Un’amministrazione forte per il tempo dell’incertezza

Home Riforma PA Un’amministrazione forte per il tempo dell’incertezza

Molti sono i provvedimenti fortemente innovativi che hanno visto la luce nel 2022 per rafforzare le amministrazioni, ma tutti si trovano, a fine anno, nella delicata fase che spinge la nuova norma dalla sfera dell’innovazione a quella dell’adempimento. Tra questi sono da segnalare i nuovi contratti, le norme sulla semplificazione, la riforma dei concorsi. In questa condizione di incertezza il ruolo della pubblica amministrazione appare sempre più determinante

27 Gennaio 2023

Carlo Mochi Sismondi

Presidente FPA

Foto di Anika Huizinga su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/RmzR87vTiYw

Questo articolo è tratto dall’Annual Report 2022 di FPA (disponibile online gratuitamente, previa registrazione)

L’anno appena trascorso ha segnato una profonda discontinuità nel travagliato periodo che ha visto prima la pandemia e poi la graduale, ma fragile, uscita da questa crisi planetaria. Siamo infatti passati in breve tempo da un’aspettativa tutto sommato ottimistica di ripresa, giustificata anche da una robusta crescita del PIL e dalla prospettiva di sviluppo dipendente dall’avvio degli investimenti e delle riforme legate al PNRR, a un brusco risveglio causato da ripetuti e successivi shock. Molti elementi hanno portato nel 2022 a un drastico calo del clima di fiducia dei consumatori e delle imprese, che ha cominciato a riprendersi solo nelle ultime settimane dell’anno: l’inflazione crescente e il costo dell’energia, che si è presentato già grave nelle prime settimane dell’anno; la successiva terribile crisi internazionale provocata dall’aggressione della Federazione russa all’Ucraina, con le inevitabili conseguenze sugli approvvigionamenti e sugli equilibri economici che hanno portato, tra l’altro, a un ridimensionamento importante della domanda estera; infine il termine anticipato della diciottesima legislatura, con una conseguente instabilità che si è protratta sino all’autunno.

L’incertezza è quindi divenuta la caratteristica fondamentale di questo anno e anche del passaggio dal 2022 al 2023. Un’incertezza che trova fondamento in segnali a volte contraddittori. Nonostante la crisi, il prodotto interno lordo nel 2022 è cresciuto infatti oltre le aspettative, com’era stato peraltro anche nel 2021, e l’incremento atteso è del 3,9% con un miglioramento di ben 1,1 punti percentuali rispetto alle stime Istat di giugno. La diciottesima legislatura e il Governo Draghi hanno realizzato importanti riforme e hanno raggiunto tutti gli obiettivi previsti dal PNRR per il primo semestre, risultato poi confermato dal raggiungimento di quelli relativi alla fine dell’anno da parte del neonato Governo Meloni. Settori significativi della nostra economia, come ad esempio il turismo e la moda, hanno segnato nuovi record nel 2022 e guardano con crescente fiducia ai prossimi anni.

A fronte di questi dati positivi, l’Istat stima però un tasso di crescita del PIL per il 2023 ben più basso, pari allo 0,4%, quindi intravede un paese a forte rischio di stagnazione. L’inflazione continua a mordere in Italia, mostrandosi la più alta in Europa. Il Rapporto Censis ci ricorda che le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni, cioè 5,6 milioni di persone e che, di queste, il 44,1% risiede nel Mezzogiorno. La dispersione scolastica è arrivata nel Sud al 16,6% rispetto a una media europea del 9,7%. La percentuale dei laureati in Italia è la metà della media europea e i NEET, i giovani che non studiano e non lavorano, sono il 23,1% dei 15-29enni, a fronte di una media UE del 13,1%. Ma nelle Regioni del Mezzogiorno l’incidenza sale al 32,2%. E dire che il 2022 era l’Anno Europeo dedicato proprio ai giovani.

