Smart Working nella PA: l’esperienza di Roma Capitale

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Siamo tutti consapevoli che l’introduzione dello smart working è un processo irreversibile, che proseguirà anche quando non sarà più una costrizione dettata dall’emergenza. Non ci resta che farlo diventare virtuoso, con un progetto multidisciplinare che dovrà coinvolgere tutte le strutture dell’Ente in una complessa operazione di change management

15 Aprile 2020

Cantieri PA

Gli articoli a firma della community di FPA impegnata nei processi di innovazione digitale della PA

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Claudio Ferilli

Ufficio Comunicazione della Transizione Digitale Dipartimento Trasformazione Digitale – Roma Capitale

Photo by Michele Bitetto on Unsplash - https://unsplash.com/photos/OyLuv_gYY6k

“Mi senti?”, “Guarda che hai il microfono spento”, “Ci siamo tutti?”, “Io sono collegato via telefono, perché sul PC non sono riuscito a scaricarmi l’applicazione”, “Riesci a condividerci lo schermo?”, “Guarda che devi aggiungere anche lui, perché non c’era nell’invito”: molti di voi si saranno riconosciuti, in questi scambi di battute, scritte freneticamente in chat o pronunciate davanti a uno schermo.

E già sapete che non si tratta degli sparuti e volonterosi pionieri dei progetti sperimentali di lavoro agile e neppure delle poche decine di telelavoratori, considerati una popolazione residuale, di cui occorreva soddisfare su base individuale legittime richieste particolari. O meglio, era così fino a poco tempo fa. Oggi, invece, contro ogni ragionevole previsione, migliaia di dirigenti, funzionari, impiegati e dipendenti delle Pubbliche amministrazioni – e tra queste una delle più grandi e complesse organizzazioni del nostro Paese, quella di Roma Capitale – sono stati catapultati nel giro di poche settimane, e in alcuni casi anche di poche ore, in una dimensione totalmente nuova e inaspettata.

I lavoratori di Roma Capitale sono passati dalla quotidiana stabilità delle loro scrivanie disseminate per decine di sedi nei quindici Municipi dell’Urbe alla precarietà della cucina o del soggiorno di casa, dal PC dell’ufficio al loro laptop portatile o addirittura ad uno smartphone, con o senza relativa cuffietta, dalla “strisciata” del cartellino all’ingresso al dover premere il pulsante “Lavoro Agile” sul sito web Portale del Dipendente per certificare la propria presenza in servizio.

Una vera e propria rivoluzione: non è possibile trovare un altro termine per un cambiamento che nel giro di pochi giorni sta già rimettendo completamente in discussione un modo di fare amministrazione, una cultura organizzativa, un intero sistema valoriale e di comportamenti condivisi.

Smart Working a Roma Capitale

Tutto ciò anche se Roma Capitale in realtà aveva avviato già dai tempi dell’ultimo Decreto Madia un percorso partecipato di graduale adesione al lavoro agile, con le poche e caute sperimentazioni che le dimensioni e la complessità dell’Ente rendevano fattibili, ma che puntava già nella direzione di uno sviluppo delle competenze digitali in ottica di superamento del digital divide anche tra gli stessi dipendenti dell’Amministrazione Capitolina, come delineato dall’Agenda Digitale di Roma Capitale fin da inizio 2017.

Un concorso d’idee interno aveva permesso la presentazione di vari progetti che riguardavano diverse strutture, selezionati e raccolti dal Dipartimento Organizzazione e Risorse Umane, in un Piano di Azioni Positive. Era stata individuata una modalità privilegiata di introduzione “soft” del lavoro agile con l’istituzione del coworking di prossimità, ma c’era stato anche chi aveva presentato progetti di telelavoro tradizionale, cioè tramite la remotizzazione della postazione di lavoro, senza nessun altro particolare intervento di tipo organizzativo. O addirittura chi, come nel nostro caso, aveva partecipato proponendo semplicemente una flessibilizzazione più ampia dell’orario lavorativo presso il proprio Dipartimento.

Proprio queste sperimentazioni avevano tuttavia reso evidente a tutti, e in primis al Dipartimento Trasformazione Digitale, alcune forti limitazioni del modello basato sul telelavoro: prima tra tutte la necessità di dover dotare il dipendente di una postazione di lavoro del tutto equivalente a quella della propria scrivania in ufficio e su cui garantire l’assistenza hardware e software tramite nuovi processi organizzativi (a partire dal servizio di helpdesk) e logistici (ad esempi il ritiro delle macchine da riparare o da sostituire a fronte di eventuali guasti).

