Troppe norme e poca organicità per la pa digitale

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Da quattro anni il nostro paese ha un codice che amministra e stabilisce i doveri della pa digitale, individuando nuovi diritti per i cittadini della società dell’informazione. Eppure questi diritti raramente vengono rispettati e la pa digitale è ancora di là da venire. Come è possibile tutto ciò? Che fine hanno fatto le indicazioni contenute nel Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD)? Un recente articolo pubblicato sul sito dell’Associazione dei responsabili degli archivi digitali propone una riflessione interessante sul progressivo “svuotamento” del CAD e sulla necessità di un ripensamento complessivo.

12 Gennaio 2010

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Tommaso Del Lungo

Articolo FPA

Da quattro anni il nostro paese ha un codice che amministra e stabilisce i doveri della pa digitale, individuando nuovi diritti per i cittadini della società dell’informazione. Eppure questi diritti raramente vengono rispettati e la pa digitale è ancora di là da venire. Come è possibile tutto ciò? Che fine hanno fatto le indicazioni contenute nel Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD)? Un recente articolo pubblicato sul sito dell’Associazione dei responsabili degli archivi digitali propone una riflessione interessante sul progressivo “svuotamento” del CAD e sulla necessità di un ripensamento complessivo.

Partendo dall’analisi dell’albo pretorio on line, presentato come uno dei cardini della nuova pa digitale dalla legge 69/09, un recente articolo di Andrea Lisi e Gianni Penzo Doria propone una preoccupata riflessione sul passaggio dalla pa cartacea a quella digitale.
Nell’articolo pubblicato sul sito dell’Associazione Nazionale Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti (www.anorc.it) si legge che un problema, spesso sottovalutato, legato alla digitalizzazione della pa, è la necessità di garantire l’autenticità dei documenti amministrativi pubblicati e trasmessi on line.

Abbiamo intervistato Andrea Lisi, Presidente dell’ANORC, che ci ha illustrato il cuore della questione sollevata nell’articolo. “Quando si pensa di sostituire uno strumento tradizionale, utilizzato da decenni dalla pa, con uno digitale, dovrebbe essere preoccupazione del legislatore assicurarsi che tutti gli scopi per cui è stato pensato lo strumento tradizionale, vengano perseguiti anche da quello digitale. Purtroppo a tal proposito per l’albo pretorio on line, che sarà obbligatorio per tutte le amministrazioni dal giugno prossimo, ci sono alcune preoccupazioni”.

L’albo pretorio, infatti, viene utilizzato non solo per rendere pubblici alcuni documenti, ma anche per garantirne l’autenticità e l’integrità. Una garanzia di questo genere viene data ad un documento digitale solo attraverso una firma digitale. La legge 69 che sancisce l’obbligo della pubblicità legale, invece, non dice assolutamente nulla riguardo le specifiche di pubblicazione rimandando a regole tecniche, non ancora pubblicate.

Per spiegare meglio la portata del problema Lisi ci fa un esempio illuminante. “Un mio cliente voleva partecipare ad una gara. Sì è recato sul sito dell’amministrazione, ha scaricato il bando e ha presentato l’offerta. Dato, però, che c’era una discrepanza tra ciò che era stato pubblicato sul sito e ciò che era stato pubblicato, invece, sull’albo pretorio, la sua offerta è stata esclusa dalla gara. Per risolvere la questione l’imprenditore si è rivolto ad un notaio che ha dovuto certificare che il bando utilizzato per costruire l’offerta provenisse effettivamente dal sito dell’amministrazione… Insomma un servizio on line che non semplifica affatto la vista dei cittadini.
Mi sembra – continua Lisi – che i commentatori stiano sottovalutando il problema delle scarse garanzie di autenticità concentrandosi su altri, come la privacy, sempre importanti, ma che possono essere risolti in maniera più agevole di questo.”

Mettere on line le informazioni o i documenti?

Proviamo a mettere in evidenza quale è la questione sollevata da Lisi e Doria. Tra le molte funzioni di una amministrazione c’è quella di certificare l’autenticità di documenti contenuti nei propri archivi. Le certezze contenute negli archivi delle pa sono alla base della democrazia e parte dell’organizzazione di una pa è stata pensata proprio per assolvere questo compito. Quando nello scenario appare un nuovo strumento, ossia il web, con le sue caratteristiche peculiari, come la facile riproducibilità delle informazioni, e modificabilità dei documenti, l’organizzazione stessa della pa deve adeguarsi, adottando strumenti di “chiusura” dei documenti simili a quelli già utilizzati per il cartaceo.

La società dell’informazione è basata sulla circolazione delle informazioni, mentre la pubblica amministrazione è costruita sui documenti. Una pa informatizzata deve conciliare queste due esigenze imparando a far circolare documenti e non solo informazioni. “Il documento è un’informazione strutturata ed incontrovertibile – spiega Lisi – ma le norme che impongono la sua pubblicazione e circolazione digitale, sembrano non prendere in considerazione questo problema, così caro, invece, a chi si occupa di archivistica.

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Legge dopo legge il CAD si svuota

Un altro problema che mette in evidenza il provvedimento contenuto nella legge 69 è quello del progressivo aumento di leggi, esterne al CAD, che incidono profondamente sulla pa digitale.

Eppure l’articolo 89 dello stesso Codice della pa digitale imponeva alla Presidenza del Consiglio dei ministri di vigilare affinché ogni ulteriore norma relativa alla digitalizzazione della pa fosse attuata mediante modifica del CAD stesso. “Così non è stato – continua Lisi – Non appena si è raggiunto un minimo di completezza, con il decreto legislativo 159 del 2006, invece di lasciar passare un po’ di tempo, per consentire alla giurisprudenza e alle pa di generare prassi, il legislatore ha continuato a produrre norme (soprattutto nelle leggi finanziarie dal 2006 in poi) che pur incidendo profondamente sul concetto di amministrazione digitale non modificavano il codice. Un bricolage amministrativo che in qualche modo sta delegittimando il CAD stesso che si svuota di significato e non viene nemmeno più avvertito come CODICE, tanto che a conoscerlo sono in pochissimi”.

Il messaggio che vuole lanciare Lisi è chiaro: la digitalizzazione della pa è un processo che bisogna perseguire con tutti i mezzi ma l’impegno e la convinzione con cui stanno procedendo in questa direzione il Ministro Brunetta e la sua equipe, da soli non possono bastare. “Occupandomi di formazione mi sono reso conto, ad esempio che c’è molta confusione tra Posta Elettronica Certificata e firma digitale, oppure che enti sprovvisti di un proprio sito web su cui pubblicare l’obbligatorio albo pretorio on line, sono ancora moltissimi. Sugli strumenti digitali occorre costruire e garantire certezze simili a quelle che avevamo con la carta, e per fare ciò occorre informare e formare, un processo un po’ lento e che ancora deve essere avviato.”

Tuttavia la posizione di Lisi non è del tutto pessimista: “L’articolo 33 della legge 69 – dice – delega    il Governo a modificare il CAD prevedendo forme sanzionatorie per le amministrazioni che non ottemperino alle disposizioni del codice. È, questo, il segno che si è presa coscienza delle storture del CAD e che si sta cercando di provvedere”.

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