“Libro Bianco delle Responsive Cities”: ecco le proposte della nostra community per sostenere i processi di innovazione urbana

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I prossimi saranno anni chiave per il futuro delle città. Il “Libro Bianco delle Responsive Cities” di FPA presenta gli input raccolti nel corso di tutto il 2020 e i contributi pervenuti nella recente fase di consultazione pubblica. Al centro, la consapevolezza del ruolo delle città per sostenere (e guidare) i processi di innovazione e la necessità di un solido approccio programmatico per la roadmap dei prossimi anni

18 Febbraio 2021

M

Clara Musacchio

Ricercatrice FPA

Photo by okta reza fakhlevi on Unsplash - https://unsplash.com/photos/pvKhmRqbLPo

Si è conclusa il 2 febbraio la consultazione pubblica del “Libro Bianco delle Responsive Cities”, esito del percorso di ascolto e di confronto che FPA ha svolto nel 2020 con sindaci, assessori all’innovazione e gestori delle utilities nei numerosi appuntamenti dedicati all’innovazione urbana. Dalla consultazione sono arrivati diversi contributi, che hanno ulteriormente alimentato, articolato e precisato gli “ambiti di riflessione” e le “scelte da compiere” emersi con dirompenza durante la pandemia, ma destinati con tutta probabilità ad avere uno sviluppo duraturo. Ecco una sintesi di quanto emerso nei diversi ambiti. Il “Libro Bianco delle Responsive Cities”, disponibile in libera consultazione, sarà presentato in dettaglio e commentato durante la rubrica del venerdì “Sulle tracce dell’innovazione” (venerdì 19 febbraio, ore 10), con alcuni dei protagonisti del percorso che ha portato alla sua realizzazione.

Conoscenza della città 

È emersa l’esigenza prioritaria di disporre di idonei strumenti di presidio del territorio, in grado di fornire dati e informazioni che consentano azioni tempestive, riducendo al minimo interferenze e inefficienze.  

Ulteriori segnalazioni hanno riguardato l’interoperabilità dei dati, i modelli di governance collaborativa per gestire l’intero ciclo di vista dei dati, l’aggiornamento delle competenze, l’opportunità di affidare al livello locale una “produzione della sostenibilità” collegata al monitoraggio del territorio attraverso sistemi di sensoristica diffusa, fino alla proposta di Rosa Di Palma – precisamente articolata in un suo possibile quadro normativo – di realizzare una “Anagrafe Nazionale Immobiliare Digitale”. 

Condivisione delle informazioni 

Sul versante della condivisione delle informazioni tra gli attori del territorio, nel riconoscere come la circolazione dei dati che ci riguardano sia una condizione ineludibile dei processi di crescita, gli stimoli che abbiamo ricevuto hanno segnalato, tra le altre cose: l’importanza di assumere il Regolamento 2016/679 non come un adempimento ma come uno strumento abilitante la libera (e sicura) circolazione dei dati (Patrizia Cardillo); la necessità di consolidare le esperienze di collaborazione con gli attori del territorio avviate durante la pandemia, valorizzando le professionalità e le competenze per gestire nel modo migliore i processi partecipati (Franco Amigoni); l’opportunità di rifondare, attraverso il digitale, lo «spazio politico» delle decisioni.  

«Arrivo ad ipotizzare che ciascun atto amministrativo e ogni disposizione normativa debbano essere d’ora in avanti accompagnati da una sorta di “parere digitale” in grado di valutare la compatibilità della scelta/decisione che si intende adottare con la dimensione (e la sua implementazione) digitale» ha suggerito Sebastiano Callari, assessore regionale del Friuli-Venezia Giulia e coordinatore della Commissione speciale Agenda Digitale della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. 

Fragilità urbane 

Tutti gli stimoli raccolti convergono verso la necessità di riconoscere in tempo reale l’emergere di condizioni di vulnerabilità sociale per intervenire repentinamente con azioni di sostegno, attraverso il ricorso a soluzioni innovative. Si tratta di una priorità maturata in emergenza, ma che esprime un bisogno di lungo periodo, da consolidare nella governance post-covid.  

Uso della città 

Le riflessioni hanno riguardato gli effetti di lunga durata che le restrizioni alla mobilità, il ricorso massivo allo smart working, la maggiore agilità nel ricorso alle tecnologie digitali potranno avere sul futuro delle città e, in particolare, delle “grandi città” che, con la crisi pandemica, hanno visto condizionati e ridotti il proprio dinamismo, la propria vivacità e la propria capacità attrattiva.  

Secondo Martino Pirella «gli enormi palazzi ad uffici dove lavorano migliaia di persone, così costosi in termini di affitto e manutenzione, forse non sono più così necessari. Si potrebbe assistere ad uno svuotamento importante in aree direzionali delle città e tale dinamica potrebbe contagiare anche il mercato residenziale, con ulteriori effetti a catena sul sistema dei trasporti e degli investimenti pubblici».   

Si tratta di un fenomeno sotto osservazione da parte di urbanisti, demografi e analisti del settore immobiliare, tendenzialmente d’accordo sulla lettura dei dati, ma ancora prudenti sulle ipotesi per il futuro.  

Conclusioni 

Il quadro degli input, delle raccomandazioni, delle vocazioni e degli orientamenti raccolti nel “Libro Bianco delle Responsive Cities” esprime con chiarezza una forte consapevolezza sul ruolo che le città possono avere nel sostenere (e guidare) i processi di innovazione e un solido approccio programmatico, che sarà essenziale nell’articolazione territoriale degli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (sono 11,5 i miliardi riservati alla digitalizzazione e modernizzazione della PA). Proprio la scorsa settimana i rappresentati della Commissione europea e del Parlamento europeo hanno richiamato gli Stati Membri al rispetto di un principio centrale dei propri Piani Nazionali di Ripresa sancito dal regolamento: il mandato di consultare le autorità locali. E la commissaria Elisa Ferreira, responsabile della politica regionale dell’UE, ha ribadito il “ruolo cruciale” delle città nei piani nazionali, affermando che «lo strumento di recupero e resilienza non può essere “cieco” dal punto di vista territoriale».  

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