Da Asolo a Gerusalemme: l’eccellenza del cloud in sanità cerca nuovi traguardi
In provincia di Treviso, ad Asolo, c’è un’azienda pubblica di eccellenza, riconosciuta a livello nazionale ed europeo che non si accontenta di restare tale, ma che punta ad avere un ruolo di primo piano anche a livello mondiale. È la Ulss 8 di Asolo che il 19 marzo prossimo, insieme a FORUM PA, porterà a Gerusalemme, di fronte ad una platea straniera di aziende sanitarie, organi regolatori e fornitori di tecnologia, la Carta di Castelfranco, il documento che suggerisce una strategia normativa e organizzativa sul tema del cloud computing in sanità. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con il Direttore Amministrativo della Ulss Mario Po’ che ha evidenziato la pericolosità dell’adagiarsi sull’esistente e temere il confronto con l’esterno, atteggiamento decisamente diffuso nel nostro paese.
14 Marzo 2012
Tommaso Del Lungo
Il 19 marzo prossimo la Ulss 8 di Asolo sarà ospite, insieme a FORUM PA, DigitPA e altri organismi e aziende italiane (Infocert, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Istituto italiano privacy, Dedalus, Noemalife, Telecom) del Kupat Holim Maccabi di Gerusalemme e Sheba Medical Center, Tel Hashomer per riflettere insieme ad aziende sanitarie, istituzioni ed imprese delle possibili applicazioni del cloud computing alla sanità. “Israele è uno dei paesi più innovativi dal punto di vista della produzione tecnologica e del rapporto tra ricerca scientifica e impresa. Si tratta di un passo indispensabile per non rimanere prigionieri della realtà italiana troppo piccola e depressa per essere il terreno di confronto su cui sviluppare un percorso di innovazione reale”. Con queste parole decise Mario Po’, il Direttore Amministrativo della Ulss 8 di Asolo, ci illustra il motivo di questa iniziativa.
Tutto nasce dall’incontro dell’ottobre scorso a Castelfranco Veneto, dedicato al cloud computing in sanità, una giornata di lavori da cui è nata la “Carta di Castelfranco”: un testo di 12 raccomandazioni per aiutare le aziende sanitarie nella scelta delle tecnologie “cloud”, al fine di evitare errori o sprechi. Po’ ci tiene a sottolineare il lato pratico della partecipazione della sua azienda all’evento del 19 marzo: “Effettivamente ci stiamo caricando di un compito che può anche andare al di là delle nostre responsabilità – ammette – ma siccome siamo un’azienda e abbiamo ben assimilato il significato di ciò che questo vuol dire, ci stiamo muovendo per garantirci una traiettoria di sviluppo il più avanzato possibile”.
Insomma rimboccarsi le maniche collaborando con altri campi istituzionali e senza accontentarsi di essere una eccellenza italiana. La Ulss 8, infatti – è importante ricordarlo – non parte assolutamente da zero, ma anzi può vantare un’esperienza rara in Italia nel campo dell’applicazione delle tecnologie cloud. Basti pensare che molte procedure interne utilizzano già sistemi di cloud computing e che è in fase di preparazione un bando di gara per l’assegnazione del servizio di conservazione sostitutiva “on the cloud” sia del documentale clinico che dell’ iconografia (immagini radiologiche, tracciati elettrocardiografici, ecc), andando a toccare, quindi, il cuore dell’attività di un’azienda sanitaria: l’area clinica.
“Se uno prova a mettere il naso fuori dalla sua realtà si rende immediatamente conto che in tema di innovazione non ci si può mai sentire arrivati. Ci sono strutture in paesi a noi vicini che raggiungono livelli di eccellenza per noi impensabili. L’ospedale di Montpellier, ad esempio, due settimane fa ha aggiudicato una gara per 27 milioni di euro per la gestione cloud di tutta l’area clinica, mentre gli ospedali dell’Ile de France di Parigi già lavorano con un PACS (archiviazione e gestione delle immagini) totalmente in cloud computing. L’esigenza di impostare un confronto con chi sta lavorando ad un livello certamente superiore al nostro è assolutamente insopprimibile”.
