Open Data per il monitoraggio di appalti pubblici e conflitti d’interesse

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Gli open data, l’abbiamo sottolineato in molte occasioni, possono diventare uno straordinario strumento di trasparenza, controllo sociale e partecipazione dei cittadini, oltre a fornire la materia prima (in quanto disponibili e accessibili direttamente on line in formati che ne permettono l’elaborazione e il riuso) per la creazione di applicazioni di pubblica utilità, alimentando così l’innovazione e la creatività che servono da stimolo alla crescita economica. Gli open data sono un punto centrale delle politiche di open government e saranno, quindi, uno degli argomenti centrali di FORUM PA 2012. Proprio all’interno del percorso di approfondimento su questi argomenti, che ci accompagnerà fino all’evento di maggio, vi presentiamo oggi un focus curato da Marco Fioretti che, a partire dal contesto italiano fino ad arrivare a casi internazionali, affronta il tema degli open data sotto un particolare aspetto: la prevenzione dei casi di corruzione nella PA e il monitoraggio dei conflitti di interesse, in particolare nel settore degli appalti pubblici. 

14 Febbraio 2012

M

Marco Fioretti*

Articolo FPA

Gli open data, l’abbiamo sottolineato in molte occasioni, possono diventare uno straordinario strumento di trasparenza, controllo sociale e partecipazione dei cittadini, oltre a fornire la materia prima (in quanto disponibili e accessibili direttamente on line in formati che ne permettono l’elaborazione e il riuso) per la creazione di applicazioni di pubblica utilità, alimentando così l’innovazione e la creatività che servono da stimolo alla crescita economica. Gli open data sono un punto centrale delle politiche di open government e saranno, quindi, uno degli argomenti centrali di FORUM PA 2012. Proprio all’interno del percorso di approfondimento su questi argomenti, che ci accompagnerà fino all’evento di maggio, vi presentiamo oggi un focus curato da Marco Fioretti che, a partire dal contesto italiano fino ad arrivare a casi internazionali, affronta il tema degli open data sotto un particolare aspetto: la prevenzione dei casi di corruzione nella PA e il monitoraggio dei conflitti di interesse, in particolare nel settore degli appalti pubblici. 

Come informare correttamente i cittadini sulla gestione degli appalti pubblici e sui relativi conflitti d’interesse, che sono molto più numerosi e diffusi (a tutti i livelli, anche locali) di quanto si creda? Che ruolo possono avere gli Open Data in questo contesto?

Introduzione

Il contesto: appalti pubblici, corruzione e conflitti d’interesse nella PA italiana

La percezione del fenomeno corruzione: come ci vedono in Italia e all’estero 

Open data: quali iniziative in Italia e all’estero

Conclusioni

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Introduzione

Anche dopo il recente cambio di governo, il conflitto d’interessi continua a essere un tema ricorrente nella vita politica italiana. Anche se molto spesso la discussione sembra limitata a un solo caso – su cui qui non intendiamo esprimere alcun giudizio, né diretto né indiretto – in realtà di rischi di conflitto d’interesse ce ne sono tanti, continuamente e in tutti i livelli e settori della vita pubblica italiana. Allo stesso tempo, il conflitto d’interessi è solo uno degli aspetti (o delle cause) di fenomeni molto più generali, che vanno ad intaccare la competitività e la credibilità del nostro Paese. Già in un editoriale del dicembre scorso, Carlo Mochi Sismondi, presidente di FORUM PA,  ha affrontato il tema della corruzione nella PA, chiedendosi se contro questo flagello non ci sia proprio nulla da fare. Un discorso del tutto particolare, poi, vale per gli appalti pubblici, che oltre a essere una delle fonti più importanti di conflitti d’interesse, presentano problemi anche quando non c’è alcun conflitto del genere, né corruzione o infiltrazioni criminali. Usando un termine in voga, potremmo infatti dire che in Italia lo spread fra i tempi e i costi previsti per gli appalti pubblici e quelli effettivi è troppo alto, troppo spesso, a tutti i livelli, dalle Grandi Opere alla gestione ordinaria del territorio nei Comuni.

