Nel nuovo Cad passi avanti sulla formazione digitale (ma non basta)

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Il testo del nuovo Cad riconosce le competenze tecnologiche, di
informatica giuridica e manageriali come strettamente necessarie al
responsabile dell’ufficio di transizione alla modalità operativa digitale. Si sottolinea l’importanza del
tecnicismo-giuridico da parte di chi lavora nelle amministrazioni pubbliche, funzionario o dirigente che sia, con
riflesso diretto ed immediato sulle politiche di formazione del personale, da
una parte, e sui meccanismi di valutazione delle performance, dall’altro

21 Settembre 2016

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Morena Ragone, giurista, dottore di ricerca, esperta di diritti digitali, Direttivo di Stati Generali dell'Innovazione

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, lo scorso 13 settembre, con entrata in vigore il giorno successivo, del decreto legislativo n. 197/2016 di riforma del Codice dell’Amministrazione digitale – qui il testo coordinato – non ha sedato le numerose polemiche sorte in questi ultimi mesi.

Nonostante l’apprezzabile lavoro ad opera dei numerosi portatori di interessi, sollecitati dall’On. Paolo Coppola ad una discussione collettiva ed a presentare a Parlamento e Governo suggerimenti, modifiche ed integrazioni alla bozza di articolato – modifiche assolutamente necessarie dopo i pareri condizionati di Conferenza Unificata, Consiglio di Stato , Garante privacy e, in ultimo, la Commissione I della Camera– non poche sono state le osservazioni critiche mosse al testo.

La prima, che ha visto più o meno tutti concordi, riguarda il procedimento di adozione del decreto, che, soprattutto su tematiche di tale natura e diffusività, necessiterebbe di una condivisione immediata, all’atto della presentazione in Consiglio dei Ministri della bozza, prima, e all’adozione del testo definitivo, poi.

Come già accaduto in precedenza, invece, dall’adozione del testo definitivo dello scorso 10 agosto, si è dovuta attendere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per poter visionare il testo, a distanza di oltre un mese. Con, in più, come sappiamo, l’aggravante – caratteristica del decreti legislativi – dell’entrata in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione, seppure con previsione di un regime transitorio.

> Questo articolo è parte del dossier “Speciale Cad. Inizia la fase attuativa, l’analisi di FPA e dei nostri esperti”

Un iter che – soprattutto se si considera l’apporto partecipativo fornito dai portatori di interesse esterni, non ha, a mio avviso, più alcuna ragione d’essere.

Eppure, il testo definitivo ha delle felici intuizioni.

In un precedente articolo su altra testata ne ho evidenziate un paio, che ritengo davvero interessanti, e che, se ben strutturate e rese effettive – punto da non sottovalutare -, porteranno benefici a tutte le P.A.

Mi riferisco alla previsione del riformato art. 8, relativo alla “ alfabetizzazione informatica dei cittadini ” che inserisce, accanto allo sviluppo delle competenze digitali, quelle di informatica giuridica e l’utilizzo dei servizi digitali delle pubbliche amministrazioni con azioni specifiche e concrete , precisando che il servizio radiotelevisivo potrà essere utilizzato allo scopo – e ben venga il riconoscimento, vista la capacità di penetrazione di radio e tv, anche se la specifica avrebbe potuto trovare posto in una normativa secondaria.

Analogamente, il nuovo comma 1-bis dell’articolo 13 prevede che “le politiche di formazione di cui al comma 1 sono altres ì volte allo sviluppo delle competenze tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali dei dirigenti, per la transizione alla modalit à operativa digitale”. Anche i dirigenti, quindi, dovranno “andare a scuola”, ed acquisire quelle che, ormai, sono considerate competenze minime e necessarie per la svolgimento dei compiti d’ufficio.

Disposizione ripresa, pari pari, dal nuovo comma 1-ter dell’articolo 17, che annovera le adeguate

Non da meno l’apertura prevista dall’art. 12, comma 3-bis, che dispone che “ i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, favoriscono l’uso da parte dei lavoratori di dispositivi elettronici personali o, se di propriet à dei predetti soggetti, personalizzabili, al fine di ottimizzare la prestazione lavorativa, nel rispetto delle condizioni di sicurezza nell’utilizzo .

L’ambiguità del concetto di “ottimizzazione della prestazione lavorativa” sarà terreno di gioco per l’applicabilità concreta della disposizione. L’invito è che non si traduca – per semplificare – in un “usa i tuoi strumenti perché l’amministrazione non è in grado di procurartene”, o, peggio, in un controllo sugli strumenti personali del lavoratore presenti sul luogo di lavoro.

Del resto, per capire come tale disposto può essere utilmente declinato basta guardare alla dottrina statunitense degli ultimi 7-8 anni, che dell’uso delle tecnologie sul posto di lavoro – anche per finalità estranee alla prestazione lavorativa, ma con riflessi positivi sulla stessa – ha prodotto numerosi scritti e molto interessanti.

Di certo, i colleghi che in queste stesse ore stanno scrivendo sullo stesso tema sottolineeranno altre importanti novità e criticità; mi preme, però, riprendere il ragionamento iniziale per introdurre una questione di metodo, spesso accennata ma ancora irrisolta.

Negli ultimi anni, in via ufficiale o ufficiosa, siamo stati spesso chiamati a esprimerci su testi in adozione, anche sotto forma di emendamenti.

Stavolta, grazie all’iniziativa di Paolo Coppola cui ho accennato ed alla disponibilità della Funzione Pubblica già vista sul decreto di riforma della Trasparenza (FOIA), l’iter è stato più articolato, ma ancora – a mio avviso – incompleto.

Siamo a fine settembre, entro l’anno le P.A. saranno chiamate ad adottare atti organizzativi fondamentali – penso, per il CAD, all’art. 17, che già vale da solo un ripensamento considerevole di strutture, funzioni, compiti – senza che il procedimento sia stato totalmente delineato: serviranno Linee Guida? Sembra di si. Con che tempistica? Chi le scriverà? Saremo chiamati a collaborare anche questa volta?

Ecco, sarebbe fondamentale definire, una volta per tutte, un vero iter di partecipazione, che non può limitarsi alla consultazione degli esperti esterni prevista dall’art. 18 del Codice – ossia quella Consulta Permanente che i quattro esperti della Conferenza, di nomina politica, possono consultare sulle materie del Codice, consulta limitata nella funzione e nelle materie – quel “possono” del comma 3-bis dell’articolo 18 è tutto un programma – ma che affianchi stabilmente i processi decisionali, rendendoli realmente partecipativi, come questo Governo ha più volte ribadito di voler fare in piena logica Open Government.

Questo comporterà, d’obbligo, la definizione di policy stringenti e specifiche sulla collaborazione, che indichino tempi, modalità, passaggi di ogni singola fase, effetti e possibili rimedi. Credo che solo così il lavoro – degli interni, politici e amministratori pubblici, e degli esterni portatori di interessi – avrà un senso e sarà produttivo per l’intera collettività.

Non sporadico, non occasionale, quindi, ma sistematico.

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