Non solo fatture: cinque criteri per digitalizzare i documenti (e risparmiare)

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10 Dicembre 2015

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Davide Cattane - Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione, Politecnico di Milano

Digitalizzare i documenti significa rivedere – in ottica “digitale” – il processo in cui lo specifico documento viene impiegato, per lavorare sull’impostazione e sulla gestione delle informazioni che nel documento sono raccolte. Ben diverso, quindi, dal guardare semplicemente alla dematerializzazione del documento in “senso stretto”, conservando processi, ritualità e procedure che da sempre lo hanno caratterizzato e attorno a esso sono cresciute.

Per esempio, guardando alla Fatturazione Elettronica – tanto nella PA quanto nelle imprese – digitalizzare non significa, semplicemente, dematerializzare un documento nella fase di trasmissione o ricezione (per poi, per esempio, stamparlo una volta ricevuto), ma avviare una profonda revisione del processo di gestione dei dati contenuti in questo documento, al fine di gestirne l’intero ciclo di vita in digitale. Allo stesso modo, la digitalizzazione della Fatturazione deve, necessariamente, inquadrarsi come paradigma della completa Integrazione dell’intero Ciclo dell’Ordine, in ogni sua fase (ordine, consegna, fatturazione e pagamento).

Il quadro normativo vigente (al di là di specifiche eccezioni, relative ad alcuni ambiti “verticali”) consente di dematerializzare la stragrande maggioranza dei documenti utilizzati in ambito business. Varia, naturalmente, la complessità del progetto finalizzato alla digitalizzazione dei documenti: limitata, se si lavora su documenti che sono “nativamente” informatici o digitali (praticamente tutti i documenti, tra cui spiccano quelli del Ciclo dell’Ordine, i Libri e i Registri contabili, i contratti ecc.); crescente, quando prendiamo in considerazione documenti analogici cartacei, magari contenenti elementi particolari e peculiari (per esempio firme autografe, timbri, grammatura della carta con specifica rilevanza giuridica ecc.).

In alcuni casi, questi elementi particolari sono presenti sui documenti non perché espressamente richiesti dalla disciplina generale, ma perché previsti esclusivamente da regolamenti interni (tornando ancora, per esempio, alla Fattura, i processi di approvazione al pagamento prevedono l’apposizione di firme autografe su documenti cartacei, accompagnati a numerosi passaggi di scrivanie). Nell’ottica di “semplificare” la dematerializzazione, a volte partire proprio dai regolamenti interni, per renderli coerenti con il disegno a tendere che si vuole implementare, potrebbe facilitare enormemente l’efficacia del passaggio al digitale.

Un caso a parte è, invece, l’ambito dei documenti rilevanti a fini fiscali classificabili come “analogici originali unici”: per dematerializzare questa tipologia di documenti è necessaria la presenza del pubblico ufficiale, che deve attestare la conformità del documento informatico all’originale cartaceo prima che questo venga distrutto.

L’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione della School of Management del Politecnico di Milano ha stimato i benefici e le opportunità legate alla digitalizzazione di diverse tipologie di documenti utilizzati e diffusi nelle organizzazioni, arrivando a mapparli all’interno di una matrice (Figura 1) che li “organizza” e classifica in base alla “diffusione del documento (su base annua)” – ovvero al grado di diffusione “assoluta” di ciascun dei documenti analizzati all’interno delle organizzazioni – e al “beneficio unitario” legato alla digitalizzazione di ciascuna tipologia di documento analizzato.


Figura 1 – Il valore della digitalizzazione dei documenti “di business” –  Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione

Figura 1 – Il valore della digitalizzazione dei documenti “di business” – Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione


I documenti da cui potrebbe valer la pena partire in un cammino verso la digitalizzazione sono quelli che, in generale, presentano cinque caratteristiche chiave:

  1. la consistente dimensione fisica e l’ampia diffusione della tipologia di documento (da cui derivano un elevato impiego di materiali consumabili connessi alla “materializzazione” dei documenti stessi, ma anche, potenzialmente, costi legati all’occupazione dello spazio dedicato agli archivi fisici);
  2. un elevato grado di dispersione nell’organizzazione (che richiede a ciascuna risorsa che utilizza il documento un’attività di gestione spesso destrutturata e disallineata rispetto a quelle scelte dai colleghi);
  3. una frequente necessità di accesso al documento (che impatta in modo diretto sui tempi che le risorse dedicano alla ricerca e alla consultazione dei documenti);
  4. un significativo impatto sui processi di interfaccia (se i documenti “varcano” i confini dell’organizzazione, per essere scambiati con i partner commerciali, si hanno impatti sulla “velocità” degli scambi documentali, sulla possibilità di automatizzare la gestione delle informazioni ricevute e sugli gli errori connessi alle attività di relazione con i partner);
  5. la presenza di obblighi o rischi nella conservazione (che rendono ancora più significativo il beneficio derivante dalla digitalizzazione dei documenti – si pensi, per esempio, a documenti che devono essere conservati “a vita”, che determinando la presenza di archivi cartacei enormi e difficilmente gestibili).

Tra i documenti più interessanti vi sono sia documenti “trasversali” alle diverse tipologie di organizzazioni sia documenti relativamente meno diffusi la cui dematerializzazione porta tuttavia a potenziali benefici unitari compresi tra i 50 e i 150 Euro a fascicolo[1].

In sintesi, digitalizzare non vuol dire trasformare quanto oggi è gestito e conservato su carta in file elettronici, ma significa rivedere le regole, i processi e i modelli di gestione che fino a oggi sono stati adottati dalle organizzazioni. Quasi in nessun caso il problema è considerabile come tecnologicamente complesso, anzi, in molti contesti le dinamiche necessarie al cambiamento sono ostacolate esclusivamente dal non aver compreso appieno le opportunità, il valore e gli impatti prospettici del cambiamento.

È, quindi, importante usare la leva del digitale per semplificare, introducendo una certa “rigidità procedurale” a favore del recupero di tempo e di flessibilità sulla gestione dei processi realmente critici, ovvero quelli in cui è necessario portare valore. Occorre, però, entrare nella mentalità che digitalizzare non è un processo anarchico: vanno seguite regole comuni che consentano poi di governare la “macchina digitale”. Ma, allo stesso tempo, digitalizzare non è neanche un processo strettamente normativo, per cui senza la presenza della “regola” non si può fare nulla e se la regola è incompleta si può solo fare male. Occorre riesumare il necessario buonsenso che consenta di intraprendere il cammino del cambiamento senza dover aspettare la norma e senza dover conservare uno status quo la cui convenienza è ormai di breve termine, anche per chi ne ha tratto finora beneficio.



[1] Il beneficio potenziale dipende prevalentemente e in ogni caso dalla tipologia di soluzione tecnologica adottata e dal diverso impatto sui processi che caratterizza i diversi modelli di digitalizzazione.

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