Un utile punto di partenza: una politica pubblica integrata e mirata sulle città

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Cosa vorrebbe dal nuovo governo Christian Iaione, professore di diritto pubblico e politiche pubbliche urbane e direttore scientifico del LABoratorio per la GOVernance della città come un bene comune della LUISS Guido Carli

21 Febbraio 2018

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Patrizia Fortunato

Le iniziative a favore delle città tracciate negli ultimi anni implicano un ripensamento dell’agenda delle priorità della politica pubblica nazionale. La Strategia Nazionale per le Aree interne e i nuovi assetti istituzionali del Dipartimento per la Coesione e il Baratto Amministrativo (introdotto dalla Legge n.164/2014 art. 24), a livello nazionale, così come diverse iniziative regolatorie a livello locale (Bologna e Torino sui beni comuni urbani, Napoli sugli usi civici) dimostrano che l’innovazione avviene a livello locale e che il centro può e deve garantire una regia. È da questa premessa che parte la riflessione di Christian Iaione, professore di diritto pubblico e politiche pubbliche urbane e direttore scientifico del LABoratorio per la GOVernance della città come un bene comune della LUISS Guido Carli.

Cosa riprendere e sviluppare: reinvestimento sulle politiche pubbliche territoriali e valorizzazione delle forme di collaborazione civica e pubblica
“Partirei da quanto è stato fatto in tema di Aree interne, da un lato, e di Baratto amministrativo, dall’altro: potrebbero essere due segnali che vanno nella direzione giusta, anche se sicuramente imperfetti per stessa ammissione di chi li ha pensati. Potrebbe diventare centrale nell’agenda un reinvestimento sulle politiche pubbliche che dedichino più attenzione al territorio, alle città, ai comuni, con strumenti che variano a seconda delle dimensioni e delle caratteristiche delle diverse amministrazioni e dei diversi territori. Anche il lavoro fatto sulle città metropolitane, a seguito della Legge Delrio che ne ha ridisegnato le competenze amministrative, e soprattutto la missione vanno letti in quest’ottica. Maggiore attenzione andrebbe data alle forme di collaborazione civica e pubblica. Possiamo chiamare il tema come la ‘necessità di risolvere i problemi insieme’, quindi l’idea di un’amministrazione che non sia più un organismo autocentrato, autoreferenziale, ma che decida di costruire e affiancare a sé una gamba amministrativa nuova, una amministrazione di comunità. Tutto questo implica sicuramente un forte investimento su nuovi meccanismi di controllo e soprattutto su un rafforzamento dei meccanismi che possono preservare e diffondere etica pubblica dentro e fuori la PA”.

