I dipendenti pubblici a rischio di burnout: ecco le cause

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Il burnout indica lo stress provato al lavoro che determina un logorio psicofisico ed emotivo fino a portare in alcuni casi al malfunzionamento della persona. Questo può verificarsi anche nel lavoro pubblico. Vediamo le 20 cause più importanti

8 Giugno 2023

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Andrea Tironi

Project manager Digital Transformation, Consorzio.IT

Foto di M.T ElGassier su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/cugryvziO_M

Chi non ha visto il film “Quo vado” di Checco Zalone, che fa una parodia del dipendente pubblico attaccato al posto fisso fino “all’insensibilità” ad ogni situazione di disagio che gli viene creata? Personalmente l’ho trovato molto divertente, i comici bravi sono tali perché esasperano gli stereotipi rendendoli contemporaneamente ridicoli e umani. Così ha fatto Checco che era quasi “tenero” nel suo attaccamento all’unico mantra del posto fisso, insegnatogli dallo zio.

In verità il mondo della PA per la maggior parte non ha niente a che fare con quello stereotipo e l’ha dimostrato in periodo pandemico. Medici, infermieri, dipendenti pubblici di ogni tipo hanno tenuto in piedi il Paese e i cittadini si sono resi conto che quando c’è un’emergenza è allo Stato e al settore pubblico che ci si rivolge. Ed è anche a seguito della pandemia (ma non solo) che il burnout è diventato un tema significativo anche nella PA.

Credo che si parli ancora poco di questo tema, anche se recentemente ho annotato ben due articoli molto interessanti che segnalo: il primo su Apolitical, è stato anche lo spunto iniziale per queste riflessioni; il secondo su Il Sole24 ORE intitolato “Fuga dal lavoro: dalla Great Resignation al Great Burnout”.

Il burnout sta per esaurimento o surriscaldamento, e indica lo stress provato al lavoro che determina un logorio psicofisico ed emotivo fino a portare in alcuni casi al malfunzionamento della persona. Ovvero la persona “si rompe”, nel senso che fisicamente e/o mentalmente non riesce più a ricaricare le energie, quindi il suo funzionamento fisico ed emotivo viene compromesso. Questo ha conseguenze sulla resa lavorativa, ma soprattutto sulla sua persona e i suoi cari. Un fenomeno dovuto a periodi di prolungata frustrazione, rabbia, sofferenza, resistenza (per indicare alcune situazioni) a cui la persona ha fatto fronte. Ma come fa questo ad accadere nel pubblico, settore su cui pesa ancora l’idea che si lavori poco e si stia “benone”?

Vediamo le 20 cause più importanti.

