IA e sanità digitale: la vera svolta è nei dati clinici
L’adozione dell’intelligenza artificiale in sanità offre opportunità significative, dalla medicina di precisione alla diagnostica avanzata. Tuttavia solleva anche preoccupazioni etiche e sociali, legate in particolare ai rischi dell’automation bias. In questo contesto, la qualità dei dati è cruciale. In vista del prossimo FORUM Sanità 2024, ne abbiamo parlato con Maria Immacolata Cammarota, Capo progetto FSE del Dipartimento per la Trasformazione Digitale, e a Fabrizio D’Alba, Direttore Generale del Policlinico Umberto I e Presidente Federsanità
27 Settembre 2024
Patrizia Fortunato
Content Editor, FPA
L’uso dell’intelligenza artificiale in sanità comporta un dilemma etico legato alla valutazione del rischio dell’automation bias e un dilemma sociale legato alla sovravalutazione del rischio occupazionale: aspetti che devono essere attentamente considerati e gestiti. I rischi però coincidono con le opportunità. L’IA sta aprendo molte prospettive: dalla medicina di precisione alla diagnostica come ausilio al processo decisionale, dalla ricetta dematerializzata al consolidamento dell’assistenza territoriale.
Le piattaforme di IA e business intelligence sono tanto più forti ed efficaci quanto più complete saranno le basi dati. Ma come evitare che si arrivi a modelli predittivi non veritieri, che si attivino meccanismi eticamente discutibili e che si incorra in pericoli di bias? Su quali leve si sta lavorando per potenziare la qualità del dato, dal punto di vista dell’appropriatezza, della coerenza, della tempestività e del consolidamento semantico? Quali misure e iniziative sono necessarie per gestire l’esposizione delle persone all’intelligenza artificiale e per sfruttare i casi di complementarità tra competenze umane e competenze artificiali?
Lo abbiamo chiesto a Maria Immacolata Cammarota, Capo progetto FSE del Dipartimento per la Trasformazione Digitale, e a Fabrizio D’Alba, Direttore Generale del Policlinico Umberto I e Presidente Federsanità, in vista del prossimo FORUM Sanità 2024 e della loro partecipazione come relatori allo scenario Dall’AI alla Data-driven Health: un viaggio nella Sanità del domani.
Sanità Digitale: dati clinici, la svolta per salute, ricerca e programmazione
“Il dato da solo è un tracciato record, non è utile quasi a nessuno, Maria Immacolata Cammarota.
Avremo finalmente dati clinici e potremo utilizzarli non soltanto per la cura, la prevenzione, la diagnosi, ma anche per la ricerca e la programmazione. Maria Immacolata Cammarota spiega come questi dati saranno fondamentali nella costruzione dell’ecosistema dati sanitari, che avrà caratteristiche di sicurezza perché si basa sul modello federato con unità di archiviazioni regionali. Il che significa che il dato resta lì dove è generato, senza che sia corrotto o duplicato. Non solo. La data quality garantisce anche l’interoperabilità fra le regioni.
“L’ecosistema ha come presupposto il fatto che la sanità digitale sarà standardizzata. Avremo lo standard dati in FHIR (Fast Healthcare Interoperability Resource), così come il documento PDF e CDA2 (Clinical Document Architecture) firmati PAdES e questo standard comporterà un linguaggio comune per tutte le regioni”, sottolinea Cammarota.
‘Linguaggio comune’ vuol dire ‘coerenza di linguaggio’ e la coerenza porta alla coesione tra tutti gli attori della sanità (territorio, strutture private accreditate, private autorizzate, aziende ospedaliere, aziende pubbliche, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, operatori sanitari).
Si avrà così il dato che, contestualizzato nel tempo e nello spazio e correlato all’evento clinico che lo ha generato, diventerà informazione. In sequenza, l’informazione diventerà conoscenza per tutti gli attori, e dalla conoscenza deriverà la consapevolezza di poter utilizzare i dati a supporto di ogni decisione.
Garantendo questa pulizia, questa congruità e questa omogeneizzazione del dato per tutte le regioni italiane, sarà poi possibile far confluire dati veritieri su qualsiasi strumento di intelligenza artificiale.
“Fino a ieri parlavamo di big data, oggi è importante parlare di good data. Sul dato buono la conoscenza è buona, la consapevolezza è buona e la saggezza su questi dati potrà essere buona”, precisa Cammarota.
Sanità e IA: l’importanza di un quadro normativo armonico per l’uso dei dati
“Occorre fare una serie di considerazioni in riferimento alla necessaria implementazione e messa a regime di soluzioni e strumenti di intelligenza artificiale nell’ambito delle ordinarie attività delle nostre strutture sanitarie”, commenta D’Alba. “Da un lato, bisogna considerare la possibilità di utilizzo delle informazioni da parte degli strumenti di intelligenza artificiale ai fini delle attività cliniche; dall’altro, occorre valutare l’output che ne deriva”.