In questa condizione di incertezza, che ci accomuna nel passaggio d’anno, il ruolo della amministrazione pubblica appare sempre più determinante. Gli impegni del PNRR, che nel 2023 saranno molto più stringenti e complessi che nell’anno passato e che dovranno vedere la partenza effettiva dei cantieri; l’attuazione delle tante riforme che sono state varate nel 2022, facendo sì che cambino effettivamente i comportamenti delle unità operative; l’effettiva partenza di un rafforzamento del pubblico impiego, con l’introduzione di giovani e nuove professionalità; una necessaria revisione della spesa, che sia capace però di individuare i veri sprechi, evitando tagli lineari: sono solo le principali tra le sfide che il settore pubblico si troverà ad affrontare.

La pubblica amministrazione italiana non arriva del tutto impreparata a questo appuntamento. Il Governo Draghi ha infatti completato, in molte aree, anche se, come vedremo, non in tutte, un’efficace struttura normativa che rende possibile un effettivo cambiamento nelle organizzazioni. Un grande lavoro quello realizzato dal Ministro pro tempore della PA Renato Brunetta, che però non ha ancora, nell’anno appena trascorso, dato i suoi frutti e che quindi aspetta di essere messo alla prova dei fatti.

Come mettiamo in evidenza nel primo capitolo di questo volume, molti sono infatti i provvedimenti fortemente innovativi che hanno visto la luce nel 2022 per rafforzare le amministrazioni, ma tutti però si trovano, a fine anno, nella delicata fase che va dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale alla realizzazione di quell’effettivo cambiamento che devono produrre. Una fase che, quando è troppo lunga, spinge la nuova norma dalla sfera dell’innovazione a quella dell’adempimento.

Tra questi certamente sono da segnalare i nuovi contratti (triennio 2019-2021), questa volta realmente innovativi e certamente apprezzabili per molti dei loro contenuti, soprattutto quelli legati al nuovo ordinamento professionale, che hanno una significativa potenzialità innovativa, ma che certo scontano il fatto di essere stati approvati quando erano già scaduti. Le norme sulla semplificazione che, partendo dall’emergenza pandemica e poi dalle scadenze del PNRR, hanno messo in campo novità procedurali importanti, ma devono ancora diventare quella politica “normale e ricorsiva” che è necessaria per una reale riduzione degli oneri e dei tempi amministrativi, evitando proclami, ma usando la necessaria competenza e tenacia per sciogliere un nodo dietro l’altro, senza moltiplicare le norme per semplificarle. La riforma dei concorsi che li ha definitivamente digitalizzati, per una maggiore trasparenza e celerità, e che ha previsto finalmente l’aggiornamento del vecchio regolamento del 1994, ma che, almeno per ora, non ha cambiato molte delle prassi che hanno spesso impedito alle amministrazioni di scegliere i migliori: bandi generici e incomprensibili, commissioni poco qualificate e scelte con il criterio del risparmio, prove nozionistiche e scarsa attenzione alle capacità comportamentali e alle attitudini.

Insomma, come messo in evidenza dallo stesso Ministro Zangrillo nella sua audizione in Parlamento, abbiamo a disposizione già un progetto chiaro e anche il quadro legislativo necessario per realizzarlo e non c’è quindi bisogno di impostare alcuna riforma complessiva delle amministrazioni pubbliche: piuttosto c’è bisogno di attuare le norme e controllarne i risultati e l’impatto. Se però non possiamo augurarci l’ennesima riforma epocale, allo stesso tempo dobbiamo guardare con coraggio le debolezze strutturali che sono emerse proprio per l’arrivo delle ingenti risorse del PNRR e della programmazione europea che hanno costituito e costituiscono ancora un inedito stress test per l’intero sistema.

La prima e più importante debolezza è stata l’evidenza che molte amministrazioni, soprattutto territoriali, ma non solo, non sono capaci di produrre e realizzare progetti complessi. I dati del prezioso Rapporto 2022 su “La finanza territoriale”, realizzato da IRPET assieme ad altre associazioni e presentato a fine dicembre 2022, ci dicono che nel primo semestre del 2022 gli enti locali hanno avviato procedure di gara per un valore addirittura del 18% più basso rispetto al primo semestre del 2021. A novembre 2022 Comuni e Province hanno avviato gare per soli 3,7 miliardi su 51,1 miliardi di progetti finanziati (con CUP); di questi solo 900 milioni di euro sono stati aggiudicati e solo 100 milioni di lavori sono stati effettivamente eseguiti.