Cosa abbandonare: il principio di diffidenza amministrativa e l’assenza di coordinamento degli interventi
“La collaborazione civica e pubblica si concretizza nella messa in comune di energie, questo presuppone la necessità di liberare le persone che stanno dentro le amministrazioni e il loro tempo da una serie di adempimenti che servono ad assecondare il principio di diffidenza amministrativa che vedo come il maggiore ostacolo alla collaborazione. È chiaro che la diffidenza amministrativa (verso il collega come verso l’esterno) porta a ulteriore corruzione: più si rende complessa la realtà più aumentano i costi di transazione e quindi i livelli di intermediazione.
Il tema fondamentale è come liberiamo chi lavora dentro l’amministrazione e dentro la società da un dialogo che è centrato su questo principio di diffidenza. A chi sta dentro viene detto ‘non fidarti né di chi sta fuori né chi ti sta accanto’ e a chi sta fuori viene detto ‘se vuoi avere a che fare con la pubblica amministrazione devi dotarti di un apparato di gestione delle relazioni con la pubblica amministrazione’ (i.e. lobbisti, avvocati, commercialisti, e intermediari di ogni sorta). Questo è un incentivo a dotarsi di una serie di tecniche, competenze, professionalità per influenzare la decisione amministrativa, non per co-costruirla in maniera trasparente e paritaria.
Lavorerei intorno a questo principio di diffidenza e cercherei di controbilanciarlo con il principio di fiducia reciproca e tutti i meccanismi che possono servire a evitare comportamenti di defezione dalla reciprocità, così come meccanismi di controllo sociale delle attività di cura dell’interesse generale. Bisognerebbe provare a capire come ci si può fidare dell’altro e ripartire da una assunzione di responsabilità sociale da parte di chi lavora dentro o con l’amministrazione, diffondendo l’idea che è un dovere civico prendersi cura della cosa pubblica e della città in primis.
Altro elemento che non ha funzionato nel passato è la necessità di connettere la trasformazione dell’amministrazione a temi come lo sviluppo economico del paese e dei territori, da un lato, e all’investimento sulla ricerca, dall’altro.
La collaborazione civica e pubblica richiede tanto all’apparato amministrativo-burocratico quanto all’amministrazione di comunità di capire due cose: che devono lavorare assieme e coordinarsi anche internamente; che il loro ruolo oggi non è solo politico, civico, sociale o amministrativo. È soprattutto portare a casa risultati (non produrre carta o belle operazioni di comunicazione, sensibilizzazione, ecc.) e svolgere un ruolo di motore dello sviluppo economico, creazione di lavoro, riduzione delle disuguaglianze, lotta alla povertà, inclusione degli esclusi. Sembrano aver perso questa rotta che era nella mission statement di entrambi alle origini. Lo si vede con il tema delle periferie, per cui tanti segmenti del ‘centro’ per esempio si sono occupati del tema – la cultura, le Infrastrutture, lo sviluppo economico, il Parlamento, la Presidenza del Consiglio, il MIUR – nessuno ha pensato o è riuscito a occuparsene insieme ad un altro. L’associazionismo e l’innovazionismo (nuova branca del sociale) dal canto loro sprizzano di progetti. Manca anche qui la capacità di coordinamento e soprattutto il principio di realtà. A volte sono bei progetti, più spesso semplici belle idee che durano il tempo del finanziamento di questa o quella fondazione, di questo o quel fondo pubblico e quando si spengono i riflettori il territorio rimane con un fantastico album di foto su facebook. Si valuta pochissimo l’impatto reale che producono”.

Cosa vorrei per il 2018: una politica pubblica integrata e un nuovo modello comportamentale all’interno delle istituzioni e del sociale
“Bisognerebbe fare una politica pubblica integrata in cui tutti gli attori pubblici suonano lo stesso spartito. Ognuno aggiunge il suo pezzo, per cui ci sarà necessità di cultura e creatività, formazione e lavoro, investimento sulle risorse umane, rigenerazione degli spazi urbani. Ad esempio, il bando per la riqualificazione delle periferie si è occupato di queste aree soltanto ragionando in un’ottica materiale, mentre avrebbe dovuto integrare il criterio dell’immaterialità. Il punto fondamentale è anche la generosità degli attori, basterebbe semplicemente abbandonare la coltivazione dei recinti che è un riflesso comportamentale; un preciso modello comportamentale che caratterizza le nostre istituzioni e la nostra società. Infine, vorrei che questo paese fosse in grado di esprimere un potere democraticamente legittimato, dal punto di vista formale e sostanziale; che venissero legittimate persone ragionevoli, senza pre-condizionamenti ideologici e che ripudiano soluzioni che tendono a escludere, discriminare piuttosto che a includere. Come ogni abitante e cittadino di questo Paese, mi basterebbe una classe dirigente fatta di persone con lo sguardo rivolto verso l’alto e in avanti. Il dibattito pubblico sta completamente oscurando i veri grandi temi che l’umanità tutta dovrà porsi nel futuro, non solo gli italiani. Innanzitutto, come ci adeguiamo al cambiamento climatico e alle crisi sociali che questo sta provocando, mi riferisco alle migrazioni: più che ‘aiutarli qui o a casa loro’, vorrei restituirgli ciò che era ed è loro, la possibilità di vivere e coltivarsi in angoli di questo pianeta che sono tanto belli e prosperi quanto il nostro e che i Paesi più sviluppati hanno saccheggiato e continuano a saccheggiare, producendo i disastri che conosciamo. Infine, come ci prepariamo per un futuro in cui le risorse di questo pianeta saranno sempre più scarse, come la tecnologia sta cambiando i rapporti di forza nella società, se e come la tecnologia può diventare strumento per migliorare la nostra capacità di affrontare il futuro con maggiore ottimismo, come credo si possa e si debba fare”.

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