  1. I civil servant, ovvero la maggior parte dei dipendenti pubblici, sono quelli che credono davvero di poter migliorare il mondo, anche con il loro piccolo supporto. Quindi continuano a spingere in questa direzione, nonostante tutti gli ostacoli che spesso incontrano nei meccanismi pubblici. Il cittadino pensa che il dipendente pubblico sia parte del “problema PA” ovvero della sua lentezza, delle sue farraginosità, del suo essere spesso paradossale e incomprensibile. A volte è vero, ma nella maggior parte dei casi anche lui è solo una vittima del sistema, un essere umano che entrato nel mondo del lavoro pubblico con grandi aspettative ha dovuto scegliere se soccombere o adattarsi e ha scelto la seconda opzione. Ci sono persone che ritengono che il tempo massimo di permanenza nella PA prima di cambiare lavoro debba essere di 3-5 anni, perché dopo si perde la spinta necessaria a credere ancora di poter cambiare le cose.
  2. La burocrazia non è creativa. Fare un lavoro con creatività bassa per 4-6-8 ore al giorno intossica il cervello, che ha bisogno di colore, creatività, spazio di movimento, idee, sviluppi. Troppo spesso la PA non è così: è un agglomerato (nemmeno scientifico o logico) di regole tra cui barcamenarsi, districarsi, cercare di fare il meglio possibile, evitare responsabilità e colpe
  3. Le persone hanno bisogno di obiettivi e risultati. Nella PA spesso gli obiettivi non sono chiari e i risultati non sono rilevanti. Fare 1 o fare 100 porta tante volte a una gratificazione equivalente, il che induce i dipendenti ad appiattirsi sul minimo risultato. Questo fa riferimento alla famosa differenza tra “function point” e “impatto”. Il function point è il concetto di “ho fatto”. Ad esempio: faccio un sito per la promozione del mio comune: il function point è “il sito è online”. Quanti lo usano? “Boh, io ho fatto”. L’impatto è: il sito è utilizzato, è utile, genera un cambiamento nei flussi turistici, etc etc.
  4. Anche se negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, troppo spesso l’immagine del dipendente pubblico come furbetto del cartellino è stata avvalorata anche a livello politico. Ergo, i dipendenti pubblici sono diventati in troppe occasioni un facile obiettivo e nemico comune. Quanti dipende pubblici quando gli chiedi “che lavoro fai?” sono orgogliosi di dirlo?
  5. Il dipendente pubblico è un generalista. Ad esempio nei comuni non esiste una scuola per “dipendente dell’anagrafe” come non esiste una scuola per “dipendente della ragioneria”. Capita poi che i dipendenti si trovino a fare cose di cui sanno poco, per cui non hanno studiato e che vengano magari spostati non per demerito ma per logiche diverse. Infine, altrettanto spesso capita che quando arriva un nuovo dipendente in un nuovo ruolo non ci sia sovrapposizione con il precedente dipendente, quindi il nuovo dipendente si trova ad imparare tutto da solo e da zero. Come se non bastasse, in alcuni enti un dipendente ricopre due o più ruoli (ragioneria, anagrafe,…) o tutti (nei comuni più piccoli) con evidente impossibilità di essere aggiornato su tutte le regole che cambiano.
  6. La logica del privato è semplice: più fatturi più guadagni, più risultati anche personali ottieni più fai carriera (poi non è detto succeda sempre, ma la logica sarebbe questa). Più sei bravo e più risultati porti, più vali. Nella PA in alcuni casi (non sempre) più fai più rischi di far sembrare gli altri poco meritevoli e di venire per questo isolato e se ottieni risultati non è detto che tu sia premiato se non con pacche sulle spalle.
  7. Il tuo management è la politica. Il manager è “amministratore o dirigente di un’azienda o di un’impresa, con poteri decisionali nella condotta delle stesse”. Il fatto è che un ente pubblico eroga servizi per la collettività, non è un’azienda, mentre il politico spesso ha driver che non necessariamente corrispondono al bene comune (come esigenze di visibilità o fede alla linea politica). Non per ultimo, può capitare che anche l’amministratore locale arrivi nella PA con preconcetti sui dipendenti pubblici e attribuisca alle persone il fatto di non riuscire a raggiungere nel tempo del privato i propri obiettivi, anche se spesso la colpa è della macchina PA e non del singolo dipendente.
  8. L’età media: la PA manca di ricambio generazionale. I giovani portano nuove energie, nuove prospettive, fiducia nel futuro. Inoltre solitamente insegnare ai giovani ravviva anche le persone più grandi: il mentoring e coaching fanno quasi meglio a chi lo fa che a chi lo riceve. Non avere nuove leve appiattisce le aziende e la PA.
  9. Gli ultimi anni sono stati difficili. Con la pandemia la PA è stata chiamata a uno sforzo collettivo notevole per continuare ad erogare i servizi non solo sanitari, spesso facendo overwork oltre le proprie mansioni, orario, possibilità.
  10. I dipendenti della PA sono persone come le altre: ovvero hanno provato gli stessi lutti, problemi sanitari, didattica a distanza, mancanza di informazioni che abbiamo provato tutti con il Covid19.