“Siamo in un contesto nel quale, soprattutto in alcuni ambiti dell’attività di presa in carico clinica, disponiamo di una serie di dati potenzialmente puntuali riguardanti lo stato dei cittadini, disponibili su piattaforme nazionali e regionali (esami diagnostici, documentazione clinica, ecc.). Abbiamo un bacino informativo potenzialmente molto ricco, ma, – continua D’Alba – a causa della mancanza di un sistema armonico di regole che permetta di utilizzare pienamente queste informazioni con le potenzialità della tecnologia, siamo nelle condizioni di non poter utilizzare appieno questo potenziale”.
Dal disegno di legge recante disposizioni e deleghe in materia di intelligenza artificiale (DDL IA), che reca la delega legislativa al Governo per l’adeguamento della normativa italiana all’AI Act, al Regolamento del Parlamento Europeo COM (2021) 206 final, che definisce le regole armonizzate sull’IA, emergono diversi aspetti di tipo normativo e regolatorio.
Fabrizio D’Alba solleva alcuni interrogativi riguardo a una questione attualmente emergente: il Fascicolo Sanitario Elettronico. Il tema centrale è: cosa deve essere inserito al suo interno? E, di ciò che viene inserito, quanto potrà essere utilizzato, anche in virtù delle autorizzazioni dei cittadini? Si sta cercando di bypassare il problema del dato analitico, attraverso l’uso di dati più sintetici o delle misure o dei dati indiretti sullo stato di salute del cittadino, al fine di fornire un bagaglio di informazioni utili ai professionisti.
Sottolinea Cammarota, “avremo dati pseudonimizzati per alcune finalità con caratteristiche di estrema sicurezza, e dati anonimizzati per altre finalità”. Il dato sintetico è un dato anonimizzato, che garantisce un elevato livello di sicurezza per chi lo ha creato e permette di correlare eventi. Se dobbiamo valutare l’appropriatezza di una cura per una determinata patologia, è necessario seguire il percorso terapeutico nel tempo. Il dato sintetico consente di fare ciò senza tracciare specificamente la persona, permettendo di monitorare l’andamento in modo anonimo. La ricerca ha, infatti, limitate applicazioni con dati puramente anonimi; questi diventano statici e non consentono correlazioni temporali.
Si raccomanda l’uso dei dati sintetici anche nella piattaforma di intelligenza artificiale a supporto dell’assistenza primaria gestita dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Per ovviare alla mancanza di una valida policy e di una data governance completa, AGENAS ha dedicato un’intera sezione nel documento descrittivo degli obiettivi e dei requisiti funzionali della piattaforma, stabilendo che la stessa deve essere allineata all’articolo 10, “Dati e governance dei dati”, del Regolamento del Parlamento Europeo COM (2021) 206 final.
Il dato sintetico rappresenta quindi una prospettiva futura importante, anche se la sua creazione richiede competenze specifiche e un’attenta progettazione.
Appropriatezza predittiva nelle comunità professionali
Quel che è certo è che il dato è fondamentale. Averlo a disposizione e poterlo utilizzare significa metterlo a disposizione dei professionisti per svolgere il loro lavoro in modo diverso. Esiste però un elemento di criticità nell’inserimento di strumenti di IA nel nostro sistema. Bisogna superare la percezione che questi strumenti siano sostitutivi dell’agire professionale, anche in presenza di potenti e solide banche dati. Una riflessione, questa, posta dal Presidente D’Alba e ampiamente condivisa dalla comunità scientifica.
“L’intelligenza artificiale è uno strumento che può rendere più accurata l’attività dei professionisti, semplificarla, ridurre il tempo necessario e limitare alcuni aspetti di rischio attraverso una serie di alert, suggerimenti e indicazioni, avendo ben chiaro che il momento finale, che corrisponde alla comprensione del bisogno e alla qualificazione di un bisogno diagnostico o alla definizione di un piano terapeutico o integrativo, rimane esclusivamente competenza dei professionisti. È necessario però – puntualizza D’Alba – che il mondo dei professionisti non sia reticente all’uso dell’IA”.
“Bisogna far sì che la comunità dei professionisti abbia una conoscenza delle possibilità in campo, abbia delle competenze nell’ambito dell’utilizzo di questi strumenti e abbia delle abitudini”, Fabrizio D’Alba.
Il clinico deve essere incline ad accettare l’introduzione di strumenti innovativi; il data scientist deve dotarsi delle competenze necessarie per comprendere il più possibile il punto di vista del clinico.
“Questi strumenti diventeranno sempre più parte dell’uso quotidiano nell’agire professionale. È una grande sfida per i sistemi, non solo sanitari ma anche formativi: far sì che oggi questi strumenti entrino nella pratica ordinaria, nello zaino delle competenze di base dei professionisti della salute. Dobbiamo creare una categoria di professionisti pronta ad accogliere ciò che verrà”, specifica D’Alba.
