Cad, formare i dipendenti: gli errori da non fare

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L’articolo 13 sulla formazione informatica dei dipendenti pubblici stabilisce che le politiche di formazione sono volte allo sviluppo delle competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali dei dirigenti, per la transizione alla modalità operativa digitale. Qualche riflessione sul tema, non da esperto, ma da professionista che di formazione e supporto alle PA ne ha fatta abbastanza per capire cosa va bene, cosa va migliorato e cosa proprio non serve.

10 Ottobre 2016

Tra i tanti dibattiti in corso sul CAD c’è quello sulle esigenze di formazione del personale della pubblica amministrazione. Ma anche della necessità di alfabetizzazione informatica dei cittadini come stabilito appunto nel nuovo articolo 8 del CAD (il decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179 che modifica il Codice dell’amministrazione digitale, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 13 settembre ed entrato in vigore il giorno seguente).

Molto importante anche l’articolo 13 sulla formazione informatica dei dipendenti pubblici dove si stabilisce che le politiche di formazione sono altresì volte allo sviluppo delle competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali dei dirigenti, per la transizione alla modalità operativa digitale. Nel seguito qualche riflessione sul tema, non da esperto, ma da professionista che di formazione e supporto alle PA ne ha fatta abbastanza per capire cosa va bene, cosa va migliorato e cosa proprio non serve. Cioè, a me è capitato questo.

Cosa va bene

La formazione è indispensabile. In ogni attività lavorativa sapere cosa si deve fare, come farlo e al meglio della produttività è la base. Nella pubblica amministrazione il personale viene formato per l’utilizzo degli strumenti informatici per la produttività individuale e poi scrive relazioni, compila fogli elettronici per previsioni economiche e diagrammi per l’avanzamento lavori. Questa formazione è immediatamente operativa, perché la lettera deve essere pronta e la previsione economica deve essere allegata al bilancio. Se la formazione è fatta su over 50 si hanno dei problemi come è avvenuto in varie amministrazioni dove il personale al computer era un volontario internettiano e non un vero esperto e la fila “automatizzata” era più lenta di quella a mano.

Cosa va migliorato

La formazione non è stare in aula per una giornata o varie giornate se il corso è multi tematico. Il discente deve essere indirizzato su un percorso specifico che riguarda la sua attività ma anche gli scenari di contorno. Se pensiamo alla scuola guida, abbiamo la teoria sui segnali che serve a capire come ci dobbiamo muovere; qualche rudimento sul motore serve a capire che c’è un radiatore, dei freni e se c’è olio a terra non è un buon segno. Nella mia esperienza i corsi sono dei monologhi su argomenti completamente lontani dalla specifica attività del personale. Perché fuori al
procedimento amministrativo, lontani dalle reali esigenze formative di quella persona che poi arriva tardi e va via presto. E non fa test (mi è capitato raramente) per vedere se ha perso tempo o altro.

Quindi ritengo che serva la teoria dei formatori interni che partecipano a corsi specifici e poi passano la loro cultura ai colleghi. Ma il tutto deve passare per la cultura manageriale che indirizza verso il digitale e capisce (e lo deve capire) che adesso si lavora in quel modo. Se facciamo la fattura elettronica e poi il dirigente la approva sulla stampa dell’XML siamo lontani dalla soluzione.

Cosa proprio non serve

È inutile la formazione “a pioggia”. Le descrizione avulsa di articoli, commi e regole tecniche. La spiegazione delle regole da parte dei fornitori che hanno la loro visione del mondo ingenua ma anche interessata. Serve una formazione dove il manager capisce che risparmia perché qualcuno esterno e affidabile gli insegna a reingegnerizzare i progetti, a valutare le inefficienze e ad eliminarle.

Il funzionario deve essere un tutor digitale o la struttura deve disporre di un adeguato numero di tutor digitali che aiutano i colleghi ad operare digitalmente e a ridurre drasticamente la carta (eliminare è una parola ancora forte). E’ ovvio che i tutor devono essere affidabili e quindi devono possedere delle certificazioni professionali. Esistono innumerevoli certificazioni professionali ma quella del digital manager, del record manager e altri termini equivalenti è ancora poco diffusa e soprattutto su base volontaria.

Poi bisogna diffondere sui temi più standard la tecnica dell’autoformazione. Un tipo esperto fa vedere come si accede ad un servizio via CNS, come si utilizza la PEC con il protocollo informatico, come si firma digitalmente, come ci si regola nei principali procedimenti amministrativi, ecc. E per risparmiare si produce pratica sui canali tematici RAI e poi i filmati si rendono disponibili su Internet.

Naturalmente anche un “interpello informatico” per le PA sarebbe indispensabile. Si chiede ad AgID e poi si sviluppano delle FAQ o meglio delle linee guida settoriali. Ovvero il Manuale Utente della digitalizzazione affiancato al Manuale dell’operatore di sistema della digitalizzazione. E poi si fanno applicazioni semplici come lo smart phone e leggi chiare e leggibili come un romanzo di Dan Brown.

Due piccoli aneddoti del mio ventennale di supporto sui temi del digitale.

Scusi ma per me lo zip è quello dei pantaloni (parlando di un file compresso con un funzionario di anagrafe).

Quali sono i documenti che dobbiamo conservare per legge in base al nuovo CAD? (in riferimento all’articolo 43, comma 2-bis).

E se gli incompetenti della formazione fossimo noi esperti?

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