  11. Anche nella PA si è attuato lo smartworking e ora i dipendenti si trovano in molti casi a dover tornare in presenza. Ma la mentalità è ormai cambiata e questo ritorno al passato genera spesso fastidio, riduce la produttività, aumenta l’insoddisfazione.
  12. La mancanza di personale: il calo demografico sta riducendo le persone disponibili al lavoro e quindi la domanda è superiore all’offerta. Questo rende ancora meno interessante il lavoro pubblico che è caratterizzato solitamente da: bassi stipendi, scarsa qualificazione, bassa possibilità di crearsi un curriculum vitae interessante, scarsa possibilità di carriera. Uno studio recente pubblicato da Ifel ci dice che nei comuni si sono persi ⅓ dei dipendenti dal 2007 ad oggi e nei prossimi 10 anni se ne perderanno ancora ⅓, passando da circa 500.000 a circa 200.000. Questo vuol dire molto più lavoro per ogni persona.
  13. Il PNRR ha portato 191 miliardi in Italia per il recupero post pandemia. Questo ha innescato una “caccia al lavoratore” senza precedenti, svuotando le amministrazioni locali già in difficoltà e portando molti dipendenti pubblici nelle PA centrali o nel privato. Il tutto accelerando lo svuotamento degli enti più piccoli, dove si è un po’ “tuttologi” e la mansione è molto più generalista. Le incombenze sono moltiplicate, come i cambiamenti e le informazioni da recepire. La complessità tipica del privato ha improvvisamente inondato il pubblico (abituato a generare complessità ma non a riceverla in maniera esogena) e quindi sta rendendo l’aumento di lavoro dovuto alla mancanza di personale uno tsunami di novità quotidiane.
  14. Per chi ha competenze STEM la PA rischia di essere un inferno. Riunioni interminabili, intrighi di leggi, tavoli di lavoro in cui si discute all’infinito di “opinioni” e “pareri”. Questo è come, chi è stem per educazione e/o natura, vede i tavoli di amministrativisti e avvocati. Il giusto al solito sta nel mezzo, del resto se ad ogni tavolo c’è una persona con cultura stem e 9 con cultura non stem, la giusta via di mezzo è difficile da trovare.
  15. A volte la PA è stata (ed è ancora) un posto di “assistenzialismo sociale”, senza parlare di quando le scelte sono legate a motivi di conoscenza o di appartenenza politica. InPa potrebbe essere un passo avanti nel migliorare e rendere più trasparenti i percorsi di selezione.
  16. Il cambiamento esponenziale tecnologico sta coinvolgendo ogni ambiente e anche la PA. Pubblico e privato ormai vanno alla stessa velocità e subiscono gli stessi cambiamenti tecnologici, solo che la PA era una tartaruga che ora va veloce come un ghepardo, mentre il privato era già una gazzella. Passare da tartaruga a ghepardo richiede un bel salto di velocità. E l’intelligenza artificiale che trova nei documenti e leggi della PA un ambito di applicazione favorevole, sarà un ulteriore acceleratore di cambiamento.
  17. Il sapere nella PA sta diventando obsoleto velocemente. Una volta il mondo delle leggi era lentamente mutato e la conoscenza della PA era solida e duratura. Con il PNRR e la trasformazione digitale, leggi, regole, linee guida cambiano in continuazione e quindi i dipendenti PA devono adeguarsi.
  18. Le generazioni nella PA. La PA ha un elevato numero di dipendenti che hanno iniziato a lavorare con la macchina da scrivere o i primi PC e si trovano oggi a dover capire anche di intelligenza artificiale. Questo è vero nel pubblico come nel privato, perché è la prima volta nella storia nei paesi sviluppati che troviamo 5 generazioni nel mondo del lavoro e 7 nella vita del pianeta, questo per l’aumento dell’età media. Questo rende le persone più longeve nel mondo del lavoro, costringendole a misurarsi con cambiamenti sempre più radicali.
  19. Il buon dipendente pubblico deve portare pazienza con le persone, evitare i conflitti e trovare mediazioni: questi sono aspetti centrali nel ruolo di civil servant. Ma se non ben bilanciati questi stessi aspetti sono anche la causa delle principali esplosioni emotive nel lungo termine. Tenere a bada rabbia, incomprensione, frustrazione, sottovalutazione, logiche non comprese, scarso team building, mina l’equilibrio delle persone nel lungo periodo.
  20. La migliore forma di cybersecurity è spegnere il computer. Ma poi come si lavora? La migliore forma di PA-security è non fare niente. Ma poi come si lavora? Così la burocrazia difensiva blocca gli iter in un contesto dove il rischio non è premiato o valutato come positivo. Meglio fare poco e possibilmente poter dire che ha deciso qualcun altro, così la colpa non è un problema. Questo è un tema di cultura.

Non è semplice uscire da tutti questi pattern e meccanismi che sono insiti nella PA sia centrale che locale e che causano conseguenze anche nel personale pubblico a tutti i livelli. Per cambiare è necessario un grande sforzo di cambiamento personale, generazionale, di cultura, di mentalità e metodo, che forse da uomo di HR il ministro Zangrillo potrà cercare di attivare per avere davvero “cura delle 3 milioni di persone” che compongo la sua “azienda”.

In fondo pochi sono fannulloni, la maggior parte sono civil servant. E servono davvero il Paese, per tutti.

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