E’ una questione di qualità. Intervista a Gian Antonio Dei Tos.

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Qualità e sistema sanitario dovrebbero essere un binomio inscindibile ma sappiamo che non sempre è così e che il panorama italiano presenta situazioni molto diverse tra loro. Tra le realtà che declinano la ricerca della qualità nel perseguimento di specifici obiettivi vi è l’azienda ULSS 7 del Veneto che, al FORUM DELL’INNOVAZIONE del Nord-Est, ha presentato la propria interessante esperienza. Ne abbiamo parlato con Gian Antonio Dei Tos, direttore dell’Unità Operativa Qualità Etica e Umanizzazione.

4 Novembre 2009

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Letizia Pica

Articolo FPA

"E’ una questione di qualità o una formalità, non ricordo più bene" cantavano i CCCP, fotografando una zona d’ombra in cui si muovono scelte e comportamenti di cui non è chiaro il confine sostanziale.
Questa ambiguità la ritroviamo in molti contesti: qualità e sistema sanitario dovrebbero essere un binomio inscindibile ma sappiamo che non sempre è così e che il panorama italiano presenta situazioni molto diverse tra loro.
Tra le realtà che declinano la ricerca della qualità nel perseguimento di specifici obiettivi vi è l’azienda ULSS 7 del Veneto che, al FORUM DELL’INNOVAZIONE del Nord-Est, ha presentato la propria interessante esperienza. Ne abbiamo parlato con Gian Antonio Dei Tos, direttore dell’Unità Operativa Qualità Etica e Umanizzazione.

Dottor Dei Tos, cosa significa Qualità in una struttura sanitaria?
La Qualità in sanità è il grado di miglioramento che i servizi sanitari producono nel raggiungere gli obiettivi auspicati di tutela della salute, rendendoli coerenti con lo stato attuale delle conoscenze e della tecnica professionale.
In questo senso la qualità è un dovere morale, se consideriamo che il fine del sistema sanitario è quello di dare cura alla persona nel rispetto della sua identità.

Come avete iniziato il vostro percorso in direzione di questo obiettivo?
Il progetto è partito dalla necessità di migliorare l’organizzazione costruendo un percorso di certificazione ISO 9000 che agisse a 360 gradi sull’azienda. Essendo la nostra una ULSS, i servizi sociali sono integrati all’interno del sistema sanitario, per questo motivo abbiamo ragionato su come riferirci al tema della salute in una prospettiva ampia che miri non soltanto al miglioramento organizzativo dell’azienda ma anche alle ricadute che questo ha sul paziente. Abbiamo lavorato con 64 U.O. certificando sia quelle di carattere amministrativo che quelle più strettamente sanitarie. Il lavoro ha coinvolto più di trecento persone con numerosi audit.
In quattro anni di formazione teorico-pratica i nostri operatori hanno imparato ad analizzare e costruire i processi e ad attivare le azioni di miglioramento. Una bella sfida che ha rivoluzionato l’azienda.

Quali vantaggi ha prodotto questa rivoluzione?
Vantaggi sia di tipo sistemico che impattano sulla organizzazione aziendale in generale che di tipo puntiforme, legato alle singole Unità Operative.

Sul versante dell’organizzazione interna come avete lavorato e su quali aspetti vi siete concentrati?
Lavorare sulla sicurezza è stato uno dei nostri primi obiettivi, a partire dall’affidabilità dei macchinari che utilizziamo. Per esempio abbiamo creato, sullo stimolo che ci veniva dalla certificazione, un sistema di monitoraggio a semafori degli strumenti tecnologici, per cui il medico è in grado di conoscere lo stato di manutenzione e la taratura delle apparecchiature che utilizza ed è consapevole del perfetto assetto di lavoro.
Sul campo della gestione del rischio clinico, abbiamo attivato da sei mesi il “progetto per la sicurezza del paziente”.
Stiamo lavorando attraverso varie metodologie, dall’incident reporting alla FMEA fino ad una serie di strumenti di analisi per prevenire l’errore che il medico o l’infermiere possono fare in corsia.
Per esempio, oggi in sala operatoria si entra solo se è certa l’identità del malato, se si è identificato perfettamente il sito chirurgico su cui intervenire. A questo si aggiunge un sistema di monitoraggio di tutto quello che viene utilizzato in sala operatoria per essere sicuri che nulla possa danneggiare il paziente o, per esempio, possa essere dimenticato nel sito chirurgico.