Dal pre-cloud a post-cloud: non si torna indietro
Parlando con Mario Po’ è evidente quanto giudichi fondamentale l’approccio cloud computing. “Credo che ci troviamo di fronte ad una tecnologia nuova che fa da vero e proprio spartiacque tra due epoche: pre-cloud e post-cloud. Per l’Italia si tratta di un’opportunità incredibile. Il cloud computing, infatti, permette ad una organizzazione che fino ad ora non ha fatto investimenti importanti e ha, magari, un livello di alfabetizzazione digitale molto elementare, di colmare in brevissimo tempo il gap con chi, invece, può vantare una cultura digitale di rilievo e una storia fatta di investimenti in ICT. Grazie al cloud non servono investimenti infrastrutturali, non servono grandi dipartimenti ICT, si può addirittura prescindere da una cultura digitale professionale diffusa all’interno dell’organizzazione, semplicemente perché quello che viene chiesto è essere cliente. Un cliente intelligente e consapevole, ma comunque un cliente, che domanda servizi e non deve preoccuparsi di allestire soluzioni organizzative particolari, provvedere ad architetture e piattaforme tecnologiche e via dicendo”.
“Noi abbiamo questa chance oggi – continua – proprio perché siamo in ritardo come paese. In passato non abbiamo deciso, o abbiamo deciso male, ed oggi occupiamo le ultime posizioni rispetto a quasi tutti gli indicatori dell’agenda digitale europea. Questo si può trasformare in un vantaggio grazie al cloud computing a patto di non aggiungere al ritardo l’errore di ragionare come fossimo in un’epoca pre-cloud”.
Po’ si riferisce a tutti quei comportamenti e a quelle impostazioni mentali che lui stesso definisce “veri e propri pregiudizi” che imbrigliano lo sviluppo delle applicazioni in discussioni legate ad una serie di temi indefiniti che vanno da alcuni timori legati alla sicurezza e alla privacy fino al modo di concepire il rapporto con chi fornisce la tecnologia. “Le rivoluzioni tecnologiche – spiega – portano con sé anche un bisogno di nuove regole. Immaginare che il cloud possa essere governato da regole pre-cloud è, secondo me, difficile e dannoso. A livello europeo si sta lavorando ad una direttiva per assicurare che i datacenter chiamati a gestire i dati di cittadini ed istituzioni dei paesi membri siano collocati entro i confini dell’Unione. In questo modo si compie una scelta di tipo tecnico in base ad un pregiudizio “geografico”, ritenendo che un confine geografico possa offrire garanzie migliori che – ad esempio – un indicatore culturale o di innovazione. Siamo così certi che i nostri dati siano più sicuri se tenuti in Romania piuttosto che in India, un paese il cui numero di ingegneri che si laureano ogni anno è 10 volte quello italiano?”
Altro “pregiudizio” che bisognerebbe superare in epoca post-cloud per Po’ è quello del rapporto con i fornitori, o meglio: con i partner. Se nel pre-cloud il confine tra cliente e venditore era molto spostato verso il primo, che dettava puntualmente gli elementi e gli standard della fornitura, nel post-cloud lo stesso confine si sposta molto verso il fornitore a cui occorre aprire le porte per dargli modo di conoscere l’azienda e i processi che si governano. “Per fare ciò c’è però bisogno – conclude Po’ – di un grado di eccellenza manageriale che nel nostro Paese manca. Anzi, le dirò di più per fare innovazione sono necessari livelli di qualità su almeno tre parametri. Il primo è avere un bilancio in pareggio, non per un fatto economicistico, ma perché avere un bilancio in pareggio è garanzia di ordine e capacità di governo della struttura. Il secondo indicatore ce lo dà l’Europa e sono i parametri individuati dall’agenda digitale. Infine il terzo indicatore sono le partnership. Fuori dalle nostre piccole strutture c’è un mondo che in competizione”.
In questo senso l’evento di Gerusalemme è emblematico e punta a raccogliere idee, proposte operative e esperienze di amministrazioni, imprese, università ed istituzioni di vari paesi. Un’alleanza che può rendere pragmatico il percorso di innovazione qualificando la domanda e generando una migliore e più orientata offerta.
Per saperne di più sull’evento consulta il comunicato stampa