Riforma del Terzo Settore e amministrazione condivisa: una sfida ancora da giocare

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Sono passati più di sei anni dalla Riforma del Terzo Settore, ma siamo ancora lontani dalla piena attuazione del Codice. In particolare, risulta ancora a macchia di leopardo la messa a terra dell’articolo 55, che assegna alla co-programmazione e co-progettazione il ruolo di pratica ordinaria, non eccezionale o limitata a casi specifici. Cosa serve, quindi, per dare seguito fino in fondo al cambiamento di paradigma introdotto dalla riforma? Competenze e procedure organizzative, certamente, ma soprattutto un radicale cambio di prospettiva, una rivoluzione culturale che interessa tanto le amministrazioni quanto le organizzazioni della società civile

27 Marzo 2024

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Carla Scaramella

Esperta in Progettazione, FPA

Foto di Randy Fath su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/persone-che-costruiscono-la-struttura-durante-il-giorno-ymf4_9Y9S_A

Ogni riforma legislativa che comporta un cambiamento di paradigma richiede anni per rilasciare i suoi effetti, tanto per la necessaria messa a punto degli strumenti attuativi, quanto per i tempi insiti nell’evoluzione dei modelli organizzativi, che non possono evolvere se non grazie alla pratica e che richiedono di essere accompagnati da un percorso di sensibilizzazione e partecipazione. Non fa eccezione la riforma del Terzo Settore con l’introduzione del Codice del Terzo Settore (d. lgs 117/2017, di seguito abbreviato in CTS): benché siano passati più di sei anni dalla sua adozione, la sua piena attuazione – e in particolare la piena attuazione dell’articolo 55, che istituisce una nuova modalità di interazione del cittadino con la pubblica amministrazione – si trova ancora in una fase sperimentale, evidenziando come sia necessario un percorso di accompagnamento a quello che costituisce a tutti gli effetti un cambio di prospettiva nei rapporti tra Stato e società civile organizzata.

Ma non si tratta solo di procedere nell’emanazione di regolamenti attuativi e nella definizione di strategie organizzative, bensì anche di accompagnare la riforma creando un clima culturale favorevole, un linguaggio condiviso, un terreno in cui l’attuazione del dettato legislativo viene resa più semplice dalla consapevolezza degli attori in gioco sul senso, sul valore e sul positivo impatto per tutte le parti in causa dell’adozione degli istituti dell’amministrazione condivisa. Si tratta cioè di superare una diffidenza profonda, quella che – da una parte e dall’altra – vede nell’istituto dell’amministrazione condivisa un potenziale “inganno”: dal punto di vista degli amministratori, un modo per gli ETS di aggirare le regole di mercato; dal punto di vista degli ETS, un modo per scaricare sulla cittadinanza organizzata alcune delle responsabilità in capo a chi governa.

Se è vero che co-programmazione e co-progettazione non sono una novità assoluta né nell’ordinamento italiano né nella pratica, l’articolo 55 introduce tuttavia due elementi che modificano profondamente la concezione di questi istituti, da un lato estendendoli a tutti gli ambiti di interesse generale e dall’altro considerandoli una pratica ordinaria, non eccezionale o limitata a casi specifici. La riforma del Terzo Settore ha introdotto un punto di svolta: il passaggio da un sistema verticale tradizionale di fornitura di servizi, ad un sistema orizzontale di collaborazione e condivisione.

Questo presuppone un cambio di prospettiva fortissimo: il soggetto di Terzo Settore non è più un fornitore della PA, non è più un esecutore, bensì un alleato con cui costruire una sinergia sulla base di obiettivi comuni e per rispondere ad uno stesso bisogno, nell’“interesse generale”.

La conferma della sussidiarietà nella riforma del Codice dei contratti Pubblici

La riforma del Codice dei Contratti Pubblici del 2023 (d.lgs. 36/2023, abbreviata in CCP), rappresenta un ulteriore tassello verso il pieno riconoscimento del principio di sussidiarietà: vi è stata infatti inserita una norma di sistema che fa da sutura tra il CTS e la disciplina europea dei contratti pubblici. Il nuovo codice dei contratti riconosce i rapporti fra PA e Terzo Settore come parte integrante del più ampio e variegato contesto che vede coinvolti la PA e i soggetti privati, oltre che parte qualificante perché radicati nel principio di solidarietà e improntati al modello della sussidiarietà orizzontale.

L’art. 6 del citato codice dispone che “in attuazione dei principi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale, la PA può apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, modelli organizzativi  di amministrazione condivisa, privi di rapporti sinallagmatici, fondati sulla condivisione della funzione amministrativa con gli enti del Terzo Settore […] sempre che gli stessi contribuiscano al perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato”.

In base ai principi dell’amministrazione condivisa, il CCP conferma dunque che PA ed enti del Terzo Settore possono prevedere modelli organizzativi le cui caratteristiche siano l’assenza di rapporti sinallagmatici (che caratterizzano, invece, i rapporti disciplinati dal CCP) e la condivisione della funzione amministrativa, superando la tradizionale forma di esternalizzazione.