I motivi di questa inadeguatezza, aggravati certamente, come vedremo, dall’incremento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, sono ben noti e dipendono soprattutto dalla carenza cronica di personale tecnico nella PA in generale e soprattutto negli enti locali. Il Governo Draghi è intervenuto con lo sblocco del turnover, con interventi straordinari per l’assunzione di esperti, con un fondo per l’assunzione di personale a tempo determinato nei piccoli Comuni, con le attività di accompagnamento di Cassa Depositi e Prestiti e di Invitalia. Queste azioni, certamente migliorative dello status quo, non sono riuscite a mutare le condizioni di fondo di un’amministrazione che aveva perso negli ultimi anni centinaia di migliaia di lavoratori e, soprattutto, non era riuscita a rimpiazzare le figure tecniche essenziali. Il citato Rapporto ci dice anche che, mettendo a confronto i primi nove mesi del 2021 con in primi nove mesi del 2022, nelle Province e nei Comuni vediamo un aumento dell’8,8% degli incarichi per studi e consulenza, ma una diminuzione del 2,3% del lavoro dipendente. Inoltre, molte delle nuove assunzioni di lavoro dipendente sono a tempo determinato, scadenzate dal ciclo del Piano. Il carattere temporaneo delle assunzioni e l’elevata qualificazione ricercata a fronte di stipendi medio-bassi, ma soprattutto di incerte prospettive di crescita professionale, hanno poi allontanato dai concorsi molti giovani brillanti e reso difficile anche riempire i posti previsti.

Una seconda debolezza emersa sembra a prima vista in contrapposizione con la prima, ma ne è invece una conseguenza che rischia di aggravarla invece che risolverla. Parliamo della tentazione di un ulteriore accentramento delle politiche e del loro monitoraggio. Abbiamo così visto una sistematica sottovalutazione dell’importanza dell’ascolto dei saperi legati ai luoghi, forse con la sola eccezione delle attività dedicate agli enti locali da parte del Trasformation Office, che mettiamo in luce nel secondo capitolo. È mancata quella continua consultazione di tutte le componenti della società che era, invece, una delle caratteristiche distintive che dovevano connotare l’attuazione del Piano.

Anche la comunicazione del Piano non ha abbattuto sino ad ora le asimmetrie informative che rendono impossibile il controllo civico. È necessario passare da una trasparenza passiva, nella quale la PA espone in forma divulgativa il suo operato, ad esempio cosa si propone di fare riguardo a una missione strategica e quanti soldi investirà, ad una trasparenza abilitante, che prevede di mettere i cittadini in condizione di monitorare continuamente e in tempo reale l’attuazione di una politica per poter intervenire su di essa. Una trasparenza che abiliti i cittadini ad agire, negli interessi della propria comunità, per intervenire nella progettazione esecutiva degli interventi e nella loro effettiva realizzazione sul territorio.

La recentissima iniziativa, annunciata a fine anno, del Ministro Zangrillo di voler dare inizio a una serie di visite alle realtà locali per ascoltare consigli, richieste, indicazioni, sembra di buon auspicio per una nuova capacità di ascolto.

Un altro punto debole che il sistema delle pubbliche amministrazioni ha sperimentato proprio ora che è sotto pressione è dato, come ben sanno gli amministratori locali, dalla difficoltà di accesso ai dati disaggregati, che permettano, Comune per Comune e quartiere per quartiere, di disegnare politiche su misura dei luoghi e di avere sotto controllo gli indicatori fondamentali che possano testimoniarne l’avanzamento e i risultati. I dati oggi vengono trasmessi, attraverso un’infinità di richieste, dai territori o dai singoli cittadini che interagiscono con le amministrazioni, alle strutture nazionali o regionali, ma non tornano indietro in forma utile a prendere decisioni, se non attraverso richieste puntuali e abbastanza complesse. Anche la Piattaforma Digitale Nazionale Dati, di cui parliamo nel capitolo dedicato alla trasformazione digitale, è impostata più sull’interoperabilità delle banche dati, per offrire servizi in modalità once only ai cittadini e alle imprese, che per dotare i policy maker locali di strumenti di conoscenza che ne possano orientare le azioni. Il Piano ha reso visibile questa mancanza e ha accentuato spesso la standardizzazione delle misure senza tener conto della specificità delle aree geografiche. L’esempio della grande difficoltà emersa per il piano asili, in un’Italia demograficamente e socialmente così diversa da Comune a Comune, è un esempio chiaro dell’impossibilità di muoversi senza un’approfondita conoscenza delle situazioni di contesto. Una conoscenza che gli stessi amministratori degli enti territoriali fanno fatica a ottenere.

