Lavoro e Occupazione

Sebastiano Fadda: “Per lavorare sulle competenze, dobbiamo prima analizzare i fabbisogni nel medio termine”

Sebastiano Fadda: “Investiamo sulle competenze, ma guardando ai fabbisogni nel medio termine”
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Puntare sull’innovazione tecnologica, estendendo l’approccio e l’idea dell’industria 4.0 a tutte le attività produttive di beni e servizi. Stimolare l’innovazione organizzativa sia nel settore pubblico che in quello privato. Investire nelle competenze, ma individuando ora quali saranno i fabbisogni nel medio termine. Ecco le priorità per il nostro Paese secondo Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche)

18 Maggio 2021

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Redazione FPA

Sebastiano Fadda: “Investiamo sulle competenze, ma guardando ai fabbisogni nel medio termine”

Il tema occupazionale – quindi le politiche del lavoro ma anche la riflessione sulle competenze che servono per sostenere la ripresa e per guardare al futuro – è davvero un tema strategico, oggi più che in passato. Ne abbiamo parlato in questa intervista con Sebastiano Fadda, presidente dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), ente pubblico di ricerca che svolge analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro e dei servizi per il lavoro, delle politiche dell’istruzione e della formazione, delle politiche sociali e di tutte quelle politiche pubbliche che hanno effetti sul mercato del lavoro. Un ruolo davvero importante: l’INAPP collabora con le istituzioni europee e fa parte del Sistema statistico nazionale (SISTAN) all’interno del quale, insieme a Istat, è l’unico ente di informazione statistica. Con la sua attività, INAPP vuole quindi fornire informazioni, conoscenza e strumenti utili al policymaker per compiere le proprie scelte e ai cittadini per valutare l’impatto di tali scelte.

I cambiamenti nelle dinamiche del lavoro

In questi ultimi mesi, sottolinea Fadda, la pandemia si è combinata con una dinamica di cambiamento che era già presente nel mondo del lavoro, legata all’introduzione di nuove tecnologie, a nuove modalità di prestazione del lavoro, all’evoluzione dei processi produttivi, alla richiesta di nuove competenze. Con la pandemia da una parte abbiamo capito che molte forme di prestazione lavorativa potevano essere svolte a distanza, dall’altra attività non “remotizzabili” hanno dovuto chiudere con perdita di posti di lavoro in molti settori. Però questa “frustata” ha anche spinto le imprese a verificare nuovi modelli di organizzazione del lavoro, nuovi modelli di business, nuovi modelli di processi produttivi che consentissero una combinazione di lavoro da remoto con lavoro in presenza. Se è vero che alcuni settori richiedono la presenza fisica, è anche vero che la diffusione trasversale e pervasiva delle nuove tecnologie rende ormai remotizzabili lavori che prima non lo erano, pensiamo per esempio alla telemedicina e all’assistenza agli anziani. Ciò che veramente è andato in crisi è una forma di attività lavorativa: tutte quelle attività che venivano svolte attraverso contratti a tempo determinato, part time, partite iva e tipi di collaborazione deboli dal punto di vista strutturale. Questo ha creato grosse disuguaglianze.

Le competenze manageriali

In Italia abbiamo come sappiamo bene una carenza di competenze digitali, dovuta non solo alla scarsa alfabetizzazione, ma anche allo scarso utilizzo degli strumenti digitali e dalla presenza di aree di digital divide. Ma va sottolineata anche la carenza di competenze manageriali, che sono centrali nella nuova organizzazione del lavoro “ibrida” che si va delineando. Queste riguardano sia la padronanza delle nuove tecnologie per reingegnerizzare i processi produttivi, ma anche competenze di leadership, capacità di valutazione del risultato in termini di soluzione di problemi, capacità di gestire la relazione sociale all’interno dell’organizzazione, come organizzare e utilizzare gli spazi in modo nuovo, quindi le competenze manageriali devono anch’esse compiere un bel salto in avanti.

Il ruolo della pubblica amministrazione

La pubblica amministrazione ha ancora dentro di sé la tendenza a basarsi sulla regolarità, sulla ripetitività, sulla conformità alle disposizioni legislative, questo è un limite che viene inculcato già dall’inizio, fin dalla formazione di chi lavora nella PA, che è quasi esclusivamente di natura giuridica. Ma quando ci si trova davanti a problemi nuovi, entrano in ballo due competenze che non sono ancora sviluppate: quella del problem framing e quella del problem solving, quindi percepire quali sono i nuovi problemi cui la pubblica amministrazione deve dare risposta e capire come risolverli uscendo dalle procedure routinarie. Questo ha un impatto anche sul tema del turnover, che va sviluppato all’interno della stessa pubblica amministrazione, il problema non è solo la carenza di personale ma anche la distribuzione interna.

Tre priorità su cui lavorare

Puntare sull’innovazione tecnologica per aumentare la produttività, estendendo l’approccio dell’industria 4.0 a tutte le attività produttive di beni e servizi. Stimolare l’innovazione organizzativa sia nel settore pubblico che in quello privato. Investire nelle competenze, ma individuando fin da ora quali saranno i fabbisogni nel medio termine. Ecco, in conclusione, le priorità per il nostro Paese secondo Sebastiano Fadda. In particolare, l’analisi previsionale dei fabbisogni di competenze è indispensabile per adottare strategie adeguate che favoriscano gli altri due obiettivi: il miglioramento della produttività con le nuove tecnologie e il miglioramento dell’organizzazione dei sistemi produttivi e del lavoro.

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