Dal dettato di legge alla prassi: superare le resistenze

Fino ad ora l’approccio più diffuso tra i funzionari della PA, come ricorda Gregorio Arena (“Un approccio sistemico all’amministrazione condivisa”, in Arena G. e Bombardell M. (a cura di), L’amministrazione condivisa, Università di Trento, 2022), è quello che ha visto le esperienze di amministrazione condivisa «come una sorta di “ripiego”, come se collaborare con i cittadini per la soluzione di problemi di interesse generale fosse, per le amministrazioni pubbliche, quasi un venir meno alle proprie prerogative, al proprio ruolo, alle proprie responsabilità. Come se, in altri termini, la collaborazione con i cittadini fosse quasi una “distorsione” del tradizionale rapporto gerarchico con i privati, fondato sull’esercizio del potere e sulla netta distinzione di ruoli fra soggetti pubblici e privati».

Ma questa resistenza non la troviamo solo nella PA: riguarda anche gli Enti di Terzo Settore, che sono abituati a pensarsi come soggetti del tutto autonomi e a concepire la PA come una controparte da cui aspettarsi interventi a supporto della collettività. Il cambio di prospettiva necessario, da parte del Terzo settore è quello di non guardare più allo Stato e alle sue articolazioni territoriali unicamente come a soggetti da cui “pretendere” che attuino il dettato costituzionale volto a «rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo di ciascuna persona», ma pensarsi come soggetti che collaborano all’attuazione di tale principio.

Da parte delle articolazioni dello stato, d’altra parte, si tratta di apprendere a condividere con la cittadinanza organizzata risorse e responsabilità al fine di perseguire al meglio l’obiettivo del pieno sviluppo di ciascun essere umano, di riconoscere l’importanza del contributo che gli ETS sono nelle condizioni di offrire nell’intercettare e identificare con precisione i problemi a cui lo Stato deve offrire una soluzione, nonché nella identificazione delle migliori strategie  per perseguirle.

Il Codice del Terzo Settore, come ha in più occasioni sottolineato Gianfranco Marocchi – esperto, ricercatore, formatore e consulente per enti pubblici e di terzo settore sui temi dell’amministrazione condivisa – non è una legge qualsiasi, ma una norma a cui si riconosce di adempiere nella pratica un articolo della Costituzione che fino ad ora non aveva avuto una declinazione effettiva nella normativa. Parliamo dell’art. 118, ultimo comma della Costituzione, nella forma assunta a seguito alla revisione del Tit. V nel 2001, quando viene introdotto il principio di sussidiarietà orizzontale, che legittima l’amministrazione condivisa fondata sulla collaborazione fra cittadini e amministrazioni, per il perseguimento dell’interesse generale. Il comma in questione sancisce che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”, affermando con ciò due principi fondamentali:

  1. gli enti pubblici e la cittadinanza organizzata condividono gli stessi interessi, definiti “generali”;
  2. la cittadinanza, nella sua forma organizzata, non è solo portatrice di bisogni, ma anche di competenze.

Ma è con l’art. 55 del Codice del Terzo Settore che si crea fra amministrazioni ed Enti del Terzo Settore «un canale di amministrazione condivisa alternativo a quello del profitto e del mercato», come recita la sentenza n. 131/2020 della Corte Costituzionale, introducendo un modello che prevede una relazione non più basata sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi, ma sulla convergenza di obiettivi, sull’aggregazione di risorse pubbliche e private.

Le sfide ancora aperte

Se da un lato Regioni ed Enti locali si trovano ora ad affrontare la sfida della “messa a terra” di quanto disposto in sede normativa, traducendo in meccanismi attuativi il principio del coinvolgimento attivo degli ETS – il che richiede avanzate capacità organizzative e di coordinamento operativo tra le strutture e i soggetti coinvolti – dall’altro per dare corpo e seguito a questo cambiamento di approccio non bastano competenze e procedure organizzative: serve un radicale cambiamento di prospettiva, una rivoluzione culturale che interessa tanto le amministrazioni quanto le organizzazioni della società civile. Le une e le altre devono essere in grado di pensarsi in una relazione di collaborazione per il raggiungimento di una finalità condivisa, di vedersi “dalla stessa parte del tavolo”, superando la concezione che le vede come controparte contrattuale l’una per l’altra.

Appare quanto mai utile un percorso di awareness raising, di alimentazione di una cultura positiva che possa accompagnare le pratiche, che renda entrambe le parti pronte a “ripensarsi” per dare seguito al cambiamento radicale rappresentato dalla riforma.

La congiuntura attuale, caratterizzata da importanti elementi di criticità (a partire da quello economico e quello ambientale) e da fattori dal forte potenziale il cui sviluppo è difficile da prevedere e governare (pensiamo innanzitutto alla digitalizzazione dei processi e al crescente ricorso all’IA), richiedono oggi più che mai la capacità di operare in uno spirito di condivisione e costruttiva collaborazione.

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