EDITORIALE

S@lute2017: quale innovazione in sanità?

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Il prossimo 20 settembre si apre a Roma S@lute 2017, la terza edizione del Forum sull’innovazione nella salute. Tema complesso, complesso perché innovazione è una parola lisa, se ne vede ormai la trama e così com’è non regge più alcun peso né alcuna responsabilità. Avere il coraggio di innovare non è percorrere una strada dritta verso un luminoso domani, vuol dire invece assumere responsabilità, condividere visioni, stabilire nuovi legami, instaurare alleanze. Un provvisorio e sintetico decalogo ci può aiutare a presentare il nostro punto di vista sull’innovazione in sanità

6 Settembre 2017

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Carlo Mochi Sismondi

Il prossimo 20 settembre si apre a Roma S@lute 2017, la terza edizione del Forum sull’innovazione nella salute. Tema complesso, complesso perché innovazione è una parola lisa, se ne vede ormai la trama e così com’è non regge più alcun peso né alcuna responsabilità. È necessario un paziente e accurato rammendo che riprenda i fili, li riannodi, li integri con nuovo tessuto. Ed è un lavoro che una società non può appaltare ad una categoria di comunicatori o di scienziati, né tantomeno ad una classe sacerdotale di smanettoni, se ne deve fare carico nella sua interezza.
Se questo è vero sempre, lo è a maggior ragione quando parliamo di salute. Per rammendare l’innovazione in sanità non bastano le utopie millenariste della politica o della retorica, eppure la volontà politica è necessaria per disegnare percorsi lineari ed evitare continui stop and go; non bastano solo le competenze specialistiche degli informatici o dei ricercatori, eppure competenza, studio e serietà professionale sono indispensabili contro la crescente rimonta dei ciarlatani; non bastano gli investimenti, eppure senza soldi e senza risorse certe nei tempi e nelle quantità non si va da nessuna parte; non basta infine la tecnocrazia perché la salute è cosa di tutti e la sua tutela è un diritto, eppure il sapere e le reti neurali tra i centri del sapere e della ricerca sono l’unico modo per non smarrirsi in una giungla di novità che il mercato propone a getto continuo.

Avere il coraggio di innovare non è percorrere una strada dritta verso un luminoso domani, vuol dire invece assumere responsabilità, condividere visioni, stabilire nuovi legami, instaurare alleanze. Un provvisorio e sintetico decalogo ci può aiutare a presentare il nostro punto di vista sull’innovazione in sanità:

