Pubblica amministrazione: semplificare ciò che è complicato, per gestire ciò che è complesso

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La crisi strutturale che stiamo attraversando rende evidente la complessità dei problemi a cui dobbiamo dare risposta, ridefinendo gli “intrecci” fra ambiente, economia e società. L’Agenda ONU 2030 pone in grande luce la necessità di pensare ed agire in termini di coerenza fra le politiche. Affrontare la complessi-tà è possibile, infatti, a condizione di trasformare i modi con cui le politiche sono definite e poste in atto. Riforme e risorse economiche, quali quelle contenute nel PNRR, non bastano: occorre che tutti gli attori mantengano un elevato livello di attenzione ed impegno per il cambiamento. Vi è una grande carta da gio-care: semplificare ciò che è complicato, per gestire ciò che è complesso

24 Febbraio 2022

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Marco Ruffino

Esperto in processi decisionali ed apprendimento organizzativo

Foto da pixabay con licenza CC

Prende il via con questo articolo una rubrica mensile in collaborazione con ASviS, l’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile con cui da anni lavoriamo in sinergia, realizzando tra l’altro in occasione della manifestazione FORUM PA un Premio pensato per individuare e valorizzare esperienze, soluzioni e progetti orientati a promuovere la crescita sostenibile e solidale del Paese (qui l’edizione di quest’anno, le candidature sono aperte fino al 18 marzo 2022).

Con gli esperti dei Gruppi di lavoro e della rete di ASviS approfondiremo un ampio ventaglio di temi per scandagliare il rapporto tra PA e sviluppo sostenibile e, in senso più ampio, tra sostenibilità, ripartenza, crescita e visione di futuro: dal PNRR alla legge di bilancio, dalla governance territoriale al quadro strategico comunitario, dal Partenariato Pubblico Privato alle risorse umane, fino ai temi della partecipazione, del monitoraggio e della comunicazione.

Un percorso di grande attualità, perché come abbiamo ricordato in un recente editoriale “la sostenibilità ambientale economica e sociale, unita alla giustizia sociale e alla lotta alle disuguaglianze, non è uno degli obiettivi, ma la strada necessaria per conseguire qualsiasi risultato di sviluppo equo e duraturo”.


Trattare il tema dei rapporti fra Pubblica amministrazione e complessità può apparire un esercizio intellettuale poco aderente alle urgenze del quotidiano, da posporre a tempi migliori, secondo la pragmatica ragione del “Primum vivere deinde philosophari”. In realtà, il groviglio del presente è in larga misura la manifestazione di problemi “complessi” e delle difficoltà che derivano ove essi siano intesi, invece, come “complicati”. I due termini non sono infatti sinonimi, e la questione non è solo linguistica.

Complicato (secondo il vocabolario Treccani, “non semplice né facile; confuso, intricato”) discende da complicare, dal latino cum- plicare «piegare insieme, avvolgere». Una cosa complicata è piena di pieghe (pliche), in cui l’azione diretta facilmente inciampa. Le pieghe però possono essere eliminate, “spiegando” (ex- plicando «piegando fuori») o, ancor meglio, “semplificando” («facendo in modo semplice», sem- plica, con una sola piega).

Complesso (“che risulta dall’unione di più parti o elementi; che ha diversi aspetti sotto cui si può o si deve considerare e di cui bisogna tener conto”) deriva dal latino complecti «stringere, comprendere, abbracciare». Una realtà complessa è piena di relazioni interdipendenti fra le sue componenti: agire anche positivamente su una parte può portare a conseguenze non desiderate in un’altra parte di realtà, legata (a volte in modo non intuitivo) alla prima.

Plessi (intrecci) e pliche (pieghe) esprimono dunque due ben diversi tipi di problema, potendo ovviamente coesistere. Le pieghe in definitiva derivano da noi, da un insufficiente disegno dei modi con cui agiamo. Possiamo e dobbiamo eliminarle, rileggendo in modo critico il nostro approccio ai processi organizzativi, fra cui quelli amministrativi. Il complicato è semplificabile eliminando passaggi inutili e strettoie: l’obiettivo della semplificazione è la linearità. I plessi esprimono invece proprietà costitutive di un sistema: componendo in modo organico la sua struttura essi non sono eliminabili. Di fronte al complesso è necessario agire in modo sostenibile, prendendo in carico – fin dove ci è possibile – la contraddittoria pluralità di rapporti fra cause, interazioni ed effetti. L’obiettivo è sviluppare ed applicare approcci interdipendenti: il contrario della linearità di cui sopra.

Ci si deve sottrarre a ciò che è complicato; non ci si può sottrarre da ciò che è complesso. Ogni tentativo di evitarlo, adottando un (apparentemente confortevole) approccio riduzionista, è destinato a fallire, spargendo conseguenze negative (sugli altri) che, prima o poi, in qualche forma, ci raggiungeranno.

