Open Data Maturity Report 2020. Non dimentichiamo le lezioni apprese quest’anno

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Dopo mesi a discutere di monitoraggio dei contagi e svolte data-driven per le policy nazionali e internazionali nel contrasto alla pandemia, aspettavamo con trepidazione l’Open Data Maturity Report 2020, pubblicato lo scorso 15 dicembre sul Portale Europeo dei dati. È quindi il momento di scoprire quanto il Covid-19 abbia impattato sul tema dei dati aperti

22 Dicembre 2020

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Marina Bassi

Project Officer Area Ricerca, Advisory e Formazione FPA

Torniamo con il nostro appuntamento annuale di analisi e riflessione sui dati aperti, suggerito dalla consueta pubblicazione dell’Open Data Maturity Report, arrivata alla sua sesta edizione e che, anche quest’anno, conferma l’Italia tra i fast-trackers (i paesi a veloce progressione, che includono anche Germania, Paesi Bassi e Grecia), precisamente al 9° posto (una posizione in meno rispetto all’anno scorso). Prima di approfondire, però, le quattro dimensioni ormai consolidate del report[1], ecco il primo elemento che cattura l’attenzione come novità di quest’anno[2]: l’aggiunta del paragrafo iniziale Trend 2020, che non stupisce più di tanto considerando la portata di quanto accaduto in Europa e nel mondo.

Considerazioni introduttive

Partiamo quindi proprio da queste considerazioni introduttive al report.

Pandemia COVID-19 e reale necessità di dati

L’Europa è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi fissati a livello europeo per quanto riguarda gli Open Data[3] e renderli disponibili in modo che i cittadini possano riutilizzarli. Rispettando le aspettative, quest’anno i Paesi europei hanno infatti mostrato un forte aumento del livello generale di maturità (Figura 1), di cui forse un merito – se possiamo chiamarlo così – è proprio da riconoscere all’emergenza sanitaria. La necessità di risposta alla pandemia ha portato molti Paesi a sviluppare iniziative e dashboard per rendere i dati più facilmente comprensibili e approfonditi.

Garanzia di interoperabilità

Com’era naturale che accadesse, quest’anno ci ha anche dimostrato come non basti, da sola, la pubblicazione di dati aperti per creare valore pubblico. L’attenzione della Commissione Europea[4] e degli Stati membri si è spostata quest’anno dalla quantità di dati resi disponibili alla qualità (completezza, metadatazione, aggiornamento) di questi ultimi. Tutto ciò per una questione pratica: la qualità è il fattore abilitante per garantire l’interoperabilità. Creare dati aperti di qualità significa rendere più facile lo scambio di dati tra le macchine e, a sua volta, lo scambio di dati immediato permette a qualunque “ri-utilizzatore” di creare nuovi prodotti, quindi nuova economia.

Corretta e continua misurazione degli impatti

Tra i trend di quest’anno rientra anche la consapevolezza che, fino ad oggi, la misurazione dell’impatto generato dai dati aperti non è stata univoca, valida trasversalmente (ciò, peraltro, attiene anche alla lettura e interpretazione dei dati, basti pensare alle differenze di lettura sull’andamento dei contagi tra Paesi). Misurare l’impatto è un compito complesso e non esiste ancora un’opinione condivisa su come farlo al meglio, sebbene le intenzioni della Commissione europea riguardino la costruzione di un quadro di impatto condiviso nei prossimi anni[5].

Livello generale di maturità del 2020 in Europa

Entriamo ora nel merito della misurazione di quest’anno. Com’è cambiata la panoramica generale degli Stati membri, anche alla luce degli eventi che hanno caratterizzato questo 2020? Sulla maturità generale dei Paesi europei abbiamo già sottolineato lo scatto in avanti, come mostra anche la Figura 2.

In sintesi, la media europea di maturità sale al 78% (da considerare sul totale di 27 Stati membri a partire da quest’anno), aumentando del 12% rispetto allo scorso anno, e si registra l’ottimo andamento di 18 Paesi su 27, che superano la già positiva media.

Un buon anno per la Danimarca, inoltre, che si posiziona per la prima volta al primo posto.

Le quattro dimensioni

Buono l’andamento anche sul dettaglio delle quattro dimensioni.

Open Data Policy

Come nel 2019, la dimensione policy risulta la più matura, con un punteggio medio dell’85%. Da tempo, infatti, i Paesi europei hanno realizzato e perfezionato i loro quadri normativi perché includessero riferimenti ai dati aperti, e ancor di più quest’anno considerando la forte spinta europea con la Direttiva 1024/2019 al riuso. E a proposito di riuso, è interessante il comportamento di alcuni Paesi – tra cui Austria, Spagna e Olanda[6] – in termini di rilascio di dati dinamici e real time.

Open Data Portal

Accelerata anche sui portali europei, che arrivano al 79% di maturità. Seguendo il fil-rouge della spinta al riuso, è interessante registrare su questo punto come la quasi totalità (23) dei portali analizzati abbiano implementato una sezione per promuovere la creazione di prodotti basati su dati aperti. Il portale francese, ad esempio, è stato aggiornato con una sezione ad hoc per la segnalazione e presentazione di casi di riuso partendo dagli stessi dataset disponibili sul portale[7]. Il portale lussemburghese permette invece, a partire da quest’anno, di mettere in contatto ti-utilizzatori di dati e aspiranti tali, al fine di promuovere la massima collaborazione anche tra privati con interesse nell’uso di dati.

