Il peso dello smart working sulla sostenibilità urbana: cosa ci racconta l’indagine ENEA

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Come ha dimostrato questo periodo di emergenza sanitaria, la diffusione dello smart working potrebbe avere un impatto davvero rilevante sulle politiche urbane e sulla mobilità. Ne abbiamo parlato con Marina Penna, una delle ricercatrici ENEA che ha curato l’indagine, appena diffusa, “Il tempo dello Smart Working. La PA tra conciliazione, valorizzazione del lavoro e dell’ambiente”

8 Maggio 2020

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Michela Stentella

Content Manager FPA

Photo by Nabeel Syed on Unsplash - https://unsplash.com/photos/Jk3-Uhdwjcs

Le politiche urbane, in particolare quelle legate alla mobilità, hanno bisogno di un ripensamento radicale se si vuole incidere davvero sulla riduzione delle emissioni inquinanti a livello globale, oltre che sul miglioramento generale del livello di vivibilità nelle nostre città. Ma agire solo attraverso misure tecniche (come l’aumento del trasporto pubblico, la promozione di sistemi di mobilità sostenibile, gli incentivi per la micromobilità) evidentemente non è sufficiente, bisogna intervenire anche sulle cause, quindi sulla domanda di mobilità. In questo la diffusione dello smart working potrebbe avere un peso davvero rilevante, come ha dimostrato questo periodo di emergenza sanitaria, che ha portato a misure drastiche di contenimento negli spostamenti e all’introduzione, dove possibile, del lavoro a distanza per i dipendenti pubblici e privati. I numeri indicano una riduzione del 35% nelle emissioni di CO2 nel periodo di lockdown rispetto a un periodo di normale attività, i 3/4 di questa riduzione sono attribuiti alla contrazione del settore dei trasporti e si stimano 20 milioni di tonnellate di CO2 in meno rispetto al 2019 (fonte Rapporto Italy for climate).

È sufficiente questo per suggerirci che, probabilmente, dovremmo spostare il punto di vista e che, anche nei periodi in cui non sono necessarie misure restrittive, spostarsi (per lavorare) spesso non sarebbe necessario? E’ una riflessione che emerge con forza da una recente indagine diffusa da ENEA (l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) da titolo “Il tempo dello Smart Working. La PA tra conciliazione, valorizzazione del lavoro e dell’ambiente”, la prima indagine nazionale su lavoro agile e telelavoro nel settore pubblico. L’indagine ha coinvolto oltre 5.500 persone di 29 amministrazioni pubbliche che, già prima dell’emergenza Coronavirus (tra il 2015 e il 2018), avevano attivato queste forme di lavoro a distanza e chiama in causa tutti gli ambiti coinvolti da questa trasformazione in atto: qualità del lavoro, innovazione organizzativa, conciliazione lavoro-famiglia, benessere organizzativo e valorizzazione delle persone, sviluppo sostenibile delle città.

“Con questa indagine – sottolinea Marina Penna, una delle ricercatrici ENEA che ha curato la ricerca – abbiamo voluto cogliere la transizione dal telelavoro al lavoro agile, la percezione, sia da parte delle amministrazioni che delle persone, di questo passaggio da un sistema un po’ residuale, che veniva spesso associato a lavoratori di “serie B”, all’idea di una PA in grado di rinnovarsi anche attraverso una diversa organizzazione del lavoro. Quello che era inizialmente un fenomeno di nicchia, perché considerato solo una risposta ad esigenze di conciliazione vita-lavoro, è diventato un modello di riferimento e di organizzazione innovativa, una possibilità di crescita della PA e si apre a un numero di persone potenzialmente molto alto”.

Tornando all’impatto sulle politiche urbane e sulla mobilità, Penna sottolinea: “I motivi che oggi ci portano al lavoro tutti i giorni spesso rispondono non a una reale necessità, ma a modelli di pensiero e a regole superate. Se tante persone, perché c’è una convenienza effettiva, fanno una scelta alternativa allora gli equilibri cambiano grazie alla minore domanda di mobilità. Oggi ci sono i presupposti e le condizioni per passare da politiche settoriali a politiche integrate. Le amministrazioni e i privati sono pronti, è una direzione aperta anche se ovviamente va migliorata. Alla luce della situazione attuale, possiamo rileggere questo studio nell’ottica di una revisione delle politiche urbane che superi la fase di emergenza e si proietti, a regime, nel post pandemia”.

Dallo studio emerge, in particolare, che lo smart working ha ridotto la mobilità quotidiana del campione esaminato di circa un’ora e mezza in media a persona, per un totale di 46 milioni di km evitati, pari a un risparmio di 4 milioni di euro di mancato acquisto di carburante, modificando anche la loro qualità di vita e di lavoro. Si tratta di un dato di rilievo, tenuto conto che secondo l’INRIX 2018 Global Traffic Scorecard una città ad alta presenza di lavoratori della PA come Roma, dove lavorano 400mila persone tra ministeri e amministrazioni centrali e locali, è la seconda al mondo per ore trascorse in auto, il doppio di New York, il 12% in più di Londra, il 70% in più di Berlino, il 95% in più di Madrid. Da qui il duplice beneficio di tempo personale ‘liberato’ e di traffico urbano evitato, con un taglio di emissioni e inquinanti che ENEA stima in 8mila tonnellate di CO2, 1,75 t di PM10 e 17,9 t di ossidi di azoto.

Questi dati confermano, quindi, quanto siano necessarie policy urbane integrate per garantire la sostenibilità urbana, a partire da una maggiore flessibilità nella scelta dei luoghi e dei tempi di lavoro.

Investire su questo significa, poi, essere pronti a rispondere in situazioni di emergenza o necessità (che possono essere semplicemente uno sciopero che blocca i trasporti, o un evento meteo estremo) aumentando il ricorso al lavoro agile, ma avendo già un’esperienza alle spalle e una solida rete sul territorio, fatta di imprese e amministrazioni che hanno trovato in questa nuova forma organizzativa una risposta alle proprie esigenze.

“In questo momento in cui si apre la Fase 2 dell’emergenza – conclude Penna – lo “smart working” va mantenuto e potenziato. Il rischio, altrimenti, è un massiccio ricorso al mezzo privato, con un incremento notevole del consumo di carburanti e dei relativi costi, nonché ovviamente sulle emissioni. Opportunamente governato a livello territoriale, invece, il ricorso allo smart working consentirebbe di modulare la domanda di spostamenti casa-lavoro in modo coordinato con la programmazione del trasporto pubblico locale, operazione particolarmente utile nella fase 2, in cui dovremo trovare gli adattamenti per convivere con il coronavirus”.

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