A queste défaillance si è aggiunta poi, come già accennato, l’incertezza sulla stessa continuità dei lavori pubblici aggiudicati, che è derivata dall’eccezionale incremento dei prezzi delle materie prime e dell’energia. Non è una variabile a disposizione delle amministrazioni pubbliche, ma certo spesso queste si sono trovate strette in una gabbia tra il codice degli appalti da una parte e l’incremento dei costi e la carenza di materiali dall’altra, a volte rendendo materialmente impossibile continuare l’opera. Numerosi provvedimenti hanno, almeno in parte, fatto fronte a questa situazione attraverso la rimodulazione delle risorse e la revisione dei prezzi e, proprio allo scadere dell’anno, la revisione del codice, ma molte amministrazioni, come i numeri sopra citati dimostrano, semplicemente non hanno, nel corso del 2022, dato il via alle gare.

La sfida del PNRR è stata quindi un test importante della capacità della PA. Pur mantenendo viva la speranza che le nostre amministrazioni ne escano alla fine bene, non possiamo non vederne le difficoltà che abbiamo brevemente indicato e che si possono riassumere in una debolezza strutturale, derivata sia da scelte miopi che hanno visto nei tagli lineari una soluzione, sia dall’arrivo di una mole di risorse da gestire e di progetti da realizzare quanti mai ne avevamo visti dal dopoguerra. Una debolezza che porta ora alla necessità di rigenerare le amministrazioni, aumentando competenze e motivazioni di chi già ci lavora e introducendo nuovi profili professionali più adeguati ai bisogni attuali, soprattutto dando più opportunità e più peso ai giovani che dovranno ereditare il mondo ora in costruzione, ma anche i debiti che noi, ora, abbiamo deciso di assumerci, ma che loro dovranno pagare.

Il 2023, che si apre con un nuovo Governo dotato di una solida maggioranza parlamentare, si presenta con prove importanti e altrettanto importanti opportunità. Sarà compito di questa amministrazione raggiungere entro la fine dell’anno ben 36 target (ossia traguardi quantitativi da ottenere tramite una determinata misura del PNRR e misurati tramite indicatori ben specificati), contro i 13 del 2022.

Il Governo si troverà anche sul tavolo importanti nodi da sciogliere che, pur senza prefigurare una vera e propria riforma, potranno aiutare le amministrazioni centrali e locali ad essere all’altezza degli obiettivi. Tra questi tre ci sembrano i più importanti e tali da costituire una discontinuità significativa: la riforma della dirigenza; il riassetto della geografia istituzionale, con una particolare attenzione alla governance delle cosiddette Aree vaste; la crescita della competenza delle persone e delle organizzazioni.

