Agenda 2030: educare alla sostenibilità. Il Goal 4 a FORUM PA 2017

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Cosa intendiamo quando parliamo di istruzione ed educazione equa ed inclusiva? E quali sono le priorità per il nostro Paese rispetto agli obiettivi del Goal 4 “Istruzione di qualità per tutti” dell’Agenda 2030? Ne parliamo con Stefano Molina, Dirigente di ricerca presso la Fondazione Giovanni Agnelli e coordinatore del gruppo Goal 4 in ASviS. In primo piano il tema dell’inclusione e della formazione permanente

14 Marzo 2017

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Michela Stentella

Istruzione, educazione, formazione di qualità sono le fondamenta su cui deve poggiare tutto l’edificio dell’Agenda 2030. Per questo realizzare il Goal 4 “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva e opportunità di apprendimento per tutti” è il primo passo necessario per conseguire anche gli altri 16 Goal – Obiettivi di sviluppo sostenibile. A sottolinearlo è Stefano Molina, Dirigente di ricerca presso la Fondazione Giovanni Agnelli e coordinatore, insieme ad Andrea Gavosto, del gruppo Goal 4 in ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. “Il goal 4 – premette Molina – è centrale perché nessuno degli altri Goal è raggiungibile in assenza di un livello di istruzione elevata e di qualità per tutta la popolazione, precondizione quindi per il raggiungimento dell’intera Agenda. Senza un’istruzione sufficiente e soddisfacente è impensabile che si possa avere, ad esempio, un aumento della speranza di vita, un’attenzione alle tematiche ambientali o alla parità di genere, un’alimentazione di qualità e così via. Senza dimenticare che un elevato livello di istruzione si associa anche a un minor rischio di povertà”.

Ma cosa intendiamo quando parliamo di istruzione/educazione equa ed inclusiva? “Prima di tutto – precisa Molina – un’istruzione in cui non ci siano fattori di esclusione individuale e sociale (per esempio il fatto di essere di origine immigrata, di classe sociale bassa o provenienti da famiglie con situazioni problematiche, oppure il fatto di essere affetti da disabilità o con disturbi specifici dell’apprendimento), fattori che diversi studi ci dicono tradursi in risultati scolastici meno buoni e che rischiano, quindi, di creare cittadini e lavoratori di serie B. Poi parlando di istruzione di qualità oggi dobbiamo sottolineare l’aspetto e il valore delle competenze: i ragazzi non devono solo acquisire nozioni, ripetere la lezione a memoria, ma devono essere in grado di affrontare una realtà molto complessa: ad esempio, devono sviluppare capacità comunicative e di problem solving”.

È questo l’aspetto più innovativo del Goal 4 che, rispetto agli obiettivi del Millennio formulati nel 2000 e con scadenza nel 2015, sottolinea come l’istruzione non sia solo questione di titoli di studio e mette al centro le competenze che si acquisiscono per agire efficacemente nella società. Una sfida enorme anche per i sistemi statistici perché, per monitorare lo stato del sistema scolastico, non basta più suddividere la popolazione per titolo di studio, ma bisogna ricavare ed elaborare dati relativi all’effettiva qualità degli apprendimenti. “In questo senso – sottolinea Molina – indicatori importanti si possono ottenere dalle rilevazioni dei programmi PISA (OCSE) e INVALSI, ma anche dal ‘Programme for the International Assessment of Adult Competencies’ (PIAAC), anch’esso attivo in ambito OCSE, che valuta le competenze degli adulti”.

Naturalmente il Goal 4, come tutti i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile e relativi target, è formulato a livello globale per tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite e va poi declinato nelle diverse realtà: riguarda quindi sia Paesi più avanzati che Paesi in cui ci sono ancora milioni di bambini in età scolare che non hanno accesso all’istruzione. “Ma se guardiamo all’Italia – prosegue Molina – gli obiettivi del Goal 4 sono molto pertinenti, perché siamo ancora lontani da una situazione ideale dal punto di vista dell’istruzione: ci sono ancora svantaggi legati alla classe sociale o all’area territoriale di appartenenza o, ancora, al fatto di vivere in aree centrali o periferiche della stessa città”. L’Italia, del resto, ha già assunto in sede europea impegni quali la riduzione degli abbandoni scolastici al di sotto del 10%, l’aumento al 40% della quota di 30-34enni laureati, il raggiungimento di un’elevata quota di bambini frequentanti le scuole dell’infanzia e di adulti in formazione, nonché di elevati livelli di competenze in lettura e matematica.

Inclusione e formazione continua sono, secondo Molina, le priorità per il nostro Paese. Inclusione vuol dire anche lotta alla dispersione, dato che in Italia abbiamo tassi di abbandono scolastico molto elevati: il 14% dei giovani abbandona precocemente gli studi, un tasso calato negli ultimi anni (era oltre il 17% nel 2012), ma che rimane comunque distante dalla media UE. Il lifelong learning poi è un problema macroscopico. “È carente sia la domanda che l’offerta e questo è paradossale perché oggi, in presenza di un invecchiamento della popolazione e di un allungamento della vita lavorativa, l’aggiornamento e la riqualificazione delle persone dovrebbero essere al centro delle preoccupazioni, individuali e collettive”. Ricordiamo che il tasso di partecipazione alla formazione permanente in Italia è inferiore alla media UE (8% contro 10%), il tasso di istruzione terziaria nelle fasce di età tra i 30 e i 34 anni è uno dei più bassi dell’UE (26,3% nel 2016) e resta lontanissimo dalla media europea (39%).

Un ruolo importante, anche nell’ambito della formazione permanente, potrebbe essere svolto dalle nuove tecnologie, ma in Italia le competenze informatiche non sembrano ancora sufficienti. Ecco qualche dato: con riferimento all’indicatore IAEG relativo alle competenze informatiche, l’Italia risulta in una posizione non ottimale: a livello nazionale le persone con “elevate competenze informatiche” sono il 22,6%, con disparità sul territorio, per fasce di età e per sesso (Mezzogiorno, donne e anziani meno competenti). Le indagini PIAAC dell’OCSE (2012) rivelano che in Italia la percentuale di adulti che possiamo definire assolutamente privi di abilità ICT è del 27,1%. A questa categoria possiamo ascrivere coloro che dichiarano di non avere esperienza con il computer (24,6%) e coloro che, pur affermando di avere esperienza con il computer, non superano il test ICT (2,5%). Insomma, oggi che le tecnologie sono sempre più pervasive e sembrano davvero alla portata di tutti, si deve insistere su azioni e politiche che facciano “cultura del digitale” e consentano di colmare il divario ancora esistente.

Un’altra azione necessaria è diffondere la conoscenza dell’Agenda 2030 e dei relativi Goal. Per farlo coinvolgendo in prima persona i ragazzi delle scuole, MIUR e ASviS hanno lanciato il 7 marzo scorso il concorso nazionale “Facciamo 17 goal. Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” con cui si invitano studenti e professori a realizzare un prodotto originale per sensibilizzare ai temi dello sviluppo sostenibile. Per partecipare c’è tempo fino al 15 aprile prossimo.

“Infine – conclude Molina – l’Agenda 2030 ci ricorda che abbiamo responsabilità sulla scena globale nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, nei confronti dei quali dobbiamo assolvere a impegni di cooperazione in campo educativo, ad esempio promuovendo politiche la formazione dei docenti o per l’erogazione di borse di studio per studenti stranieri”.

Il 23 maggio a FORUM PA 2017 si parlerà di “Scuola, cittadinanza e creatività digitale: prospettive di sviluppo”.

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