Le Unioni dei Comuni, ma chi se ne occupa?

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Questo è il terzo intervento che ForumPA dedica al tema dei piccoli Comuni e delle Unioni di Comuni. I primi due hanno preparato il terreno al Convegno tenutosi con la regia di ForumPA a Bologna il 28 gennaio, dal titolo  “Non solo Aree metropolitane: la cooperazione intercomunale dei medi e piccoli Comuni per l’innovazione e lo sviluppo”. Dell’argomento si è recentemente occupato anche il Quotidiano Enti Locali del Sole 24 Ore a riprova dell’attenzione che l’argomento merita. In questa sede presentiamo una sintesi dello studio realizzato da LGnet srl sulle Unioni dei Comuni per "La Posta del Sindaco", l’iniziativa congiunta di ForumPA, Halley ed LGnet, con la possibilità di scaricare il documento integrale della ricerca.

11 Febbraio 2015

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Nicola Melideo

Articolo FPA

Questo è il terzo intervento che ForumPA dedica al tema dei piccoli Comuni e delle Unioni di Comuni. I primi due hanno preparato il terreno al Convegno tenutosi con la regia di ForumPA a Bologna il 28 gennaio, dal titolo  “Non solo Aree metropolitane: la cooperazione intercomunale dei medi e piccoli Comuni per l’innovazione e lo sviluppo”. Dell’argomento si è recentemente occupato anche il Quotidiano Enti Locali del Sole 24 Ore a riprova dell’attenzione che l’argomento merita. In questa sede presentiamo una sintesi dello studio realizzato da LGnet srl sulle Unioni dei Comuni per "La Posta del Sindaco", l’iniziativa congiunta di ForumPA, Halley ed LGnet, con la possibilità di scaricare il documento integrale della ricerca.

La questione può essere presentata così: i piccoli Comuni sono un problema, sono tanti e creano disordine, fastidio e tanto lavoro per le superiori istanze – regionali e centrali – che debbono occuparsene per dovere istituzionale. E poi sono fonte di inefficienze e sprechi. Chi l’ha detto? Non importa, è un’opinione diffusa, lo pensano tutti.

Diventa così naturale guardare ad essi come ad uno degli attori maggiormente responsabili dello stato miserando della finanza pubblica, quando si tratta di prendere provvedimenti di contenimento della spesa e di semplificazione burocratica.

A partire da questa premessa, l’ovvia conseguenza: anziché avere quasi 6000 Comuni di piccole dimensioni, di cui almeno 3500 con meno di 2000 abitanti (in tutto fanno poco più di dieci milioni di abitanti), non sarebbe meglio poter contare “solo” su 1.000 Comuni con una popolazione media di 10.000 abitanti? Certo che sarebbe meglio. Ed è sulla base di questa stupefacente scoperta che da un quarto di secolo, con alcune variazioni sul tema, si insiste con le Unioni dei Comuni, ed è da un quarto di secolo che fallimenti si succedono a fallimenti. Fino ad arrivare alla legge (DL 78/2010) che, finiti i soldi per incentivare le Unioni volontarie, stabilisce l’obbligo di associarsi in Unioni di Comuni o in Associazioni intercomunali a fini di gestione per tutti i Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti.

Ogni legge che si rispetti prevede termini di attuazioni (“a quo” dicono i giureconsulti). E spesso anche proroghe. Di proroga in proroga, quella norma viene accolta tale e quale – o quasi – dalla L. 56/2014, la Del Rio, che fissava al 31 dicembre 2014 il termine definitivo entro il quale tutti i Comuni sotto i 5000 abitanti avrebbero dovuto avviato la gestione associata di tutte le loro funzioni fondamentali.

Non era necessario essere né profeti, né veggenti: bastava solo un po’ di buon senso, di onestà intellettuale e di conoscenza dei Comuni (qualità alla portata di comuni mortali) per affermare, nell’aprile 2014, che non bastava certo l’ultima grida per cambiare radicalmente in otto messi una realtà consolidatasi in 25 anni.