Allo stesso modo, Cammarota sottolinea che si stanno sperimentando soluzioni che possano fornire supporto anche nella pratica quotidiana. Ma, ancora prima di fare questo passo, è necessario partire da una base solida per poter costruire i decision support system:
“I dati sono di supporto al medico, non in sostituzione”.
Formazione: competenze adeguate per un futuro digitale in sanità
L’introduzione degli strumenti di intelligenza artificiale in qualche modo comporta anche delle diffidenze da parte di molti. Si crede che l’intelligenza artificiale possa sostituire il lavoro umano, ma è importante comprendere che la competenza artificiale e quella umana possono collaborare e coesistere.
“Tra le preoccupazioni dei medici, emerge il rischio che l’automatizzazione di alcune attività possa condurre a errori (55% degli specialisti e 59% dei MMG) e che l’introduzione dell’IA nella pratica clinica possa diminuire il valore del giudizio clinico basato sull’esperienza professionale (53% e 56%)”, è quanto emerge dall’ultima ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.
“L’intelligenza artificiale può sostituire l’uomo nelle attività automatizzabili. Ad esempio, sono in corso sperimentazioni dell’uso dell’IA per gestire le liste d’attesa e altre attività amministrative, al fine di migliorare l’accesso e ridurre i tempi in diversi settori. In questi ambiti, l’IA permette di mettere a frutto i dati disponibili, aumentando l’efficienza del sistema sanitario. L’uso dell’IA per analizzare grandi volumi di dati è fondamentale per migliorare le prestazioni e ottimizzare i processi. Sul piano amministrativo, governativo e programmatico, l’IA può fornire insight reali che aiutano a prendere decisioni informate, come aprire nuove agende, chiudere ambulatori poco utilizzati o ottimizzare la logistica. Ma – precisa Cammarota – l’intervento umano rimane indispensabile per la cura dei pazienti”.
Per il Presidente D’Alba, è necessario investire sia sul personale in formazione nelle università sia sul grande capitale umano già arruolato. Esiste quindi la necessità di adeguare le competenze, le abilità e le conoscenze dei nostri professionisti a questo tipo di futuro. Per quanto riguarda la formazione, è prevista l’inclusione di specifici piani formativi; nell’ambito del personale già arruolato, si prevede una formazione sul campo, inclusa una formazione post lauream sull’utilizzo di questi strumenti. Naturalmente, tutto ciò è strettamente collegato al momento in cui questi strumenti saranno disponibili su ampia scala.
Per il capitale umano, esiste però un’altra questione. Cosa cambierà con l’implementazione sempre più importante di nuovi strumenti nella composizione delle nostre dotazioni organiche?
“Avremo bisogno – racconta D’Alba – di personale che svolga le stesse mansioni in modo diverso; questi nuovi ausili professionali richiedono un adattamento. Il chirurgo, ad esempio, ha dovuto imparare a operare prima con la laparoscopia e poi con il robot. Ci vorranno nuove competenze nelle aziende, in termini di competenze più verticali sulle tecnologie. Tra l’altro, ci concentriamo molto sulla sfera clinica, ma esiste anche una sfera organizzativa in cui la sostituzione potrebbe essere più significativa. Il nostro sistema è un sistema che ha meno risorse di quelle di cui avrebbe bisogno. Quindi, se l’intelligenza artificiale permetterà, tra virgolette, di risparmiare tempo-uomo, ciò non si tradurrà in un taglio degli organici, ma semplicemente nella focalizzazione delle risorse su altre linee di attività che oggi dobbiamo presidiare”.
Come è emerso da una nostra ricerca su “L’impatto dell’intelligenza artificiale sul pubblico impiego” bisognerà attivare percorsi di upskilling e reskilling: da un lato, riqualificare le competenze dei medici, ma anche professionisti non sanitari, per rendere effettivamente “aumentato” il lavoro che già svolgono; dall’altro, guidare verso nuove attività e ruoli coloro che non saranno in grado di assimilare il nuovo.
“La sanità digitale, essendo molto verticale, è un ramo in cui non c’è tantissima offerta, perché conoscere, essere competenti nel dominio della sanità e avere competenze tecnologiche e degli standard nuovi di interoperabilità, di formati, dati e documenti non è banale”, sottolinea Cammarota.
“Siamo in prima linea”, conclude D’Alba. “Accompagniamo un cambiamento che investirà il mondo dei professionisti e delle organizzazioni. E poi ci sarà un momento in cui anche i cittadini dovranno essere coinvolti in tutto questo. Ci sarà una rimodulazione dei team e in essi dovremo includere figure con competenze più specifiche nell’ambito tecnologico, che attualmente non abbiamo. Quando abbiamo delle necessità, ricorriamo a specialisti esterni. Se diventeremo organizzazioni con un forte utilizzo di questi strumenti, dovremo sviluppare internamente le competenze necessarie”.