Il tema della dirigenza pubblica e del suo rapporto con la politica è tornato in primo piano, come spesso accade all’inizio di un nuovo Governo, quando ci sono da confermare o da rinnovare incarichi in posti decisivi e il nuovo vertice politico incontra l’amministrazione. Ma la riforma della dirigenza è, come noi stessi abbiamo più volte messo in evidenza, la grande assente nel processo riformatore degli ultimi anni. Il punto centrale non è tanto se allargare o meno lo spoil system, come la cronaca quotidiana suggerirebbe, quanto ripensare e definire chi è il dirigente e cosa ci aspettiamo dal suo ruolo e dalla sua persona. L’apertura, la permeabilità, la capacità di “governo con la rete”, la capacità empatica di relazione con le persone, la voglia di crescere e di far crescere, la spinta ad imparare continuamente, la vocazione a sperimentare e a mettersi in gioco, anche rischiando di sbagliare, la costruzione flessibile di una carriera che sia un personale e continuo progetto di crescita, la dedizione al compito di creare Valore pubblico: queste le caratteristiche del manager pubblico che vogliamo. Per questo obiettivo ci auguriamo che il Governo operi per avere una dirigenza ‘leale’ senza essere ‘fedele’, che sia aperta, favorendo l’osmosi della dirigenza pubblica con quella privata, non perché questa sia meglio di quella, ma perché possano contaminarsi le culture diverse e le diverse strategie di management. Deve essere promosso e ritenuto normale il passaggio dal privato al pubblico, ma anche dal pubblico al privato. Il dirigente deve accettare poi anche di essere intrinsecamente mobile, ossia di immaginare la propria carriera come un susseguirsi di esperienze diverse. Ci aspettiamo che si possa rivedere la selezione, l’attribuzione degli incarichi, il contratto, l’equità retributiva che attualmente vede piccoli e grandi privilegi; garantendo autonomia, gestione del budget, responsabilità e discrezionalità, ma anche sottolineando la necessaria dimensione del rischio propria della funzione dirigenziale; operando una corretta distinzione tra dirigenti con compiti autorizzativi e di garanzia e quelli incaricati dell’attuazione delle politiche. È infatti necessario, in questo campo così delicato, trovare un equilibrio tra indipendenza e incarichi fiduciari. Dobbiamo partire dalla constatazione che i dirigenti non sono tutti uguali: tutti ovviamente devono muoversi all’interno delle regole, ma c’è chi ha il compito di garantire la legittimità dei procedimenti e degli atti, chi ha compiti autorizzativi, chi di controllo e poi chi deve invece avere compiti manageriali di attuazione delle politiche. Se dobbiamo con forza rivendicare l’indipendenza degli uni, che non possono neanche essere soggetti alla ‘fiducia’ di quella politica di cui devono controllare e giudicare la legittimità degli atti, altrettanto ha poco senso impedire alla politica di avere come manager esecutivi di vertice dirigenti che ne condividono le politiche e che sono disposti ad accollarsene i rischi. In questo momento della vita politica, in cui è attivo un ricambio dei vertici amministrativi a seguito del giuramento del nuovo Governo, ma anche sulla base della distinzione che abbiamo ricordato sopra, diventa poi fondamentale individuare organi di garanzia autonomi e neutrali responsabili di un processo continuo di check & balance. Tali organismi sono più che mai indispensabili all’interno di una dirigenza che rispetti la diversità di funzioni.

Mentre si intensificano le spinte verso l’autonomia rafforzata di alcune Regioni, con possibili pericoli per l’equità e l’universalità dei diritti e delle prestazioni essenziali, rimane ancora nel limbo un riassetto della stessa geografia delle amministrazioni. I grandi sconvolgimenti istituzionali, come la riforma del Titolo V o, prima ancora, il federalismo amministrativo, non hanno inciso in profondità nelle organizzazioni. Una legge, mai completamente applicata e poi lasciata a sé stessa, senza cura né accompagnamento, come la c.d. “legge Delrio” (l. 56/2014) ha lasciato un panorama opaco. Basti pensare solo alle Province e alla governance di Area vasta, che ancora vedono una mortificante incertezza sia per i compiti istituzionali, sia per le risorse necessarie. Un contesto istituzionale così poco aggiornato è un vulnus importante che ci portiamo nella nuova legislatura.

Se il Governo Draghi ha visto importanti interventi normativi, del tutto disattesa è rimasta la necessità di riorganizzare il sistema delle amministrazioni pubbliche, orientandolo alle grandi missioni strategiche che ci sono davanti: in primis la riduzione delle disuguaglianze e il mitigamento dell’emergenza ambientale e del conseguente cambiamento climatico. Le amministrazioni sono rimaste nella maggior parte dei casi, complice anche la struttura che è stata data al PNRR, dei silos impermeabili. Non sono stati superati i compartimenti stagni, anzi ciascun Ministero attuatore del Piano si è mosso in forma autonoma, né è stato possibile quindi definire indicatori di risultato che coinvolgessero tutta la filiera amministrativa verticale che è coinvolta in una missione. La mancata definizione di indicatori misurabili e condivisi ha impedito da una parte di costruire consenso e mobilitazione sui cambiamenti necessari e, rendendo visibile ai cittadini e alle imprese i risultati attesi e l’impatto reale delle politiche, rafforzare possibilità e capacità di partecipazione al loro disegno e riorientamento; dall’altra non ha creato le condizioni per spostare la valutazione individuale sulla valutazione delle organizzazioni, responsabilizzando tutta la filiera.