Quali misure si possono adottare per garantire una maggiore trasparenza in questo particolare settore? E, più in generale, una conoscenza diffusa – veicolata in particolare attraverso iniziative Open data – potrebbe trasformarsi in uno strumento di prevenzione nei confronti della corruzione nella PA e in un mezzo per monitorare i conflitti di interesse?

Questo breve dossier cerca di dare una risposta presentando, senza nessuna pretesa di completezza, prima una panoramica dell’attuale situazione italiana, poi alcune soluzioni già applicate in altri paesi.

Il contesto: appalti pubblici, corruzione e conflitti d’interesse nella PA italiana

In momenti difficili come quello che il nostro Paese sta attualmente attraversando, gli appalti pubblici assumono un ruolo centrale, per il loro potenziale di attenuare l’intensità della crisi e contenerne i costi occupazionali. Tali appalti svolgono questa funzione anche a livello locale, poiché (dalla sintesi della Relazione AVCP 2009) “domanda e offerta per i contratti di lavori pubblici si incontrano, il più delle volte, nello stesso ambito regionale”. Questa funzione così importante è però azzoppata da due problemi che il prof. Augusto Leggio, consigliere scientifico di ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis), nel suo studio “Corruzione e appalti pubblici” di gennaio 2011, riassume così:

  • legislazione e regolamentazione mastodontiche: 615 articoli e 58 allegati contro i 150 articoli delle due direttive europee;
  • (conseguenza diretta di questa “ipertrofia normativa”) un enorme contenzioso che si aggrava a causa della lentezza del sistema giudiziario; negli appalti di importo elevato vi è contenzioso nel 50% dei casi e il ritardo nella durata dei lavori (già mediamente pari al 78,1%) si aggrava a causa del contenzioso di un ulteriore 11% raggiungendo la cifra record dell’89,1%; ciò significa che in Italia la realizzazione di un appalto, anche a causa degli effetti e delle speculazioni sull’ipertrofia normativa dura circa il doppio di quanto previsto.

In altre occasioni, durate e costi degli appalti pubblici aumentano non (solo) perché le norme sono troppe, ma semplicemente perché sono obsolete. Due anni fa, per esempio, l’Assessore della Giunta Regionale campana Forlenza segnalava che:

Ci sono amministrazioni pubbliche che alla base dei capitolati per le loro gare d’appalto, applicano tuttora il prezzario del ’90… Ecco perché le opere si fermano, ecco perché costano 100 dopo essere state programmate per 10. Perché il prezzo vero non può essere 10. Altrimenti restano opere virtuali

Il Rapporto sull’Italia adottato dal Gruppo di Stati contro la corruzione (2009) riassume così alcune conseguenze inevitabili di questa ipertrofia e obsolescenza delle norme attuali:

  • la corruzione nella PA è molto diffusa e favorita da alcune caratteristiche specifiche del sistema amministrativo italiano, come un meccanismo di reclutamento e promozione alquanto oscuro ed inefficiente;
  • l’Italia non ha un programma anticorruzione specificamente coordinato (paragrafo 8);
  • nonostante il “notevole arsenale legislativo” allestito negli anni 90 si è avuta una nettissima diminuzione del numero delle condanne nel primo decennio di questo secolo (par. 21). Questo spesso è dovuto “all’elevata probabilità che il termine di prescrizione scadesse prima della conclusione del processo, anche in presenza di prove solide” (par. 54);
  • non esiste attualmente alcun metodo di valutazione dell’efficacia delle misure anticorruzione specificamente dedicato alla pubblica amministrazione (par. 91).

Da parte sua l’AVCP (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), nella sua Relazione annuale al Parlamento per il 2009 annunciava di aver avviato la trasformazione e valorizzazione del suo Osservatorio in un nuovo sistema capace di raccogliere e aggiornare in tempo reale i dati di tutti i contratti pubblici, che dovrebbe evolversi nella costituenda Banca dati nazionale dei Contratti pubblici (BDNCP). Il decreto legge sulle semplificazioni approvato a gennaio 2012 prevede che dal prossimo anno tutta la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico organizzativo ed economico-finanziario per la partecipazione alle procedure disciplinate dal Codice dei contratti sia acquisita e gestita proprio tramite questa Banca dati. Questa misura dovrebbe non solo portare una riduzione degli oneri amministrativi (con risparmi stimati in circa 1,3 miliardi di Euro l’anno per le amministrazioni e in 140 milioni di Euro all’anno per le piccole e medie imprese), ma anche favorire la trasparenza e il controllo dell’azione amministrativa, con ricadute positive in materia di rispetto della legalità e prevenzione dei fenomeni di corruzione.