La crisi strutturale che stiamo attraversando rende evidente, in modo sempre più drammatico, la complessità dei problemi a cui dobbiamo dare risposta, ridefinendo gli “intrecci” fra ambiente, economia e società. L’Agenda ONU 2030, paradigma del pensiero sistemico, pone in grande luce non solo la compresente pluralità di dimensioni su cui è necessario agire, ma anche la necessità di farlo in modo intrinsecamente coerente. Nessuno dei 17 Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (SDGs) è utilmente raggiungibile attraverso politiche “verticali” rivolte alla massimizzazione del loro proprio risultato puntuale. Occorre invece pensare ed agire in termini di coerenza fra le politiche, fra e all’interno delle diverse aree di intervento, in modo da giungere a risultati positivi a livello di sistema.

Guardando ad esempio al PNRR ed alle altre risorse di investimento strutturale, la policy coherence richiede, in termini pratici, di interrogarsi su come la realizzazione di un intervento possa, oltre al raggiungimento del proprio obiettivo:

  • portare al raggiungimento di obiettivi di altre politiche (sinergie);
  • evitare gli effetti negativi a carico di obiettivi di altre politiche (trade-off e conflitti);
  • abbisognare, per essere realizzata, di risorse e condizioni obiettivo di altre politiche (fattori abilitanti).

Pensare in termini interdipendenti e sistemici è però assai più oneroso che applicare schemi diretti e lineari. L’uomo, per sua natura, è avverso al costo cognitivo: di fronte ad un problema complesso, l’approccio mentale spontaneo è semplificarlo, dividendolo in distinte e più maneggiabili componenti, ognuna delle quali da affrontare “in quanto tale”. Alla base di questo naturale (ed apparentemente razionale) modo di procedere vi è un implicito assunto: “sommando le parti si torna al tutto”. Ciò non è vero ove ci si riferisca a realtà complesse. Semplificare in modo riduzionista il complesso significa recidere, più o meno in profondità, i legami vitali che ne “tengono assieme” le parti. La ricomposizione delle diverse soluzioni locali non porterà ad una soluzione globale, ma alla emersione problematica delle interdipendenze eliminate a monte. Si finirà spesso per scoprire che il problema a cui si intendeva rispondere è rimasto (o è peggiorato), anche se ognuno ha raggiunto il risultato assegnato. Ridurre la complessità per renderla affrontabile è ovviamente possibile, ma richiede pensiero sistemico.

Il decisore incline ad approcci lineari è molto condizionato dal tipo di contesto in cui opera. Assumiamo per semplicità l’atto dell’organizzare come esito di due azioni: dividere e coordinare il lavoro. Storicamente, la progettazione parte dal dividere (“chi fa che cosa”), affrontando a valle il tema del coordinare. L’esito è il tipico modello gerarchico-funzionale, al quale è difficile chiedere di agire in modo sistemico. Ogni funzione opererà, al meglio, per fare ciò per cui è stata definita; il coordinamento fra funzioni si rivelerà ben presto un luogo critico.

Efficaci processi decisionali ed attuativi hanno bisogno di forme e comportamenti coerenti con le interdipendenze dei sistemi in cui operano: ciò è possibile se il dividere è, in qualche misura, successivo al coordinare. Si tratta cioè di assicurare una sufficiente visione sistemica da parte di tutti gli attori che in esso agiscono, come condizione perché ognuno di essi, pur focalizzato sui propri compiti, ne veda sempre lo scopo ed il senso più ampio. L’esito di questo approccio è l’organizzazione “per processi”, riferimento per la creazione di valore condiviso.

Nella pratica, ciò che occorre è definire – sulla base della natura dei problemi da affrontare – un corretto equilibrio fra funzioni e processi, condizione per affrontare la complessità senza denaturarla. Trova qui posto un altro termine che necessariamente accompagna le politiche per lo sviluppo sostenibile: la governance.

Affrontare la complessità è possibile, a condizione di trasformare i modi con cui le politiche sono definite e poste in atto. Una trasformazione sicuramente onerosa, che richiede progressività e perseveranza. Perché ciò accada, le risorse normative (riforme) ed economiche (interventi), quali quelle contenute nel PNRR, non bastano: occorre che tutti gli attori mantengano un elevato livello di attenzione ed impegno per il cambiamento, una “tensione essenziale” verso lo scopo. Il che, come altrove detto, è cognitivamente costoso.

Vi è però una grande carta da giocare: semplificare ciò che è complicato, per gestire ciò che è complesso. Eliminare le pieghe significa recuperare tempo ed energie da dedicare al nuovo, guadagnando in chiarezza di visione e resilienza organizzativa. In un sistema “semplice” è possibile costruire capacità di azione complessa. In un sistema complicato no.

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