Piano scuola digitale: azioni di cura per la digifobia

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Fra le azioni cosiddette “di
accompagnamento” c’è attenzione al tema della
formazione digitale dei docenti, ad esempio con l’istituzione della figura dell’animatore digitale per ogni scuola.
Un pool di “buone intenzioni”, strategicamente ben ideate che fanno capire quanto centrale
venga considerata la questione all’interno del PNSD

19 Febbraio 2016

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Giuseppe Corsaro, insegnante, fondatore community insegnanti 2.0

Chiunque abbia avuto a che fare, a qualsiasi titolo, con le molteplici azioni formative sulle competenze digitali dei docenti intavolate negli anni scorsi e destinate agli insegnanti di tutte le discipline e di qualsiasi ordine scolastico, avrà certamente rilevato una sorta di diffidenza e delle più o meno celate difficoltà di una buona parte dei destinatari di tali interventi. Già. Una parte degli insegnanti (non azzardo alcuna percentuale) si avvicina al digitale con una certa dose di paura, non poca diffidenza e alcuni preconcetti. Senza voler cercare colpe e colpevoli e senza voler additare nessuno, penso che una buona parte di questa “digifobia” derivi da un paio di equivoci (non sempre involontari) mai chiariti da parte di chi questo tipo di formazione l’ha progettata e attuata. Equivoci che hanno spesso reso in buona parte poco efficace (quando non del tutto fallimentare) la formazione sulle competenze digitali dei docenti.

Poiché sulla formazione dei docenti (iniziale e in servizio) sembrano finalmente riaccendersi la dovuta attenzione e gli auspici (supportati anche da tutta una serie di azioni, strumenti e risorse della L.107/2015 e del PNSD) di una nuova centralità per tale importantissimo tema, mi unisco a coloro [i] che con realistico ottimismo intravedono un possibile cambio di direzione in senso positivo e provo ad analizzare l’attuale situazione derivante dalle passate azioni con la speranza di individuare errori compiuti per evitarli in futuro.

Voglio quindi iniziare la mia analisi proprio da quei due equivoci appena sopra evocati per cercare di dare una spiegazione (e una parziale giustificazione) a questa “digifobia” ancora molto in voga nella nostra categoria professionale, ma anche per fornire degli elementi di riflessione a chi sarà chiamato (a qualsiasi livello) a dover progettare e attuare le prossime azioni di formazione sulle competenze digitali dei docenti.

Due equivoci che hanno avuto come prima conseguenza un diffuso (e drammatico) rifiuto, per molti docenti, della possibilità di crescita professionale offerta dal mondo digitale. A differenza di altre categorie professionali, infatti, la nostra soffre tutt’oggi di una certa “arretratezza tecnologica” che nelle manifestazioni più estreme arriva ad assumere veri e propri atteggiamenti neoluddisti.

Quali sono i due equivoci a causa dei quali ancora oggi nel 2015 esistono dei professionisti (noi) che possono candidamente arrivare (in alcuni casi estremi) ad asserire di non possedere una casella di posta elettronica o di non averne bisogno? Quali i fraintendimenti che hanno generato all’interno della nostra categoria professionale una così diffusa avversione a tutto ciò che è digitale?

Il primo equivoco riguarda proprio la tecnologia digitale a scuola. Spesso si è ritenuto che si potesse introdurre (o potenziare) la presenza del digitale a scuola così come si è fatto e si fa per qualsiasi altra amministrazione pubblica o privata. Si è creduto bastevole fornire alcuni dispositivi che permettessero di omologare nelle regole e nella prassi gli aspetti meramente burocratico-gestionali per poter considerare raggiunto l’obbiettivo di una presunta “digitalizzazione” della scuola. Si informatizzano gli uffici dell’anagrafe comunale, gli uffici postali e quelli catastali? Basta informatizzare le segreterie scolastiche con protocolli online, registri online e quant’altro e il gioco è fatto! Tanti sono ancora oggi gli insegnanti che identificano la scuola digitale con il registro elettronico o con le pagelle online. Tanti quelli che vedono gli strumenti e gli applicativi software (se va bene) esclusivamente in un’ottica di produttività personale e totalmente slegati dalle attività d’insegnamento (“faccio i verbali, le programmazioni, le relazioni, uso il copia-e-incolla e mi sbrigo prima”). Tanti ancora coloro che trovano tutte le possibili obiezioni, scuse e scappatoie pur di non spendere una sola ora del proprio tempo per avvicinarsi realmente a questo mondo.

