Fondi di coesione contro il caro energia: luci e ombre

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Consiglio e Parlamento Ue hanno appena approvato un ennesimo pacchetto di misure di flessibilità che consentiranno di re-indirizzare le risorse del ciclo 2014-2020 non ancora utilizzate verso forme di sostegno diretto a imprese, lavoratori e famiglie colpite dal caro energia. È difficile criticare l’utilità di questa iniziativa di fronte a uno shock che rischia di terremotare la parte più fragile del nostro tessuto economico e sociale. Ma è importante anche valutarne le implicazioni, i potenziali rischi e l’impatto sul medio e lungo periodo

16 Dicembre 2022

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Francesco Molica

Direttore Politiche Regionali della Conferenza delle Regioni Periferiche Marittime d'Europa

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La politica di coesione è chiamata ancora una volta a dare il suo contributo nell’ambito di una crisi. Il 13 dicembre scorso Parlamento, Consiglio e Commissione UE hanno trovato un accordo su REPowerEU. Il pacchetto legislativo contiene varie misure, incluso lo stanziamento di (pochi) fondi aggiuntivi, per fare fronte all’attuale shock energetico e ridurre la dipendenza europea soprattutto dal gas russo. Tra gli altri, è prevista un’ulteriore iniezione di flessibilità nella politica di coesione che consentirà alle autorità di gestione dei programmi operativi di re-indirizzare le risorse del ciclo 2014-2020 non ancora utilizzate verso forme di sostegno diretto a imprese, lavoratori e famiglie colpite dal caro energia (ma anche e più in generale dall’inflazione galoppante). In base al testo finale di REPowerEU questi interventi potranno beneficiare di un co-finanziamento UE al 100%. La quota massima di fondi che possono essere riorientati è stabilita nel 10% della dotazione nazionale.

Le misure, che emendano per la sesta volta consecutiva in tre anni il regolamento 14-20, avranno inoltre applicazione retroattiva. Sul potenziale impatto per l’Italia rimando agli articoli di Giuseppe Chiellino su Il Sole 24 Ore. In premessa, vale la pena sottolineare che è difficile criticare l’utilità di questa iniziativa di fronte a uno shock che rischia di terremotare la parte più fragile del nostro tessuto economico e sociale, per altro nel mezzo di una congiuntura internazionale resa ancora più aspra dalle ulteriori manovre protezionistiche di Cina e USA. Si tratta inoltre di provvedimenti in perfetta coerenza con le recenti azioni del ministro per la coesione Raffaele Fitto, il quale ha avviato una ricognizione delle risorse UE non spese proprio nell’ottica di utilizzarle contro il caro energia. Ma è necessario quantomeno contestualizzare e verificare le implicazioni di REPowerEU per capirne le potenziali ombre, anche dal punto di vista italiano.

Una scelta obbligata

Per prima cosa, occorre guardare alla situazione d’insieme in cui matura la proposta. Il budget dell’Ue ha una struttura rigida, con capitoli definiti su un periodo di sette anni, un netto orientamento alla spesa per investimenti, e più di due terzi delle risorse pre-assegnate a ciascuno stato membro a inizio ciclo (rendendo dunque impossibile modificarne la destinazione geografica).

Gli spazi per la cosiddetta “flessibilità”, ossia per mobilitare risorse comunitarie per le emergenze, sono molto risicati, nonostante negli anni siano stati creati e rafforzati strumenti dedicati come il Fondo Europeo di Solidarietà. La possibilità di riorientare fondi di coesione verso misure anti-crisi, concessa per la prima volta al picco della pandemia, successivamente per l’accoglienza dei profughi ucraini, e ora per mitigare l’impatto dei prezzi energetici e dell’inflazione, si configura quasi come una scelta obbligata in assenza di una vera alternativa. Per almeno tre ragioni.

La prima, lo dicevamo, è che il bilancio europeo prevede strumenti per le emergenze di dimensioni molto modeste e nemmeno remotamente adeguate a rispondere alle crisi succedutesi negli ultimi tre anni. La seconda è che, per via della fisiologica lentezza attuativa, la politica di coesione rispetto agli altri programmi o fondi europei disponeva e dispone di una mole ancora significativa di risorse non ancora spese a valere sul ciclo 14-20. La terza è che essa presenta un quadro giuridico e strumenti già a terra (i programmi operativi) per dispiegare i fondi rapidamente.