  • Innovare vuol dire individuare e rendere chiare le scelte. In un contesto “economico”, ossia lì dove le risorse sono limitate ma non lo sono i bisogni, le scelte sono ineludibili. Non tutti possono avere tutto, non tutti i bisogni, anche importanti e sentiti come lo sono quelli intorno alla nostra salute, possono essere soddisfatti. Mettere in evidenza le diverse alternative e le loro conseguenze non è solo onestà intellettuale e politica, ma anche l’unico modo per sperare di ottenere consenso e coinvolgimento nei processi di cambiamento e d’innovazione.
  • Innovare vuol dire misurare e rendere conto: è l’altra faccia della stessa medaglia. L’accountability è la cartina al tornasole della buona politica. La valutazione sincera, trasparente e comprensibile a tutti delle scelte fatte è l’unico antidoto alla rabbia cieca di chi vede, ma non è messo in condizione di giudicare. Misurare però vuol dire condividere indicatori e farlo nella fase di programmazione delle iniziative, vuol dire poi poter contare su dati certificati, oggettivi, basati sull’evidenza.
  • Innovare, sempre e a maggior ragione in sanità, vuol dire aver rispetto delle persone (tutte, di qualsiasi razza, provenienza, religione o orientamento sessuale siano) e aiutarle a crescere nella consapevolezza e nella responsabilità, perché la salute è anche un risultato di comportamenti individuali. Le tecnologie digitali sono potentissimi mezzi di empowerment, ma possono essere anche micidiali schermi protettivi per un potere che non vuole mettersi in discussione. Pensare sempre l’innovazione digitale in termini di digital social innovation vuol dire usarla per cambiare il ruolo del “government” verso uno “Stato partner”.
  • Innovare vuol dire far crescere le organizzazioni e chi le dirige perché siano piattaforme abilitanti e co-solutori di problemi. In questo senso l’innovazione non si appropria delle responsabilità del management, ma ne diventa alleata. È necessario però che i vertici apicali delle aziende diventino essi stessi innovatori, che introiettino le potenzialità della trasformazione digitale, che ne traggano conseguenze strategiche e non tattiche.
  • Innovare vuol dire avere il massimo rispetto dei soldi dei cittadini e quindi tagliare gli sprechi sempre e dovunque. Ma vuol dire anche aver chiaro che spreco non è un’entità astratta, ma è quell’impiego di risorse che, magari anche efficientissimo, non produce valore. È spreco legificare troppo, è spreco un onere burocratico inutile, è spreco comprare tecnologia avanzatissima, magari per far piacere ad un singolo primario pur illuminato, dove non ci sono le condizioni per usarla al meglio, è spreco non impiegare tutto il potenziale delle professioni sanitarie per conservare intatte isole di piccoli e obsoleti poteri di lobby professionali.
  • Innovare vuol dire condividere dati e informazioni e usare la tecnologia per ampliare e rafforzare la collaborazione. Anche il miglior Fascicolo Sanitario Elettronico che sia portato come un santino da professionista a professionista e che non diventi mai occasione di lavoro di equipe somiglia al mio vecchio Commodore che lavorava solo senza connessioni.
  • Innovare vuol dire non sostituire, ma supportare chi deve prendere decisioni complesse fornendogli quelle basi di conoscenza e quelle analisi predittive, fondate sui dati, che gli permettano di scegliere sulla base dell’evidenza. Le tecnologie ci sono, le esperienze pure, bisogna avere il coraggio di guardare la realtà per com’è attraverso le evidenze. I bias nati dal non sapere o voler guardare i dati sono all’ordine del giorno. Bisogna passare da un’informatizzazione basata sulla “dematerializzazione” (che brutta parola e che brutto concetto) dei documenti alla trasformazione digitale centrata sul dato.
  • Innovare vuol dire portare i servizi dove sono i cittadini e non viceversa. Va creata una “Sanità a Km zero” per ripensare i servizi. Non sono i cittadini che devono venire a trovare la sanità pubblica in un, seppur unico o semplice, “portale”, ma sono i servizi che devono andare dove sono i cittadini: su mobile, attraverso app, nei luoghi dell’aggregazione per prendersi in carico di chi (pochi se usiamo gli strumenti giusti) non ha le capacità di base per interagire online. Servizi, processi, dati devono ricomporsi attorno ai cittadini.
  • Innovare vuol dire saper bilanciare i diritti senza metterli l’uno contro l’altro. Il diritto alla trasparenza, all’efficienza, all’uso efficace dei dati per prendere decisioni non è in contrasto con il diritto alla tutela dei dati personali, alla privacy, alla sicurezza delle informazioni che ci riguardano. Dobbiamo essere accorti, ma coraggiosi. Non crearci scudi di comodo, ma sapere che non esistono posizioni manichee, ma solo soluzioni più o meno intelligenti perché più o meno appropriate allo scopo.
  • Innovare vuol dire infine prendersi cura delle innovazioni e sapere che nessun cambiamento può essere figlio di una seppur bellissima legge. L’innovazione non si fa con le norme in nessun campo, ma tantomeno in uno delicato come la sanità. È questione di paziente costruzione di percorsi di cambiamento, di attenzione e accompagnamento, di cassette degli attrezzi e di formazione, di empowerment delle organizzazioni e di engagement delle persone. Non auspichiamo quindi nuove riforme, centinaia e centinaia di nuovi articoli di legge, ma un investimento serio di risorse economiche, professionali e politiche per accompagnare il cambiamento dei comportamenti in un clima di fiducia.

Quella che immaginiamo e per cui operiamo è quindi un’innovazione possibile, ma non banale, non a portata di mano di qualche provvedimento spot, ma figlia di impegno, costanza e soprattutto coerenza nello sforzo. Tutte le storie di successo che vedremo a Roma il 20 e il 21 settembre a S@lute2017, ma anche tutte le innovazioni fallite, ci possono insegnare che il percorso dell’innovazione deve essere un sapiente mix di organizzazione, tecnologia, partecipazione, empowerment delle organizzazioni, engagement dei cittadini, solido e costante endorsement della politica.

È questo il contesto e questi sono i valori in cui si pone la proposta di sostegno e di accompagnamento all’innovazione di FPA e di tutto il gruppo Digital360.
La nostra missione è infatti accompagnare l’innovazione nella Sanità e nel sistema del welfare ponendosi come terza parte affidabile e abilitante, tesa all’empowerment dei decisori interni all’organizzazione, ai quali vengono fornite informazioni, metodologie e strumenti per guidare l’innovazione e il cambiamento.
FPA e tutto il Gruppo Digital360 si propone di realizzare questa missione accompagnando il cambiamento delle organizzazioni e degli approcci e potenziando l’autonomia interna e la capacità di guida e di progettazione strategica secondo un approccio collaborativo fondato sull’empowerment di tutta l’organizzazione e sul coinvolgimento attivo di tutte le componenti della cittadinanza che, specie in un tema chiave per la vita delle persone, non può che essere protagonista del cambiamento.

È on line l’accredito a S@lute 2017

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