Il secondo equivoco è quello che, a mio modesto avviso, ha avuto (ed ha ancora) conseguenze ancor più gravi. Si è fatta formazione sul digitale ai docenti imbottendoli di inutili concetti d’informatica e di sterile tecnica. “Digitale a scuola = più preparazione informatica” (???) E via con centinaia di corsi d’informatica (base e avanzati). Può un docente avere giovamento per la sua attività didattica da un corso sugli applicativi tipici di un qualsiasi ufficio pubblico o privato? Questa “confusione” digitale=informatica si è di solito moltiplicata in una serie di nefasti effetti a cascata. Uno dei più negativi è quello che ha visto spesso affidare la formazione dei docenti a dei super-tecnici che hanno naturalmente dato un taglio tecnicistico ai loro corsi trascurando del tutto gli aspetti metodologici, pedagogici e didattici. In buona sostanza le azioni di formazione che avrebbero dovuto avvicinare i docenti al “nuovo mondo” in cui i loro studenti sono nati, nei fatti hanno avuto l’effetto opposto. Ed ecco che tra gli insegnanti si diffonde la digifobia e il digi-scetticismo: non mi serve, è una perdita di tempo, troppo complicato…

Nulla di più inutile (o a volte dannoso) la formazione fatta così. L’insegnante che non vede l’applicabilità immediata nella sua pratica didattica quotidiana, non è motivato a conoscere questi nuovi strumenti, si arrende alle prime difficoltà, non trova giusti stimoli al cambiamento e alla ricerca personale, dimentica subito quel poco che ha imparato e continua col suo tradizionale e collaudato metodo d’insegnamento (“faccio così da anni e mi son sempre trovato bene”).

Invece di puntare su quei tool che possono essere spesi in classe a supporto di qualsiasi approccio metodologico (tradizionale o innovativo che sia), si è tentato di far diventare i docenti degli “esperti” informatici. E a che pro? Perché non far vedere come utilizzare bene ciò che la Rete offre già al mondo della scuola (repository di risorse educative, OER, piattaforme e-learning, web-app, piattaforme cloud, MOOCs, ecc…). Perché non fargli toccare con mano quanto semplice, realmente utile ed efficace può essere una buona integrazione della tecnologia nell’azione didattica? Perchè non mostrare le potenzialità infinite date dall’affiancamento di un ambiente-classe “virtuale” a quello reale?

Un caso esemplare è quello relativo alla fornitura di LIM da parte del Ministero di qualche tempo fa. La fornitura fu accompagnata da alcune ore di formazione obbligatoria (le scuole che ricevevano le LIM dovevano indicare un certo numero di docenti che si impegnavano a formarsi sull’uso della stessa). Giusto. Purtroppo però in tantissimi casi la formazione fu fatta da incaricati delle case produttrici e si è risolta in una mera elencazione di caratteristiche tecniche e di indicazioni basilari per il corretto uso dell’apparato. Nei casi migliori sono state descritte le principali funzioni dei software proprietari del costruttore per la creazione di vere e proprie lezioni. Il docente più “temerario” ha certamente potuto mettere alla prova le proprie competenze digitali ma ci si è subito resi conto della enorme mole di lavoro necessaria per la costruzione di contenuti quantomeno accettabili con questi strumenti. Una o due unità didattiche in un anno scolastico: non è possibile pensare che un docente vada oltre. Di contro, per la stragrande maggioranza degli insegnanti tale strada si rivelò immediatamente non praticabile. Le LIM in tante classi rimasero inutilizzate o utilizzate esclusivamente per la proiezione di audiovisivi (leggi “utilizzate male”). Eppure era già disponibile un mondo di risorse e di strumenti più immediatamente spendibili in classe nell’attività didattica quotidiana.

Aggiungiamo a ciò le diffuse difficoltà oggettive dal punto di vista infrastrutturale presenti e persistenti in tante realtà scolastiche: rete inesistente o non performante, nessuna o poca assistenza tecnica, computer obsoleti e non manutenuti, ecc…

Tutto ciò si è tradotto in un atteggiamento a volte ostile e spesso timoroso da parte di molti docenti nei confronti del digitale tout court ed ha alimentato preconcetti e paure in merito.

E se mi si blocca durante la lezione? Ma non è che poi verremo rimpiazzati da un insegnante sul computer? E se mentre avvio la LIM la classe fa baccano? E se non c’è la rete? E se manca la corrente elettrica?

Fin qui ciò che è stato. Ma possiamo sperare in un reale “nuovo corso” per il digitale a scuola? Possiamo auspicarci una nuova fase di azioni formative appropriate che incoraggino gli insegnanti ad una efficace e sensata integrazione del digitale nella propria attività didattica? Si debbono affrontare questi timori, sconfiggere i preconcetti, riavvicinare i docenti all’innovazione (e alla riflessione) metodologica utilizzando il digitale come un “cavallo di Troia”, senza più “spaventarli” [ii] .