I rischi

L’impiego dei fondi di coesione come strumento anti-crisi li allontana tuttavia dalla loro funzione precipua di sostegno agli investimenti strutturali per lo sviluppo territoriale. Questa “distorsione” poteva apparire giustificata una tantum nel quadro della pandemia con l’adozione dei due pacchetti di flessibilità CRII. Ma se viene reiterata in un contesto multi-crisi o di crisi prolungata, come avvenuto con l’ulteriore flessibilità introdotta con i pacchetti CARE, FAST-CARE e ora REPowerEU, ci ritroviamo allora di fronte a una serie di rischi da non trascurare. Il primo nell’immediato è una compressione degli investimenti nelle regioni meno sviluppate del continente: sia perché parte delle risorse sono state e verranno reindirizzate verso spesa corrente (fino a ieri un tabù, almeno sulla carta); sia perché possono essere destinate verso altre aree; sia, da ultimo, in quanto non è più prevista la quota di co-finanziamento nazionale (e non è detto che i fondi nazionali svincolati siano mantenuti).

Le ricadute non vanno esagerate, in quanto ad oggi le misure di flessibilità hanno interessato solo 33 miliardi (su 380 complessivi del ciclo 14-20), a cui se ne potrebbero aggiungere fino a 40 con REPowerEU. Ma l’impatto non è nemmeno da trascurare visto che dalla crisi del 2008 in poi la politica di coesione è venuta a occupare una percentuale via via maggiore della spesa in conto capitale nelle aree a ritardo di sviluppo. Nella prospettiva italiana significa il rafforzamento di un trend negativo che ha colpito soprattutto il Mezzogiorno sin da inizio degli anni 2000 con un sostanziale declino della spesa per investimenti alimentata da risorse nazionali (sia ordinarie che addizionali).

Il PNRR può mitigare questi rischi solo in parte, in quanto le caratteristiche giuridiche e programmatiche dello strumento ne favoriscono la concentrazione spaziale in zone più sviluppate nonostante l’impegno di spendere il 40% delle risorse nel Mezzogiorno. Nel caso dell’Italia, poi, la flessibilità offre un facile incentivo all’assorbimento a danno della qualità degli investimenti.

La flessibilità sta snaturando la politica di coesione?

È però importante valutare anche l’impatto sul medio e lungo periodo del nuovo pacchetto. REPowerEU rappresenta la quarta batteria di misure di flessibilità nel quadro della politica di coesione introdotte dalla Commissione dai tempi della pandemia. Questo non solo pone un problema di stabilità regolamentare. Ma rende sempre più difficile giustificare queste misure come un’eccezione: la crescente frequenza e intensità degli shock negativi a cui è esposta l’Europa potrebbero piuttosto trasformarle nella norma. Questo significa anche che la programmazione 21-27, finora risparmiata dai venti della flessibilità, potrebbe a breve essere interessata da una più estesa revisione delle regole per permettere anche l’uso dei nuovi fondi in chiave anti-crisi.

Il motivo è anche ovvio. Diversi paesi membri e regioni potranno beneficiare della flessibilità di REPowerEU in maniera minima, o nulla, avendo già speso tutti i fondi della 14-20. Ma se l’uso dei fondi di coesione per le emergenze viene generalizzato anche nella nuova programmazione, questo non potrà non accelerarne un ripensamento degli obiettivi e del funzionamento per il futuro, anche alla luce dell’emergere di nuovi strumenti come il PNRR.

Il vero problema è che tutti i pacchetti di flessibilità fin qui partoriti contengono un evidente trade-off: consentire l’impiego delle risorse per mitigare gli effetti di breve periodo delle crisi richiede un allentamento di certi obblighi regolamentari che, a sua volta, porta a un sostanziale annacquamento dei capisaldi della politica (dall’approccio place-based al principio di partenariato) e della sua stessa identità. L’approccio scelto nei confronti del tema della flessibilità sarà anche determinante per definire gli orientamenti della politica di coesione oltre il 2027.

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