Le piattaforme

Si erano individuate piattaforme su cui accedere in modalità più smart e via web per poter garantire l’accesso sicuro da remoto all’intero parco applicativo dell’Amministrazione. Tali problemi si sommavano a quelli di adeguamento intrinseco di molti applicativi, evidentemente progettati per stratificazioni storiche successive ed utilizzabili esclusivamente sotto il dominio di rete, a partire dal sistema di autofunzionamento fondamentale e, per così dire, trasversale all’intero Ente: il sistema di protocollo e di gestione documentale. La mancanza di fondi adeguati ad una rapida e completa trasformazione “disruptive”, comunque difficilmente sostenibile sul piano del cambiamento culturale necessario, se pur fattibile da un punto di vista tecnologico, avevano saggiamente consigliato di ricondurre questi adeguamenti alla programmazione già prevista nell’ambito del Piano Triennale per dare seguito ai citati indirizzi di Agenda Digitale.

Ed ecco che gli ultimi decreti dettati dall’emergenza coronavirus rendevano improvvisamente tali prudenti ragionamenti quasi un mero esercizio di stile, dando immediato accesso a risorse (tecniche e umane, se non finanziarie), apparentemente insospettabili. Così che dallo shock emergevano, quasi come per magia, soluzioni fino a quel momento considerate sperimentali, testate e migliorate a tempo di record: ad esempio, per estendere la fruizione in consultazione del suddetto sistema di protocollo informatico, finora riservata a poche decine di dipendenti, all’intera popolazione dell’Amministrazione Capitolina.

Oppure si scoprivano ad un tratto sistemi di collaborazione fino a quel momento snobbati nella prassi organizzativa quotidiana, diventati essenziali per garantire la comunicazione di uffici e di gruppi di lavoro.  O, ancora, si decideva di adottare, facendo di necessità virtù, una policy BYOD (Bring Your Own Device) per l’impossibilità di disporre in tempi brevi di PC portatili per tutti. Per non parlare delle immancabili videochiamate con partner e fornitori, che arrivavano a sostituire, in modo necessariamente più agile, le megariunioni in presenza che impegnavano sale di Dipartimenti per intere mattinate. Questo solo per fare qualche esempio.

I famosi dipendenti smart

E così oggi ci siamo ritrovati ad essere molte migliaia di “smart worker” di fatto, ad istruirci sul campo, senza magari neppure avere fatto un corso di formazione: siamo diventati giocoforza i famosi “dipendenti smart” di cui avrebbe bisogno un’Amministrazione che ha forse già posato, in anticipo rispetto ad ogni programma e senza (quasi!) neppure accorgersene, una delle più importanti “prime pietre” della futura smart city, di una Roma Capitale Smart.

Certo, non è tutto rose e fiori: molti colleghi ci tempestano ancora ogni giorno di richieste per avere in tempi rapidi i collegamenti in VPN per accedere in sicurezza alle proprie applicazioni da remoto; bisogna ancora costruire e strutturare opportunamente i gruppi di lavoro e la condivisione di documenti sulle piattaforme di collaborazione; devono essere individuati in tutte le strutture i dipendenti da dotare delle opportune credenziali per convocare riunioni in videoconferenza; bisogna risolvere il problema di chi non dispone di un PC domestico adeguato; i kit di firma digitale sono ancora a disposizione dei soli dirigenti, impedendo di fatto una completa dematerializzazione. Questo solo per fare alcuni esempi.

Rome Wasn’t Built in a Day

Roma non è stata costruita in un giorno, lo sappiamo. E il nostro Dipartimento ha il dovere di contribuire dal punto di vista tecnologico al farci trovare preparati di fronte ad uno scenario quale quello delineato chiaramente dal Ministero della Funzione Pubblica, cioè l’obiettivo sifdante del 40% in lavoro agile su base continuativa e strutturale già fissato dalla Ministra Dadone.

In tutto ciò l’articolo 75 del decreto “Cura Italia” si scontra con il limite di non poter accedere a risorse aggiuntive e questo rappresenta una grave limitazione per un Dipartimento che deve completare e aggiornare le dotazioni informatiche di migliaia di dipendenti. Senza contare che saranno necessari anche fondi aggiuntivi per consentire l’adeguamento dei sistemi informativi al fine di rendere pienamente efficiente ed efficace dal punto di vista dell’infrastruttura tecnologica l’attuazione del lavoro agile presso Roma Capitale.

Va infine considerato che, come qualsiasi progettazione “smart”, la compiuta transizione verso un vero modello di smart working maturo sarà necessariamente il frutto di un progetto multidisciplinare che dovrà coinvolgere tutte le strutture dell’Ente in una complessa operazione di change management, spaziando dal ridisegno dei servizi al cittadino ai processi organizzativi interni, dal cambiamento di cultura organizzativa a quello normativo, fino a toccare la stessa riprogettazione degli ambienti di lavoro e addirittura degli spazi e dei tempi di una città che dovrà diventare sempre più resiliente e sostenibile.

Resta il fatto che, contro ogni previsione, lo smart working a Roma Capitale in un paio di settimane è partito e la stragrande maggioranza di noi in questi giorni sta già condividendo, o avverte comunque dentro di sé, la chiara sensazione che si tratterà di un processo irreversibile, anche quando non sarà più una costrizione dettata dall’emergenza. Non ci resta che farlo diventare virtuoso.

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