Può ora il nuovo PNSD [iii] “attaccare” queste paure? Che armi ha per incoraggiare i docenti a superarle? Delle 35 azioni contenute nel PNSD, alcune sembrano essere (almeno in potenza) davvero indirizzate al superamento di tale “blocco psicologico di categoria”.

Nelle pagine introduttive del PNSD (dove si parla della formazione del personale) possiamo leggere: Il personale della scuola deve essere equipaggiato per tutti i cambiamenti richiesti dalla modernità, e deve essere messo nelle condizioni di vivere e non subire l’innovazione. La formazione dei docenti deve essere centrata sull’innovazione didattica, tenendo conto delle tecnologie digitali come sostegno per la realizzazione dei nuovi paradigmi educativi e la progettazione operativa di attività. […] Dobbiamo raggiungere tutti i docenti di ogni ordine, grado e disciplina, e non solo i singoli innovatori naturali che emergono spesso anche senza il bisogno del MIUR. Occorre quindi vincere la sfida dell’accompagnamento di tutti i docenti nei nuovi paradigmi metodologici. I contributi dei docenti più innovatori servono invece a creare gli standard attraverso cui organizzare la formazione e, attraverso risorse certe e importanti, renderla capillare su tutto il territorio. [iv]

In dettaglio si possono considerare le prime tre azioni [v] unitamente alle azioni #4 e #6 [vi] , come propedeutiche a qualsiasi intervento in tale direzione. Gli strumenti essenziali per poter parlare di didattica digitale, insomma.

Più direttamente ed esplicitamente di formazione e di didattica digitale (o col digitale) si parla invece nelle due azioni #25 e #27 che prospettano nuovi scenari relativamente alla formazione iniziale e in servizio per l’innovazione didattica.

Anche fra le azioni cosiddette “di accompagnamento” troviamo una certa attenzione a questo specifico tema della formazione digitale dei docenti con l’azione #28 meglio conosciuta come quella che istituisce la figura dell’animatore digitale per ogni scuola.

Un pool di “buone intenzioni”, quindi. Azioni strategicamente ben ideate che fanno capire quanto centrale venga considerata la nostra questione all’interno del PNSD (che a sua volta ha un ruolo altrettanto centrale nell’ambito dell’intera riforma). Tutto bene dunque? Possiamo sperare? Sarà un cambiamento omogeneo e di sistema? O continueremo ad avere una scuola digitale a macchia di leopardo?

Molto dipenderà da come tutto questo immenso progetto diventerà realtà. Nel trasferimento dal centro (MIUR) alla periferia (istituzioni scolastiche), il ruolo dei vari attori (USR, Scuole-Polo, Snodi formativi, Dirigenti scolastici, formatori) sarà determinante e costituirà la reale discriminante tra una efficace o inefficace attuazione di tutto il PNSD.

Sarebbe auspicabile definire quanto più possibile un “modello” per la formazione digitale destinata ai docenti. Prendere gli esempi positivi che pur ci sono (il Didatec di Indire, EPICT, le azioni formative dell’Iprase, il Servizio Marconi dell’USR-ER, ecc…) e metterli a sistema all’interno di un framework di competenze chiaro e valido per tutti. Forse in questo può tornare utile rimettere al centro il Quadro di riferimento delle competenze per i docenti dell’ Unesco . Forse potranno essere d’aiuto le ricche e validissime esperienze condotte a livello europeo con i corsi erogati dalla European Schoolnet Academy [vii] .

Criticità se ne potranno incontrare tante in fase di attuazione e per questo, senza con ciò sminuire in alcun modo l’enorme impianto progettuale, possiamo dire che il più è ancora dinanzi a noi. La strada da fare per superare la digifobia di molti insegnanti è davvero ancora tanta e non certo in discesa.



[i] Aspettando la formazione in servizio “obbligatoria” – Giancarlo Cerini – EdScuola – http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=70700

[ii] Una mappa per la formazione digitale degli insegnanti – Patrizia Vayola – Bricks – http://bricks.maieutiche.economia.unitn.it/2015/09…

[iii] Piano Nazionale Scuola Digitale 2015 – http://www.istruzione.it/scuola_digitale/allegati/…

[iv] PNSD 2015 – pag.31

[v] Azioni #1,#2 e#3 PNSD 2015 – pagg. 34-40

[vi] Azioni #4 e#6 PNSD 2015 – pagg. 41 e 47

[vii] I corsi della European Schoolnet Aacademy – G.Corsaro – Bricks – Settembre 2015 – http://bricks.maieutiche.economia.unitn.it/2015/09/21/i-corsi-della-european-schoolnet-academy/

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