La percezione del fenomeno corruzione: come ci vedono in Italia e all’estero

Partiamo dalle classifiche di Transparency International, una delle più autorevoli organizzazioni internazionali impegnate sul tema. Dal 2009 al 2011 l’Italia ha perso 6 posizioni nell’Indice di percezione della Corruzione (Corruption Perception Index – CPI), ritrovandosi al 69° posto tra i 182 Paesi analizzati, ultima fra i paesi più industrializzati, con conseguenze fin troppo facili da immaginare sulle probabilità di investimenti stranieri nel nostro paese. Nello stesso anno, l’Italia risultava anche la peggiore in Europa per Indice di Propensione alla Corruzione (Bribe Payers Index – BPI), l’indice con cui sempre Transparency International evidenzia la graduatoria dei Paesi corruttori tra le principali nazioni esportatrici. Occorre però segnalare per completezza le critiche a tali indici riassunte nella Relazione al Parlamento del Servizio Anticorruzione e Trasparenza per l’anno 2010: ”a proposito del CPI l’Ocse ha pubblicato a ottobre 2010 uno studio che censurava l’Indice di Transparency per una “… metodologia poco chiara e viziata da pregiudizi …”.

E ancora, ecco come viene tratteggiata la situazione italiana, in particolare in relazione al settore degli appalti pubblici, su alcuni articoli usciti sulla stampa nazionale.

Riguardo agli appalti pubblici per i Grandi Eventi, un’inchiesta di Fabio Tonacci su la Repubblica (ottobre 2011) parla di appalti nati con le "gambe storte":

Come quello da 89 milioni, assegnato col ribasso a 69 e lievitato in un anno e mezzo a 157, per la prima parte del maxi-auditorium Parco della Musica di Firenze… Le dieci grandi opere, dai nuovi auditorium al restauro del Teatro San Carlo di Napoli, dall’ampliamento dell’aeroporto di Perugia al rifacimento del Parco Dora a Torino e il parco costiero del Ponente ligure, dovevano costare 374 milioni di euro ed essere pronte, si legge nelle ordinanze del 2007 che le inseriscono nei Grandi Eventi, "in tempo utile per i festeggiamenti". Finora invece sono stati spesi 500 milioni di Euro e su nove solo due… hanno rispettato i tempi di consegna… e i soldi sono finiti

Passando alle Grandi Opere, Gabriella Colarusso su Lettera43 ha scritto a dicembre 2011:

  • I codici che regolano l’affidamento degli appalti pubblici, la realizzazione delle opere, la loro gestione sono efficaci? Garantiscono rapidità, ottimizzazione dei costi, trasparenza? A giudicare da quanto accaduto con l’ Alta velocità, si direbbe di no.
  • Il sistema di regole attuali è frammentario, caotico e non consente l’individuazione chiara e netta delle responsabilità in caso di violazioni (NdR: lo stesso concetto espresso nelle relazioni di AVCP).

Ma le fotografie più utili ai fini di questo dossier sono forse quelle che emergono da due articoli di Panorama e Corriere della Sera, che a inizio 2009 riassumono la Relazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti sulla corruzione nella Pubblica Amministrazione. Ecco i punti più rilevanti:

  • l’estensione del problema in tutti i settori e a tutti i livelli: "Truffe nei settori della spesa farmaceutica-sanitaria, dei rifiuti, e dei contributi comunitari; opere edilizie incompiute e uso sconsiderato dei prodotti finanziari derivati; danno all’immagine causato alla Pubblica amministrazione dai dipendenti pubblici che hanno intascato "mazzette"; consulenze indebite";
  • "i prezzi degli appalti salgono, e l’immagine della PA scende";
  • "a un maggior e migliore uso dei controlli, corrisponde simmetricamente un minore ricorso al codice penale";
  • (soprattutto) "I controlli interni ed esterni sull’amministrazione non sono pienamente adeguati".

