’Italia che vorrei salvare è un’Italia accogliente, un’Italia intorno a cui si stringono tutti i cittadini, nuovi o vecchi che siano, un’Italia che, come ha sottolineato il Presidente Napolitano, accolga come italiani tutti i “nuovi cittadini” che sono nati sul suolo italiano e che dimostrano la volontà di far parte della nostra comunità. Ed è proprio con questo obiettivo che nasce l’iniziativa L’Italia sono anch’io promossa dal Presidente dell’Anci e Sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, insieme a molte associazioni del Terzo Settore, che voglio brevemente segnalarvi in questo editoriale.

14 Dicembre 2011

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

Forse un filino demagogico, ma certamente semplice e d’immediato impatto, il titolo “Salva Italia” per il decreto economico di questi giorni dimostra una sapienza di marketing che forse non ci saremmo aspettati da “tecnici”, sia pure blasonati. Ma quale Italia vogliamo salvare? I tragici fatti di questi ultimi due giorni, con il rogo “per errore” del Campo Rom a Torino e la “caccia al negro” di Firenze mi hanno profondamente colpito e mi convincono sempre di più che l’Italia che dobbiamo salvare è quella di tutti, italiani e “nuovi italiani”, quella del Talento, della Tecnologia e della Tolleranza (R.Florida 2002) con un grande accento su quest’ultima.

L’Italia che vorrei salvare è un’Italia accogliente, un’Italia intorno a cui si stringono tutti i cittadini, nuovi o vecchi che siano, un’Italia che, come ha sottolineato il Presidente Napolitano, accolga come italiani tutti i “nuovi cittadini” che sono nati sul suolo italiano e che dimostrano la volontà di far parte della nostra comunità. Ed è proprio con questo obiettivo che nasce l’iniziativa L’Italia sono anch’io promossa dal Presidente dell’Anci e Sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, insieme a molte associazioni del Terzo Settore, che voglio brevemente segnalarvi in questo editoriale.

“L’Italia sono anch’io” è un movimento di opinione e insieme una campagna per i diritti di cittadinanza. Il primo obiettivo della campagna è avviare un confronto e un dibattito sul tema della cittadinanza, dei diritti e dei doveri nelle città e in Italia e di riflettere sulle proposte di riforma della legge vigente. La campagna si prefigge di raccogliere 50.000 firme per ciascuna delle due proposte di legge di iniziativa popolare perché il Parlamento ne possa discutere. Le due proposte riguardano le nuove procedure per il diritto di cittadinanza italiana e il diritto di voto per gli stranieri alle elezioni amministrative.
I punti salienti delle proposte prevedono l’acquisizione della cittadinanza italiana per:

  • tutti/e i/le bambini/e nati/e in Italia, da genitori regolari;
  • i minori arrivati in Italia entro il 10° anno di età;
  • i minori che frequentano un ciclo di studi;
  • gli stranieri adulti dopo 5 anni di soggiorno regolare in Italia.

La cittadinanza viene proposta al Presidente della Repubblica dal Sindaco del comune di residenza (e non dal Ministro degli Interni).
Inoltre si propone il diritto di voto amministrativo per le elezioni comunali, provinciali e regionali per gli stranieri legalmente soggiornanti in Italia da 5 anni.

So che la discussione su questi temi è calda e le opinioni sono diverse, ma credo che sia necessario non eludere il dibattito e anzi approfittare della crisi per aumentare in ogni modo tutte le attività che sono tese alla crescita della coesione e del “capitale sociale”.

Come ho più volte sostenuto non usciremo dalla crisi senza “innovazione empatica” e senza uno sviluppo dei beni relazionali. Non si tratta solo di un afflato morale, pur esso importante, ma di solide ragioni economiche che partono da constatazioni oggettive. I Paesi accoglienti, i Paesi tolleranti, i Paesi che sono in grado di accogliere nuove intelligenze e nuove forze crescono di più, diversificano i loro prodotti, non escono dal circuito internazionale dell’innovazione.

Insomma non è solo il disgusto per il razzismo che nuovamente e tragicamente emerge nelle nostre società spaventate che ci deve muovere, ma anche un progetto, una visione del Paese che vogliamo.

Mentre vi scrivo sono al Politecnico di Torino, nella Convention dell’Italia degli Innovatori, dove le piccole e medie imprese innovative italiane si confrontano in un panorama internazionale. Da questo punto di vista, mentre parlano i rappresentanti stranieri dell’innovazione (Cina Russia, Brasile), pensare alla tragedia di ieri a Firenze è ancora più imbarazzante. Non è solo atroce nella sua disumana stupidità, ma è anche totalmente fuori tempo e completamente assurda per chiunque abbia veramente a cuore la crescita del paese (non solo del suo PIL, ma del suo Benessere Equo e Sostenibile).

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