Open Data Quality

Ottimo il passo avanti in termini di qualità dei dati aperti, che arriva al 76% nel 2020 (nel 2019 si arrivava al 65%). Quando parliamo di qualità, ci riferiamo certamente anche alla compliance con gli standard di metadatazione. Su questo punto, al 2020 il 78% degli Stati membri garantisce la governance dei criteri di metadatazione, consapevoli dell’importanza dell’aggiornamento che deve accompagnare i dati. È il caso, ad esempio, di Paesi come la Danimarca e Grecia, che stabiliscono per legge l’aggiornamento mandatorio dei metadati a ogni aggiornamento dei relativi dati.

Open Data Impact

Curioso il risultato della dimensione riguardante l’impatto. Sebbene nettamente superiore alla maturità del 2019 (57%), continua a risultare il più basso dei quattro indicatori, sottolineando ancora una volta l’importanza di lavorare da qui in avanti su un quadro di riferimento europeo condiviso. Ciò è tanto più vero se si considera che il 78% degli Stati membri ha stabilito autonomamente una definizione di “impatto degli Open Data”, e il 70% di questi si sta impegnando nella realizzazione di una metodologia di analisi degli impatti. In Austria, ad esempio, l’impatto degli Open Data è associato al numero di applicazioni sviluppate utilizzando dati aperti; in Danimarca, l’impatto è monitorato a partire dagli effetti del riuso dei dati sulla produzione; in Slovenia l’impatto è misurato a partire da quattro indicatori letti singolarmente (trasparenza di governo, economia digitale, tutela ambientale e funzionamento efficiente).

Focus sull’Italia. Non dimentichiamo le lezioni apprese quest’anno

L’Italia si posiziona, come detto, in 9° posizione: tra i fast-trackers, come lo scorso anno, perdendo però una posizione. Che cosa è successo?

Il factsheet di dettaglio premia l’Italia per quanto riguarda gli aspetti di:

  • Open Data Policy, e non stentiamo a crederlo, soprattutto se consideriamo alcuni passaggi normativi importanti di quest’anno, come il documento di “Strategia per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione del Paese 2025” a cura del Ministro Paola Pisano, che con l’azione A-09 – dati per le città del futuro, stressa un’attenzione alla collaborazione tra enti pubblici e fornitori di servizi «per il miglioramento […] delle politiche di open innovation»; oppure ancora con gli aggiornamenti sul Capitolo Dati nel nuovo Piano Triennale 2020-2022;
  • Open Data Impact, spinto particolarmente dalla forte collaborazione tra istituzioni pubbliche, enti di ricerca e società civile di quest’anno. Non a caso è citato proprio all’interno dell’Open Data Maturity Report il caso del Dipartimento della Protezione Civile che, in collaborazione e su suggerimento dell’Associazione OnData ha potenziato notevolmente la dashboard dei dati sui contagi, rilasciati a partire dalla prima decade di marzo in tempo reale e in maniera aperta.

Se tutto questo è vero, perché la 9° posizione allora? In termini di awareness, innanzitutto, pare che esista ancora una barriera tra l’offerta di dati nel nostro Paese, e l’effettiva domanda da parte di cittadini e imprese[8]. La sfida per il prossimo futuro riguarda la sensibilizzazione sul potenziale, anche commerciale, dei dati aperti, per imprese e professionisti. Per superare questo limite, le amministrazioni sono già al lavoro con l’obiettivo di trasmettere la consapevolezza sui vantaggi del riutilizzo dei dati aperti. A questa sfida si aggiunge il necessario potenziamento tecnico del Portale Nazionale dei Dati, che dovrà tenere conto dell’evoluzione del Catalogo Nazionale dei dati, come da indicazioni del Piano Triennale.

In sintesi, quello che il nostro Paese dovrà fare a partire da gennaio 2021 è non dimenticare le lezioni apprese quest’anno, così difficile e così pieno di potenziale per il futuro dei dati: meno speranza nei buoni civic hacker e nella società civile; più coordinamento tra amministrazioni centrali e locali; sensibilizzazione all’uso dei dati da parte del settore privato; evidenze sui vantaggi concreti del riuso.


[1] Policy, Impact, Portal, Quality.

[2] È una novità anche il coinvolgimento, oltre ai 27 Stati Membri e l’EFTA, anche dei Paesi afferenti alla cosiddetta “partnership orientale” (Azerbaijan, Georgia, Moldova, and Ukraine) e al Regno Unito, fino allo scorso anno incluso nel primo gruppo di Paesi analizzati.

[3] Gli obiettivi sono stati chiariti dalla Direttiva 1024/2019 sull’individuazione dei cosiddetti high value dataset che ciascuno Stato Membro è chiamato a individuare per favore il riuso, di cui abbiamo parlato lungamente lo scorso anno.

[4] Si vedano, a tal proposito, le considerazioni di Emanuele Baldacci intervistato da Gianni Dominici nell’ambito del percorso #RestartItalia.

[5] Curioso, a tal proposito, anche la struttura dell’Open Data Maturity Report stesso, che quest’anno riporta la dimensione Impact al secondo posto, tradizionalmente occupato dalla dimensione Portal.

[6] In Austria, il “Framework for Open Government Data Platforms” la pubblicazione di dati (accompagnati da API) subito a seguito della raccolta; in Spagna la strategia sui dati aperti 2020-2021 include azioni volte a pubblicare dati in tempo reale indicando le relative applicazioni pratiche, come dati di traffico o inquinamento acustico; in Olanda il governo ha lanciato a febbraio 2020 la strategia nazionale di riuso di dati in tempo reale.

[7] Un esperimento di questo tipo è peraltro stato avviato già nel 2018 – in Italia – nella Regione Campania, con il progetto Open Campania Crea nato nell’ambito di Open Data Campania. Il progetto riguarda la creazione di cosiddette “Data Stories” di visualizzazione dati ottimizzate per specifici dataset.

[8] Lo dimostra anche il posizionamento italiano in terzultima posizione tra gli Stati membri per visita ai portali Open Data, avanti solo a Germania e Lituania.

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