Ma questi controlli devono essere esclusivamente il frutto di una azione “centralizzata”, oppure un aiuto può arrivare anche da un ampio coinvolgimento della società civile? Torniamo quindi alla domanda iniziale: come informare correttamente i cittadini sulla gestione degli appalti pubblici e sui relativi conflitti d’interesse, che sono molto più numerosi e diffusi (a tutti i livelli, anche locali) di quanto si creda? Che ruolo possono avere gli Open Data in questo contesto? Conviene a questo punto andare a vedere se in Italia esistono già iniziative di questo tipo e fare un confronto con quanto messo in campo in altri Paesi.

Open data: quali iniziative in Italia e all’estero

Le banche dati online sugli appalti pubblici sono ormai abbastanza numerose e bene organizzate, sia in Italia (da Albo Appalti a Telemat, fino al Servizio Contratti Pubblici del Ministero Infrastrutture e Trasporti) che a livello di Unione Europea. Normalmente però questi archivi online non sono Open Data. Anche quando l’accesso è gratuito e il servizio non è pensato solo per aiutare aziende in cerca di appalti, i dati non sono disponibili in formati grezzi e con licenze aperte. Questo è il caso, per esempio, del servizio di Visualizzazione Interattiva della Stima dei Tempi delle Opere. Come avevo già riassunto in un mio precedente articolo:

"VISTO calcola in tempo reale un intervallo per la durata delle principali fasi attuative (tre livelli di progettazione, affidamento, lavori) di una generica opera pubblica … interrogando le principali banche dati sugli Investimenti Pubblici" che però non sono Open Data.

Per quanto riguarda i conflitti d’interesse, al momento non sembrano essere attive in Italia iniziative Open Data su questo specifico argomento, almeno a livello di amministrazioni centrali. Per i Comuni possiamo segnalare invece un progetto che ha un grande potenziale, anche se a fine 2011 è ancora in fase alfa: OpenBilanci, che le associazioni Openpolis e Linked Open Data Italia stanno sviluppando sulla trasparenza dei bilanci di tutti gli oltre 8.000 comuni italiani, proprio per rispondere a domande sugli argomenti di questo dossier:

Quanto spende il mio comune per la manutenzione delle strade, la polizia municipale, gli asili, l’assistenza agli anziani..? Raffrontato con gli altri comuni è tanto o poco? Qual è l’andamento della spesa negli anni per questi servizi del mio comune? E chi era il sindaco di quegli anni? Come è variato il bilancio comunale col passare delle varie amministrazioni? Chi ha accumulato più debiti?

Europa

Francia

L’organizzazione Regards Citoyens ha sviluppato un progetto che, pur non avendo come obiettivo esattamente il conflitto d’interessi, è abbastanza vicino e presenta comunque aspetti interessanti per un’analisi generale dell’argomento. Insieme a Transparency International, l’organizzazione francese ha creato un sito sulla trasparenza delle attività di lobbying in Francia. Il portale contiene dati, con licenza aperta, ricavati dallo scraping (estrazione manuale o semiautomatica di dati da pagine Web) dei rapporti forniti dai parlamentari francesi su tutte le organizzazioni con cui hanno avuto incontri ufficiali. 

Quando il progetto è iniziato, il registro ufficiale del Parlamento per le attività di lobbying elencava soltanto 124 organizzazioni. Alla fine della prima fase sono emersi due risultati principali. Il primo è che solo il 38% dei parlamentari francesi si era effettivamente preso la briga di pubblicare online gli elenchi (1174 in tutto) delle organizzazioni che aveva incontrato. L’altro è l’inadeguatezza, o meglio la mancanza di completezza, del registro ufficiale. Da quelle 1174 relazioni, che documentano circa 15000 incontri, è emerso che quel 38% di parlamentari ha ricevuto ufficialmente 15451 persone (di cui, per la cronaca, solo il 24% donne) appartenenti a 4635 organizzazioni diverse.

Oltre agli obiettivi e ai primi risultati, questo progetto è interessante anche per il modo (applicabile a molte altre attività delle Pubbliche Amministrazioni) in cui i dati sono stati elaborati. Quando Regards Citoyens ha realizzato di avere troppi dati per poterli catalogare da sola, ha avviato un’azione di crowdsourcing, cioè di raccolta tramite volontari reperiti e coordinati via Internet. 3214 cittadini convocati in questo modo hanno finito il lavoro in 10 giorni (e per evitare errori nella fase di data entry, ogni singola voce dei rapporti era stata assegnata ad almeno 3 diversi volontari).

