Sanità digitale, strada ancora in salita. I dati presentati a FORUM PA 2013

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Presentata a FORUM PA 2013 l’analisi di 560 strutture sanitarie valutate con il metodo internazionale “Emram”. Sette ospedali su dieci si limitano ad immettere dati nel sistema digitale ma poi si fermano.

30 Maggio 2013

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Daniela Palermo

Articolo FPA

Presentata a FORUM PA 2013 l’analisi di 560 strutture sanitarie valutate con il metodo internazionale “Emram”. Sette ospedali su dieci si limitano ad immettere dati nel sistema digitale ma poi si fermano.

“Dalla messa a regime del sistema di sanità digitale in Italia (dall’innovazione delle ricette elettroniche alla telemedicina, dal fascicolo sanitario elettronico alle nuove tecnologie per consentire la deospedalizzazione) potrebbero derivare per le casse dello Stato risparmi pari a sette miliardi di euro”. Così il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che ha aperto ieri la Conferenza internazionale sulla sanità digitale a FORUM PA 2013. “Sul fronte della sanità digitale – ha proseguito il ministro – siamo assolutamente in ritardo rispetto a Europa e Usa, ma molto è stato fatto considerando il punto di partenza. Uno dei problemi per la sanità elettronica è che, come avviene per la sanità italiana in generale, abbiamo una situazione che nelle regioni è a macchia di leopardo”. Una delle criticità messe in evidenza dal ministro è stata quella della sfida nell’uniformare accessi e procedure elettroniche, affinché le diverse strutture nelle varie regioni siano in grado di dialogare tra loro. “Infine – ha concluso – è fondamentale sottolineare il fatto che ‘intorno alla sanità elettronica si creano anche nuove professionalità, lavoro e si produce quindi economia”.

I dati presentati a FORUM PA 2013 parlano chiaro: nel confronto con i principali partner tecnologici europei, le strutture italiane non raggiungono mai il livello massimo di digitalizzazione. In Italia circa 560 strutturesanitarie (il 40 per cento degli ospedali, tra pubblico e privato accreditato) sono state analizzate con il metodo di valutazione internazionale “Emram” (Electronical medical record adoption model), che valuta il grado di digitalizzazione in sanità,messo a punto da Himss Analytics Europe.

John Hoyt, Ceo di Himss, ha spiegato che Emram “è uno strumento fondamentale che aiuta i governi a capire dove sta andando il mercato e a indirizzare meglio gli investimenti”. Gli ospedali che completano lo studio, inoltre, hanno diritto al benchmarking: “Ecco perché – ha detto Hoyt – grazie a questo metodo possono migliorare la loro efficienza”. 

Il cosiddetto “stage 7”, che prevede assenza completa di documentazione clinica cartacea, implementazione totale della cartella clinica elettronica, un sistema di supporto alle decisioni basato su protocolli standardizzati, un sistema di somministrazione dei farmaci ad anello chiuso integrato con la e-prescription, è in realtà un club per pochi eletti. In Europa lo raggiungono solo lo 0.1% degli ospedali.

Nel nostro Paese, però, la situazione è più critica: sette strutture su dieci non vanno oltre il secondo “stage”, si limitano cioè ad immettere dati nel sistema digitale ma poi si fermano. Gli investimenti in IT non aiutano: al momento sono abbastanza bassi. La quota di spesa sanitaria ospedaliera dedicata a questo settore, infatti, è pari all’1.4 per cento del totale. Un dato di poco superiore a quello della Germania (1.3%) ma inferiore a Spagna e Olanda. Eppure, in termini assoluti, è proprio la Germania a spendere di più: due miliardi di euro all’anno dedicati alla sanità digitale, un gradino sopra l’Italia che ne spende 1.3 miliardi.

Secondo l’Himms, i settori che il nostro paese dovrebbe potenziare in vista di una piena digitalizzazione sono: il ciclo chiuso della somministrazione dei farmaci e i sistemi di supporto alle decisioni cliniche. A trarne vantaggio sarebbe proprio l’organizzazione “regionale” della sanità italiana: diventerebbe più semplice lo scambio di informazioni e la collaborazione tra ospedali, Regioni e Governo centrale. Un passo indispensabile per camminare insieme ed abbandonare la strada del “fai da te” che finora non ha prodotto molti risultati, se non qualche caso isolato di buona pratica. La soluzione, insomma, è un sistema centralizzato a livello regionale di cui beneficerebbero per primi gli assistiti anche e soprattutto in termini di risparmio economico. 

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