Alla formazione e alla crescita delle competenze dedichiamo una larga parte di questo volume e abbiamo voluto che il primo capitolo mettesse proprio in evidenza l’impegno che ci aspettiamo dalle amministrazioni e dal Governo per creare quel benessere organizzativo e quella learning organization dove le persone possano continuamente crescere professionalmente e umanamente, come è compito di ogni buon datore di lavoro. C’è molto lavoro da fare in questo senso, sia nella formazione, che ha visto il Piano di formazione lanciato a inizio dello scorso anno raggiungere risultati molto al di sotto delle aspettative, sia nei processi di assunzione che, come abbiamo detto, vedono ora un quadro di norme adeguato a cui non fa riscontro una nuova prassi.

Ci aspettiamo che il 2023, Anno Europeo delle competenze, sia l’anno in cui si riprende davvero ad investire nella formazione, verso quell’1% del monte salariale (che oggi vorrebbe dire investire in formazione circa 1,5 miliardi l’anno) promesso già nel 2001. Ci aspettiamo che si crei finalmente quell’hub formativo in grado di raggiungere, in modalità e-learning, un vastissimo numero di dipendenti pubblici ai livelli centrali e locali. Un moderno Learning Management System in grado di gestire ed erogare la formazione a distanza a centinaia di migliaia di persone, anche con accessi in simultanea, prevedendo, per gli utenti, la valutazione del percorso formativo intrapreso così come il rilascio della certificazione delle competenze acquisite che dovranno confluire nell’annunciato, ma non ancora realizzato, fascicolo del dipendente.

Per quanto riguarda l’accesso alla PA abbiamo visto con favore la dichiarazione del Ministro Zangrillo che annuncia, per il 2023, un ricambio per 156 mila dipendenti pubblici per coprire i pensionamenti e altre 10 mila assunzioni previste nella legge di bilancio: ora c’è da lavorare sulla qualità dei processi di selezione, curando che le norme sui concorsi siano effettivamente messe in atto. È necessario accompagnare le amministrazioni ad applicare quanto definito, cioè introdurre nei bandi una chiara identificazione dei fabbisogni, scegliere commissioni di qualità e remunerarle adeguatamente, attuare una comunicazione chiara delle funzioni, usare con attenzione e senza creare discriminazioni titoli e test multi-risposta, considerare centrali la qualità delle prove, usando le nuove tecnologie per verificare attitudini, competenze e capacità di risolvere problemi, curare l’accoglienza. Sono questi gli ingredienti che permettono un buon reclutamento. Ce lo mostrano le buone esperienze in giro per l’Italia. Dandoci suggerimenti semplici per replicarle e adattarle ai contesti.

Molto spesso, nel nostro più che trentennale lavoro di accompagnamento delle amministrazioni e delle aziende che per esse lavorano, è il percorso dell’innovazione e l’individuazione e la valorizzazione dagli innovatori che hanno guidato i nostri passi. Chiudiamo quindi questa introduzione ricordando le parole che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rivolto a tutti noi nel discorso della fine dell’anno, perché contengono un messaggio decisivo. Il Presidente ci ha detto che «Il cambiamento va guidato, l’innovazione va interpretata per migliorare la nostra condizione di vita, ma non può essere rimossa. La sfida, piuttosto, è progettare il domani con coraggio». Sarà questa capacità di orientare l’innovazione verso il bene comune e la giustizia sociale e ambientale a permetterci di seguire il monito che ha chiuso il suo discorso «guardiamo al domani con uno sguardo nuovo. Guardiamo al domani con gli occhi dei giovani. Guardiamo i loro volti, raccogliamo le loro speranze».

Interpretare l’innovazione e raccogliere le speranze dei giovani vuol dire lavorare, utilizzando le potenzialità straordinarie date dalla trasformazione digitale e le urgenze poste dalla transizione ecologica, per ridurre le tragiche disuguaglianze che continuano ad aumentare, per non lasciare alcuno indietro, per garantire i diritti civili e sociali a tutti, vecchi e nuovi cittadini, e per costruire un paese e un mondo più giusto. È l’impegno che la Costituzione affida alle istituzioni e a tutti noi.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!