I risultati sono organizzati per settore (economia, cultura, sviluppo, energia…) e tipo di organizzazioni (aziende private, organizzazioni non profit, sindacati, gruppi religiosi…)

Slovacchia

Il portale slovacco Zasichdani.sk ha vinto il primo premio nella categoria applicazioni dell’Open Data Challenge 2011 perché fornisce risposte, sia pur parziali, alla domanda "chi è che fa affari con lo Stato?"

L’utente di Zasichdani inserisce nome e cognome di un imprenditore, o qualsiasi altra persona di cui voglia verificare l’eventuale collegamento con appalti pubblici. Il sito risponde producendo una lista di aziende a cui quella persona potrebbe essere collegata. Sta poi all’utente indicare con quali di quelle aziende la persona cercata è effettivamente in relazione.

A quel punto si otterrà un elenco di tutti gli appalti pubblici vinti da quell’azienda, completo di valore complessivo dei contratti stessi, elenco dei suoi proprietari o azionisti e altri dettagli.

Znasichdani.sk ha dei limiti, dipendenti dal fatto di non avere dati completi e aggiornati a disposizione, comunque indicati molto chiaramente nella sezione informazioni del portale stesso: il suo database contiene solo l’importo totale degli appalti, non i pagamenti o profitti effettivamente realizzati dalle ditte corrispondenti o dai loro singoli dirigenti o impiegati. Inoltre le persone citate potrebbero non aver avuto nessun coinvolgimento con i progetti segnalati e con le relative gare d’appalto. A causa della dispersione delle informazioni ufficiali in diversi settori della PA slovacca, non è (ancora) possibile segnalare esplicitamente appalti eventualmente annullati, oppure ditte che, dopo aver vinto una gara, si siano ritirate o non abbiano rispettato i relativi contratti per qualsiasi motivo.

Infine, a giugno 2011 la Corte di Bratislava ha ordinato ai gestori del sito, la Fair Play Alliance, di rimuovere le informazioni relative ai contratti ottenuti da una specifica compagnia, su richiesta esplicita di un suo rappresentante, presumibilmente per ragioni di privacy. La Fair Play Alliance è ricorsa in appello, al momento non ancora iniziato.

Ungheria

K-Monitor, un’organizzazione che controlla l’uso dei fondi pubblici in Ungheria, sta preparando un database chiamato "Network" che dovrebbe essere lanciato all’inizio del 2012. Il Network di K-Monitor raccoglierà dati da fonti online su procurement pubblico, appalti e progetti locali finanziati dell’Unione Europea, fondi per l’agricoltura, registri delle imprese e degli enti di pubblica utilità. Il database, la cui infrastruttura informatica (sviluppata da un’azienda ungherese) ha un costo intorno ai 50mila dollari, conterrà anche informazioni personali su politici e imprenditori attivi negli stessi campi. Uno degli obiettivi principali del servizio, i cui dati saranno disponibili con licenza aperta CC-By-SA, dovrebbe essere proprio la scoperta di conflitti di interessi.

Stati Uniti e America Latina

Cile

Al momento, il servizio di visualizzazione tramite Open Data dei conflitti d’interesse più mirato e anche più facile da usare potrebbe essere il cileno Inspector de Intereses.

L’Ispettore permette di valutare potenziali conflitti d’interesse di Deputati e Senatori, verificando se e come hanno proposto o votato proposte di legge, per appalti pubblici o qualsiasi altro argomento, che avrebbero un impatto su aziende ed organizzazioni in cui gli stessi deputati hanno interessi economici o sono comunque coinvolti.

È possibile effettuare ricerche sia partendo da singoli deputati che da settori dell’economia, come trasporti o commercio. Oltre alla lista dei progetti di legge e dei voti corrispondenti, sono disponibili anche le dichiarazioni ufficiali fornite dagli stessi parlamentari sui loro interessi e attività economiche.

