Data driven decision: non un vezzo, ma una esigenza che ci chiede anche l’Europa

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I dati ci stanno già aiutando a prendere decisioni. Ci aiutano ad accelerare le diagnosi, a trovare il posto ideale per installare un parco eolico, a evitare gli imbottigliamenti nel traffico, a prevedere i raccolti o a studiare gli avversari nello sport. E’ tempo che anche la politica e l’amministrare pubblico comincino a ponderare decisioni e a fare scelte sulla base di un’informazione affidabile e ben strutturata.

14 Luglio 2014

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Eleonora Bove

I dati ci stanno già aiutando a prendere decisioni. Ci aiutano ad accelerare le diagnosi, a trovare il posto ideale per installare un parco eolico, a evitare gli imbottigliamenti nel traffico, a prevedere i raccolti o a studiare gli avversari nello sport. E’ tempo che anche la politica e l’amministrare pubblico comincino a ponderare decisioni e a fare scelte sulla base di un’informazione affidabile e ben strutturata.

Oggi si sente spesso parlare di “data driven innovation”, riferendosi alla capacità utilizzare le informazioni che si ricavano dalla analisi dei dati (data analytics), per orientare lo sviluppo di servizi migliori e per facilitare la vita quotidiana degli individui, delle organizzazioni e delle imprese.
Non è una moda, ma un percorso di innovazione profondo che genera reali benefici. Basti pensare che le aziende che fondano i propri processi decisionali sulle conoscenze generate dai dati registrano un incremento di produttività del 5‑6% (dati Commissione Europea).

L’IT, infatti, si sta evolvendo e la convergenza di innovazioni come il cloud computing, l’internet mobile, l’interattività sociale e l’aumentata disponibilità di analytics ha dato vita alla “data driven innovation”. Un nuovo ecosistema in cui consumatori e business users hanno uguale accesso a una miriade di dispositivi che possono generare input di dati e raccoglierne i vantaggi, praticamente ovunque e in qualsiasi momento. Questa realtà ha due effetti immediati. Innanzitutto sta facendo aumentare a dismisura il numero di informazioni prodotte (siamo passati dai 5 exabyte del 2003, a 161 exabyte del 2012) e sta facendo nascere nuovi bisogni di competenze legate ai big data (la crescita della domanda è pari al 40% l’anno, circa sette volte quello dell’ICT). In secondo luogo sta cambiando il comportamento degli utenti e le aspettative e, quindi, i modelli di business. Il driver rivoluzionario della data driven innovation non è infatti tanto (o solo) l’aumento di volume di informazioni, quanto la qualità dei dati e la frequenza di raccolta.

E’ difficile quantificare l’impatto economico della data driven innovation perché è trasversale a vari settori dell’economia, ma da alcune ricerche effettuate da Gartner si stima che, entro il 2015, contribuirà a creare 4,4 milioni di posti di lavoro IT a livello globale, di cui 1,9 milioni saranno negli Stati Uniti. Se si considera che questi stessi posti di lavoro saranno una sorta di acceleratore di occupazione, creando domanda qualificata anche in settori non tech, si arriva alla cifra complessiva di sei milioni di possibili nuovi occupati. Un altro studio prevede che solo nel Regno Unito, nei prossimi cinque anni, il personale specializzato nel trattamento di dati e in particolare nei Big Data aumenterà del 240%.

Dalla data driven innovation alla data driven decision

Chi prendere decisioni in ambito pubblico, quindi, non può ignorare il movimento che si sta sviluppando nel settore commerciale, sia dal punto di vista della qualità del servizio resi ai propri utenti/cittadini, sia dal punto di vista del miglioramento dell’efficienza e dei risparmi. La politica e l’amministrazione – specie quelle più legate alla città e al territorio – da sempre utilizzano le informazioni raccolte in loco per scegliere e realizzare soluzioni il più possibili efficaci. Analizzare i flussi di traffico su di una strada per vedere se sia il caso di renderla a senso unico o monitorare il tasso di incidenti ad un incrocio per valutare l’investimento di una rotatoria, ma anche le conferenze dei servizi e le consultazioni pubbliche potrebbero rientrare in questo ambito. Ma la data driven innovation va oltre e si trasforma in data driven decision.

Ecco quindi le sperimentazioni in cui cittadini, automobili o edifici possono essere usati come sensori per raccogliere dati sui quali costruire modelli interpretativi. Non è fantascienza e avevamo già scritto di alcuni casi sia nazionali che internazionali.

Tuttavia tanto potenziale si deve basare su due gambe robuste: una buona gestione dei dati e la costruzione della fiducia basata sulla trasparenza. Se quest’ultima favorisce un rapporto di condivisione delle informazioni, tra cittadini e PA, che in virtù della qualità del servizio offerto saranno più propensi a condividere informazioni una corretta gestione dei dati non può prescindere da sicurezza delle informazioni e responsabilità. Nel mercato globale attuale, per un’impresa la responsabilità nel trattamento delle informazioni raccolte è un fattore critico per il successo aziendale. Lo stesso vale per le pubbliche amministrazioni.

Un aiuto dall’Europa

Per aiutare i cittadini e le imprese dell’UE a cogliere più rapidamente i vantaggi di tutto il potenziale offerto dai dati, la Commissione Europea lavorerà con il Parlamento e il Consiglio per portare a termine la riforma delle norme dell’UE sulla protezione dei dati e arrivare all’adozione definitiva della direttiva sulla sicurezza delle reti e dell’informazione, al fine di garantire l’elevato livello di fiducia essenziale indispensabile per una florida economia basata sui dati.

In una Comunicazione su Data Driven Economy di luglio di quest’anno, l’Unione indica le principali azioni su cui intende impegnarsi nei prossimi mesi:

  • Istituire un partenariato pubblico-privato sui big data per finanziare idee rivoluzionarie, in settori come la medicina su misura e la tracciabilità degli alimenti dal produttore al consumatore;
  • Creare un incubatore di dati aperti (nell’ambito di Horizon 2020), per aiutare le PMI a dotarsi di catene di fornitura (supply chain) basate sui dati e incrementare il ricorso al cloud computing;
  • Proporre nuove regole sulla proprietà dei dati e sulla responsabilità della loro fornitura per i dati raccolti attraverso l’internet delle cose (comunicazione da macchina a macchina);
  • Mappare gli standard sui dati, individuando le eventuali divergenze;
  • Istituire una serie di centri di eccellenza di supercalcolo per aumentare il numero dei professionisti dei dati in Europa;
  • Creare una rete di strutture per l’elaborazione dei dati in diversi Stati membri.

Le azioni della Commissione saranno ampliate o proseguiranno:

  • con l’espansione degli investimenti per la tecnologia 5G (già 700 milioni di euro impegnati in un partenariato pubblico-privato) grazie ad accordi internazionali, come quello concluso in giugno fra la Commissione europea e la Corea del Sud;
  • con le iniziative "Grande coalizione per l’occupazione nel digitale" e "Aprire l’istruzione" per ovviare alla carenza di competenze
  • con la pubblicazione di orientamenti sulle migliori pratiche per le autorità pubbliche in materia di dati aperti.

Molta carne al fuoco quindi per un tema che fonde tecnologia e visione e che si preannuncia come uno tra i temi centrali della smart city di domani. Anche per questo uno degli eventi centrali del prossimo Smart City Exhibition (Bologna 22-24 ottobre) sarà proprio centrato sul data driven decision e sarà l’occasione per fare incontrare tecnologie, soggetti e strumenti abilitanti. 

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