Tutti i problemi del nuovo Cad per la Giustizia digitale: la privacy vince sulla conoscenza

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Il disegno rinuncia ad una diretta applicazione del CAD al processo
civile telematico, utilizzando la formula della applicabilità “in
quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto”, ma solo
teoricamente, in realtà vi sono due aspetti che meritano attenzione: il
significato attribuito alle copie dei documenti e in materia di privacy

12 Febbraio 2016

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Enrico Consolandi, magistrato, tribunale di Milano

L’informatica va veloce, evolve in un attimo sotto la spinta dell’intelligenza connettiva: se si pretende di disciplinarla per legge, occorre correre almeno quanto lei, altrimenti la legge diventa un freno. Impresa difficile, soprattutto se si pretende con le norme di entrare in ogni piccolo dettaglio prima che la tecnologia e gli investimenti abbiano reso stabili ed affidabili le evoluzioni. Anche per questo il codice della amministrazione digitale, che cambia ormai pressochè ogni anno: siamo alla presentazione di un nuovo testo. Basta vedere il numero di delibere e pareri, sette differenti, citati nel preambolo di questo nuovo testo per avere una idea della difficoltà del procedimento.

> Questo articolo fa parte del dossier “Speciale CAD, grandi firme commentano il codice della PA digitale”

Bisognerebbe meditare su una normativa più semplice che rinunci ai dettagli e punti sui principi. Quello che però colpisce è che nessuno si preoccupi di sentire gli utenti della tecnologia, perché quel che fa il successo di una innovazione non è il parere della autorità, ma la concreta utilità, che ne costruisce il gradimento. E’ rischioso, perciò, un approccio eccessivamente top-down – italianamente dall’alto in basso – alla tecnologia, che trascuri la pratica applicazione.

Questo nuovo testo introduce due innovazioni allo studio da tempo, il sistema di identificazione SPID e il nodo pagamenti pubblici: da tempo in fase di realizzazione, le due importanti innovazioni di Agenzia Italia Digitale sono ancora lontane dall’essere utilizzabili e avranno necessariamente una prima fase di gioventù problematica. Una normazione prima del concreto debutto di queste novità rischia di dare una forma alla tecnologia nella quale questa può poi non riconoscersi. Così come il tramite del processo telematico scelto per via normativa nel 2009 nella posta elettronica fa sentire oggi i suoi limiti, così una normazione di SPID e nodo pagamenti prima della concreta attuazione può rivelarsi a posteriori negativa.

E’ da riflettere quindi se in particolare per la informatica la normativa debba essere di dettaglio o di principio, se cioè debba descrivere i passaggi tecnici o limitarsi stabilire principi. E sotto il profilo dei principi stupisce che vengano meno in questo progetto alcuni principi cardine.

L’art. 17 di questo disegno di legge abroga l’art. 20 comma 1 del CAD ora vigente che diceva “Il documento informatico da chiunque formato, la memorizzazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici conformi alle regole tecniche di cui all’articolo 71 sono validi e rilevanti agli effetti di legge, ai sensi delle disposizioni del presente codice.”

Principio questo nel nostro ordinamento sin dalla legge Bassanini e anche prima e della cui abrogazione sfugge la logica e la portata.

Altro principio che viene meno (art. 43 del disegno) con questa nuova formulazione del CAD è quello del’art. 52 comma 1 , che stabiliva, in un’ottica di trasparenza ed economia, un interesse pubblico sui dati informatici della pubblica amministrazione, i c.d. “Open Data”. Vero che quello degli open data era rimasto in gran parte solo un principio senza applicazioni pratiche, ma la sua abrogazione toglie anche la possibilità di evoluzioni in tal senso, rinunciandosi così alla costruzione di una “intelligenza connettiva” che coinvolga dati pubblici.