USA

Negli Stati Uniti, l’Influence Explorer di Sunlight Foundation è simile, come idea e funzioni, al progetto di Regards Citoyens, ma molto più maturo: non si parla di conflitto di interessi in senso stretto, ma di trasparenza nel lobbying. Le varie interfacce mostrano ai visitatori chi ha finanziato e per quali importi le campagne di parlamentari e altri uomini politici, a partire dal presidente Obama. I finanziamenti sono raggruppabili per argomento, finanziatore o singolo politico. Nel caso del presidente Obama, per esempio si può vedere che i due maggiori finanziatori della sua campagna sono stati studi legali e pensionati (o aziende operanti in quei settori).

Conclusioni

Secondo il già citato Rapporto sull’Italia adottato dal Gruppo di Stati contro la corruzione, per risolvere tutti questi problemi occorre fra l’altro:

  • fare di più per la prevenzione (paragrafo 22);
  • coordinare meglio lo scambio di conoscenze nel campo della corruzione (par. 53), anche perché è fondamentale che i cittadini siano resi consapevoli delle misure adottate e dei risultati ottenuti (par. 23).

Anche il prof. Leggio, nelle conclusioni del suo studio, ribadisce che l’emissione di norme deve essere integrata da una costante verifica della loro applicazione e dei meccanismi di possibile elusione, da processi di sensibilizzazione e cooperazione delle istituzioni, del settore privato e della popolazione.

Purtroppo, le proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella PA presentate a gennaio 2012 dall’apposita Commissione sembrano limitate ad approcci tradizionali, con scarsa consapevolezza non tanto degli Open Data quanto delle nuove tecnologie in generale. La relazione suggerisce infatti: Adozione di piani anticorruzione, premi e anonimato per chi denuncia reati contro la pubblica amministrazione, sistema di rotazione per i funzionari che lavorano nei settori più a rischio, nuove incompatibilità.

La stessa impostazione si riscontra nella Relazione al Parlamento del Servizio Anticorruzione e Trasparenza per l’anno 2010, il cui paragrafo “La lettura del fenomeno attraverso la stampa” analizza quasi esclusivamente ruolo e uso di TG, quotidiani e periodici stampati, ignorando quello della Rete. Questo nonostante lo stesso rapporto (p. 60) riconosca che (corsivo nostro):

  • i cittadini denunciano [la scarsa trasparenza nelle PA, che causa] situazioni di criticità per la mancanza d’informazioni;
  • nei servizi pubblici locali, le principali criticità sul fronte della trasparenza [includono] controllo sulle singole voci tariffarie e sui procedimenti di determinazione del costo dei servizi.

Il fattore comune a tutte le relazioni ufficiali sull’argomento è la difficoltà di eseguire abbastanza controlli in tempo utile, a un costo accettabile, in maniera e con garanzie adeguate, e gli enormi costi per il paese che ne conseguono.

Ma aumentare la completezza dei controlli, riducendone allo stesso tempo costi e tempi, è proprio quello che possono fare i dati aperti. Il discorso è ancora più valido considerando che i controlli diffusi basati su tali dati sarebbero preventivi. Permettere a tutti di esaminare preventivi e procedure di assegnazione degli appalti, oppure i rischi di conflitto d’interesse, aiuta a individuare colli di bottiglia e fonti di confusione, prima ancora che di sprechi, nel minor tempo possibile, prima di costose perizie specialistiche, o addirittura processi penali.

In altre parole, aprire i dati di cui stiamo parlando consentirebbe di affrontare situazioni difficili, come quelle in cui si trovano e continueranno a trovarsi nel prossimo futuro molte PA italiane, con guadagni non trascurabili. Non necessariamente a livello economico, ma anche se non soprattutto, dal punto di vista della fiducia dei cittadini.

In linea di principio, è infatti possibilissimo che due fratelli arrivino a essere uno costruttore edile e uno assessore all’edilizia e che il secondo decida in piena autonomia e con la massima imparzialità. Il conflitto d’interessi, infatti, (vedi definizione della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (SSPA) non è un evento (come la corruzione), ma una situazione che crea o aumenta certi rischi. Allo stesso modo, è possibile anche che prezzari o altre procedure relative ad appalti pubblici non vengano più aggiornati da anni perché, effettivamente, sono ancora i migliori possibile. Ma solo aprire i relativi dati aiuta a provare queste cose, a verificare costantemente che non ci siano problemi e a ristabilire un clima di fiducia.