Questa sembra una prospettiva surreale ma sappiamo che non è così…
Certo ma potrei farle anche altri esempi che chiamano in causa il tema dell’appropriatezza: quando ci si sottopone ad un esame diagnostico (per es. una tac cerebrale) come si fa ad essere sicuri che l’indicazione venga posta secondo i criteri scientifici, sapendo che la cultura e la conoscenza medica sono soggette a una continua revisione e, ogni 3 o 5 anni, il sapere medico diventa obsoleto nel 50% del suo contenuto? Elemento essenziale in questo caso è la gestione delle raccomandazioni cliniche, secondo i criteri della medicina basata sulle evidenze.
La nostra oncologia tratta i malati di tumore con i protocolli farmacologici gestendo oltre duecento schemi terapeutici. La certificazione ha portato al fatto che ogni schema è stato rivisto e ricostruito in documenti formali dove si riportano i dosaggi, le indicazioni, i potenziali effetti collaterali nocivi. Ciclicamente questi piani vengono aggiornati in modo tale che il cittadino è certo che questa unità operativa avrà sempre a disposizione le ultime conoscenze che sono applicate in modo sicuro ed efficace per la propria patologia.

Quanto è importante una corretta informazione al cittadino per il miglioramento del servizio?
L’informazione è sicuramente un tema molto delicato che tocca giustamente la sensibilità dei nostri cittadini. Le faccio anche qui degli esempi: se devo sottopormi ad una colonscopia, come devo prepararmi a questo esame in modo sicuro ed efficace? Vi sono poi informazioni molto più complesse legate all’orientamento clinico che illustrano al paziente quali sono gli obiettivi finali del trattamento a cui si sta sottoponendo.
Così come ci sono casi legati alla sfera etica, pensiamo al famoso consenso informato in cui si chiede al paziente di essere cosciente e consapevole delle cure e dei rischi, fino ai casi più complessi e specifici della consulenza su situazioni cliniche che presentano delle questioni di carattere morale.
Molte di queste informazioni sono contenute in una carta dei servizi che ora è on line e presto diventerà anche cartacea che descrive ai pazienti cosa siamo in grado di fare per il loro benessere. L’Urp inoltre è sempre a disposizione per orientare e aiutare i cittadini nelle scelte e nell’ottimizzare l’erogazione delle prestazioni richieste.

Che tipo di risposta date ai cittadini che si rivolgono all’Urp e come vengono utilizzate le segnalazioni che ricevete?
Con il sistema di gestione dell’urp siamo in grado di dare risposte ai pazienti nel 98% dei casi nei tempi previsti dal codice di pubblica tutela.
I reclami sono sempre oggetto di azioni di miglioramento perché noi mandiamo report semestrali o annuali, a seconda del numero di reclami, alle unità operative e i primari hanno modo di capire la natura dell’inefficienza o del disservizio, sulla base della comunicazione che i cittadini fanno a noi. Tutti i reclami che arrivano all’Urp vengono analizzati, viene chiesta la contro-deduzione alle unità operative e poi si invia un report alle U.O. con le segnalazioni che direttamente le chiamano in causa. C’è una risposta immediata al cittadino su quello che possiamo fare per migliorare la sua condizione e poi una risposta più tardiva di tipo organizzativo dentro l’U.O. in cui si è generata la segnalazione.

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