Nuovo CAD e PCT

Il disegno rinuncia ad una diretta applicazione, utilizzando la formula della applicabilità “in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto” ( art.2 del disegno, che introduce art. 2 c.6 del CAD ), del CAD al processo telematico, nonostante tutto una delle maggiori realizzazioni pubbliche in materia informatica nel nostro paese ed una delle prime nella specifica materia nel mondo. Cautela ed un certo rispetto, onde evitare le polemiche sulle modalità delle copie che si erano verificate a inizio 2015 quando le norme attuative del CAD sulle copie avevano rischiato di mettere in ginocchio il processo telematico, nel quale sono utilizzate forme assai diverse di copia.

Così teoricamente questo progetto dovrebbe avere poco significato nel PCT, ma in realtà vi sono due aspetti che meritano attenzione.

Il primo è la attribuzione di particolare significato (cfr. art. 19 del disegno che modifica art. 22 CAD) alle copie effettuate secondo le norme tecniche del CAD , che non sarebbero disconoscibili. Si tratta di un limite ai poteri del giudice e quindi ai diritti delle parti, che crea una nuova forma di fede pubblica, addirittura superiore a quella degli atti pubblici, in quanto contro questi atti, in caso di falsità, non sarebbe esperibile alcun rimedio.

Il secondo e più grave profilo è che l’art. 62 comma 5 del disegno interviene pesantemente sull’art. 52 della legge sulla privacy ( d.lgs. 196 del 2003), stabilendo un generalizzato obbligo di omissione dei nomi delle parti nella pubblicazione della giurisprudenza; attualmente la giurisprudenza su documento informatico è in parte accessibile dai siti istituzionali e anche agli avvocati sui loro punti d’accesso. Un sito alimentato per questa via con i soli provvedimenti in materia societaria di alcuni soltanto dei Tribunali italiani ha registrato in pochi anni oltre un milione di download, a riprova del fatto che la giurisprudenza costituisce un patrimonio d’interesse, anche culturale, pubblico di cui è importante la condivisione via web.

In effetti l’art. 51 del decreto privacy stabilisce il diritto a conoscere la giurisprudenza per “ chi vi abbia interesse anche mediante reti di comunicazione elettronica, ivi compreso il sito istituzionale della medesima autorita’ nella rete Internet” : anche qui un diritto poco e mal attuto ad oggi. Il punto è che in assenza di un sistema di anonimizzazione, alla realizzazione del quale mancano per lo meno due o tre anni di lavoro, anche quel poco che oggi c’è sarebbe destinato a soccombere al divieto introdotto.

Non può certo consolare che invece, ai fini di cronaca, quel che è negato ai cittadini, alla università e ai professionisti, la conoscenza dei nomi delle parti, possa invece essere divulgato a mezzo stampa. La previsione poi mal si coordina con il diritto alla anonimizzazione su richiesta previsto dalla stessa riforma del CAD con la riforma del comma 4 dell’art. 52 decreto privacy, perché la anonimizzazione o è obbligatoria o è su richiesta.

L’anonimizzazione su richiesta contempererebbe le esigenze di tutela dei singoli ed il funzionamento delle banche dati delle decisioni, le quali costituiscono uno strumento di prevedibilità delle decisioni ed hanno dunque anche un valore deflattivo dei processi.

Per altro la presenza dei nomi delle parti nelle sentenze ha un’alta valenza per la pubblicità del processo e della attività giudiziaria, che trova nell’era del documento informatico un nuovo significato, come acutamente rilevato nella analisi condotta dall’OSCE sull’accesso alle decisioni delle Corti via internet quale elemento della pubblicità della giurisdizione di cui all’art. 6 della CEDU.

Forzare alla anonimizzazione un sistema non in grado di arrivarvi sarebbe un chiaro esempio di come una norma prematura tesa a espandere i diritti dei cittadini in realtà arriverebbe a comprimerli.

Come si diceva in apertura il rapporto fra norma ed evoluzione tecnologica va gestito con estrema attenzione e flessibilità per non compromettere l’innovazione e, a volte, al contempo, i diritti stessi dei cittadini.

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