É comunque doveroso sottolineare che l’apertura vera dei dati già disponibili, cioè la pubblicazione dei dati grezzi, con licenze adatte e in formati adatti all’elaborazione automatica, è necessaria ma non sufficiente. Per ottenere i maggiori benefici dall’apertura dei dati su appalti e conflitti d’interesse è necessario ridurre al minimo non solo il lavoro manuale necessario per confrontarli con quelli di fonti esterne alle PA, magari internazionali come OpenCorporates, ma anche quello necessario alle PA stesse per ottenere quegli stessi dati. Purtroppo, un ostacolo notevole a questo obiettivo lo pongono le stesse PA quando continuano a richiedere quei dati (ammesso che già non li abbiano, vedi quanto diceva il ministro Brunetta sui certificati antimafia) in formato cartaceo, come fa ad esempio la Regione Veneto con le dichiarazioni sui conflitti d’interessi. Sarebbe molto più efficace, invece, cominciare prima possibile a richiedere a cittadini e aziende interessati di immettere loro stessi quei dati (anche) in appositi moduli web, nei siti delle Amministrazioni che li richiedono. La stessa procedura dovrebbe essere anche resa obbligatoria, e da ripetere tempestivamente ogni volta che i dati cambiano pena sanzioni, anche per i candidati a qualsiasi carica pubblica e per i dirigenti delle PA che già sono tenuti a fornire le stesse informazioni in formati cartacei.

Nonostante questi distinguo, appare evidente che aprire i dati relativi ad appalti pubblici e conflitti d’interesse nelle PA consentirebbe di combattere quei conflitti, e in generale la corruzione nello stesso settore, nel modo più efficace ed economico: la prevenzione. Aprire i dati significa aumentare notevolmente le possibilità di controlli incrociati (cioè affrontare il problema di base segnalato dalla Corte dei Conti e dagli altri studi citati) nel modo che costa meno alle PA, pur lasciando solo a loro la responsabilità finale di agire in base ai risultati di quei controlli. In questo contesto, i primi dati a essere aperti potrebbero essere, a livello nazionale, proprio quelli della Banca dati nazionale dei Contratti pubblici (BDNCP). Nella sua Relazione annuale per il 2010, l’AVCP ha spiegato che l’obiettivo di questa Banca datiè “potenziare la diffusione dei dati e delle informazioni nella materia dei contratti pubblici, per garantire a tutti gli operatori del mercato una conoscenza delle informazioni in tempo reale”. Perchè non aggiungere anche l’intera società civile a quegli “operatori del mercato” che dovrebbero vigilare sulla correttezza e l’efficienza di tutti gli appalti pubblici? 

Queste conclusioni e suggerimenti sono rafforzati dalle esperienze straniere presentate, che mostrano come:

  • è già possibile e utile aprire i dati relativi ad appalti pubblici e relativi conflitti d’interesse, con costi molto contenuti;
  • i risultati non sono disinformazione o confusione, ma scoperta di problemi o criticità concreti;
  • se necessario, software Open Source per queste applicazioni è già disponibile o realizzabile, sempre con costi contenuti;
  • coinvolgere i cittadini (crowdsourcing) per generare nuovi dati o riorganizzarne altri già esistenti può ridurre notevolmente tempi e costi necessari per ottenere abbastanza dati di qualità da effettuare controlli adeguati.

A livello più generale, servizi come Inspector de Intereses o Znasichdani mostrano infine anche la validità di due degli argomenti fondamentali del movimento Open Data:

1.   i dati da soli servono a poco. Quello che aggiunge valore (economico o civico, in termini di trasparenza ed efficienza delle PA, nonchè di fiducia dei cittadini) sono le connessioni fra insiemi di dati diversi e soprattutto provenienti da fonti diverse;

2.   quasi sempre, l’uso migliore di certi dati verrà in mente, o sarà effettuato in pratica, da altri, non da chi quei dati li produce. 

 

*Marco Fiorettidivulgatore, formatore, scrittore e attivista freelance, ha curato, tra l’altro, la ricerca "Open Data, Open Society" della Scuola Sant’Anna di Pisa (leggi l’intervista sul sito di FORUM PA)

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