Lo studio che si allega muove dalla costatazione, provata con dati oggettivi, del fallimento dell’obiettivo “Unioni di Comuni”, almeno così come sin qui concepito e per quanto riguarda i piccoli Comuni. (Al contrario, un certo numero di Comuni non propriamente piccoli, e comunque non tenuti ad associarsi – da 10000 a 40000 abitanti -, trova utile sfruttare lo strumento giuridico dell’Unione per realizzare sistemi “verticali” di gestioni associate, con finalità diverse da quelle ipotizzate per i piccoli Comuni).

Quali le ragioni di questa lunga e insistita rincorsa, inconcludente ed – essa sì – foriera di sprechi, inefficienze e discrediti? Nessuno lo sa, nessuno ne ipotizza alcuna. L’oggetto – i piccoli Comuni – finisce per essere considerato di scarso rilievo (“piccolo”, per l’appunto) per interessare policy-makers, accademici, media e politici di rango nazionale; ed il livello locale è così stucchevolmente localistico da smorzare ogni pur sincera curiosità sul mondo dei piccoli Comuni.

Le Regioni, che avrebbero dovuto fare da ponte, istituzionale ma anche politico e culturale, tra il mondo dei piccoli Enti territoriali e quello degli Enti territoriali di maggiore dimensione, sono state, con qualche lodevole eccezione, impegnate su altri fronti per occuparsi di piccoli Comuni e dell’attuazione di una norma – quella sulle Unioni di Comuni – nella quale non si riconoscono appieno.

Lo studio parte dai dati di bilancio (anno 2012) e dai dati di incassi e pagamenti rilevati dal sistema SIOPE dal 2012 a tutto il 2014: li elabora, li confronta, li rende – sperabilmente – intellegibili; arriva ad una conclusione che può essere così riassunta: basta con le proroghe verso il nulla, conviene fermarsi (cioè sospendere l’obbligatorietà delle gestioni associate per i piccoli Comuni), studiare, capire, confrontarsi. Insomma, fare quello che non si è fatto per 25 anni. Una scelta di questo genere consentirebbe di scoprire impensati dati di fatto e di farne tesoro. Ad esempio si scoprirebbe che i piccoli Comuni sono molto più efficienti dei Comuni di dimensione maggiore nella gestione delle Entrate e, soprattutto, dei residui attivi; che soffrono – è vero – di forti penalizzazioni quando si tratta di “spendere”, ma questo riguarda soprattutto i Comuni sotto i 2000 abitanti, mentre non di rado quelli tra 2000 e 5000 abitanti vantano, su questo fronte performance che non hanno nulla da invidiare ad altri Comuni di dimensione maggiore.

Si scoprirà, inoltre, che

  • non esistono significative patologie esprimibili nei termini “micro-macro”;
  • che molti dei problemi che si vorrebbe risolvere con l’associazionismo forzoso potrebbero essere più efficacemente affrontati e risolti con politiche avvedute di innovazione tecnologica ed un’offerta di servizi concertata a livello pubblico-privato;
  • che, contestualmente, una diversa e più avveduta trasformazione delle Province avrebbe potuto fare di queste (e potrebbe ancora fare) i presidi più autorevoli e credibili (e, forse, meno costosi) di politiche di servizi aggregati per i territori amministrati da Enti di piccola dimensione (una specie di back office tecnico-amministrativo unico ed un centro di assistenza “corresponsabile” delle scelte proposte);
  • e che, invece, c’è una drammatica, ben più profonda e strutturale frattura tra Comuni operanti nei territori del Centro Nord e Comuni (senza differenze di dimensioni demografiche) del Sud-Isole.

Fratture che fanno fatica ad imporsi, come meriterebbero, nel dibattito politico di cui il Paese si nutre. Per questo è lecita la reiterazione della domanda già posta nel titolo: chi si occupa di tutto quello che c’è attorno e dietro il fenomeno delle Unioni di Comuni?

 

Scarica la ricerca di LGnet per "La posta del Sindaco".

 

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