Da Città Metropolitane a metropoli strategiche: cosa manca per attuare la Riforma Delrio
Per essere davvero “motore di sviluppo” del Paese, le Città Metropolitane devono definire insieme dei macroobiettivi di sistema che, alla luce dello stato attuale dell’Italia e delle dinamiche globali, devono rappresentare dei cantieri d’azione particolarmente urgenti nell’agenda nazionale
6 Febbraio 2019
Paolo Testa
Capo ufficio studi ANCI
Nel Libro Bianco “Start City”, uscito nel 2016 a cura di Anci, TEHAmbrosetti e Banca Intesa si dice che le Città Metropolitane sono la “spina dorsale” dell’Italia e, attraverso le interrelazioni funzionali ed economiche con gli altri territori, contribuiscono alla competitività del Paese e dei rispettivi territori sotto più dimensioni: valore economico generato, sistemi produttivi, dotazione infrastrutturale, innovazione e ricerca, formazione.
Si dice anche che, per essere davvero “motore di sviluppo” del Paese, le Città Metropolitane, devono definire insieme dei macro-obiettivi di sistema che, alla luce dello stato attuale dell’Italia e delle dinamiche globali, devono rappresentare dei cantieri d’azione particolarmente urgenti nell’agenda nazionale: la promozione dell’export e l’internazionalizzazione delle imprese del territorio, la valorizzazione degli asset culturali e del turismo, lo sviluppo del sistema della logistica e della mobilità, la rigenerazione urbana a partire dalle periferie.
Queste affermazioni erano saldamente fondate sulla constatazione che le 14 Città Metropolitane italiane sono i territori più dinamici del nostro Paese, tali da poter svolgere una funzione di traino nella crescita dell’economia nazionale. In termini demografici queste aree mostrano un incremento del 12% di famiglie residenti in 10 anni, dato superiore a quello nazionale del 2,2%. In termini economici le Città Metropolitane, al momento della loro costituzione, producevano oltre un terzo del PIL nazionale e presentavano un tasso di incremento delle imprese positivo, a fronte di un dato nazionale negativo. Un potenziale di innovazione confermato sulla concentrazione di infrastrutture per l’istruzione e la ricerca scientifica, per la connessione in banda ultra larga, per la logistica di molto superiore al resto del Paese. Si tratta di dati che evidenziano la potenziale attrattività di queste aree per il rilancio degli investimenti internazionali, e il ruolo di hub che si candidano ad assolvere in favore dell’intera economia nazionale.
Ma si tratta anche dei territori in cui più acute sono le sfide relative all’inclusione sociale, alla sostenibilità ambientale, alla rigenerazione urbana e rileggere oggi, a due anni di distanza, questi dati ci spinge a interrogarci su quanto queste affermazioni siano da considerarsi ancora un auspicio, piuttosto che una concreta realtà in costruzione.
A quell’epoca, agli albori dell’attuazione della Riforma Delrio degli Enti Locali che definisce un nuovo disegno dell’amministrazione territoriale, emergeva chiara la necessità di nuovi modelli organizzativi, nuovi processi e nuove competenze nelle amministrazioni stesse, in particolare delle neo-costituite Città Metropolitane:
- per lo sviluppo di nuove competenze, corrispondenti non solo alle nuove funzioni attribuite, ma anche e soprattutto alle nuove modalità programmatorie e pianificatorie da esercitare in area vasta;
- per interventi di change management in grado di attrezzare l’amministrazione stessa alla gestione del necessario cambiamento organizzativo secondo un approccio di innovazione di tipo “olistico” anche promuovendo l’introduzione di politiche innovative;
- per adottare nuove modalità di mappatura e coinvolgimento degli stakeholder per la formulazione di interventi programmatori e pianificatori sia in fase di analisi che di intervento.
Verso questi obiettivi sono state orientate le azioni del progetto “Metropoli Strategiche” che ANCI sta realizzando nell’ambito del PON Governance e Capacità amministrativa, che nel suo primo anno di attività ha portato all’evidenziazione di tre questioni-chiave che andranno affrontate prioritariamente per dare alle Città Metropolitane il ruolo che la riforma attribuiva loro:
1) il corretto (e ambizioso) svolgimento della funzione di pianificazione strategica a livello metropolitano, finalizzata in primo luogo alla rigenerazione urbana e allo sviluppo economico. Se da tempo la rigenerazione urbana è al centro dell’agenda politica di tutte le città, attraverso una corretta interpretazione dello “strumento” Piano Strategico Metropolitano, alcune Città Metropolitane stanno incamminandosi in una direzione innovativa: non più quella del mero intervento fisico su spazi ed edifici, ma un’azione complessa di ri-costruzione di comunità attraverso strumenti di innovazione sociale, incubazione d’impresa e sostegno all’occupazione basati sulla relazione con le comunità di quartiere, con le associazioni civiche e con gli imprenditori locali che sono chiamati a essere parte attiva dei processi di cambiamento urbano.
2) La costruzione reciprocamente vantaggiosa del rapporto tra i centri urbani maggiori, tipicamente i capoluoghi, e le aree interne comprese nel territorio della Città Metropolitana. La Riforma, individuando i confini ex provinciali coincidenti con quelli delle Città Metropolitane, ha affidato loro il governo di territori di grande complessità, in cui alla città consolidata e alle ampie aree di sprawl periurbano si affiancano vasti territori classificati come aree interne, piccoli comuni e aree montane. Basti pensare che su 1335 sono 274 i comuni metropolitani classificati come periferici o ultraperiferici: il 20,5%, con tutto il loro portato di squilibrio demografico, rischio idrogeologico e potenziale economico da valorizzare.
3) Il ruolo centrale nel governo del territorio per affrontare e risolvere la “questione ambientale” e il contrasto agli effetti del cambiamento climatico.
Le Città Metropolitane sono state investite della responsabilità di pianificare le strategie di sviluppo dei propri territori, e hanno assunto gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile proposti dall’Agenda Onu 2030, con particolare riferimento alla dimensione ambientale e territoriale, traducendoli in impegni concreti nella “Carta di Bologna per l’Ambiente”, sottoscritta l’8 giugno 2017.
Gli obiettivi riguardano il consumo di suolo, l’economia circolare, la transizione energetica, la qualità delle acque, la qualità dell’aria, il verde urbano, la mobilità sostenibile, l’adattamento ai cambiamenti climatici e la riduzione dei rischi. In questo quadro, ANCI ha attivato nel marzo del 2018 il progetto Agenda Urbana delle Città Metropolitane per lo Sviluppo Sostenibile che, sotto il coordinamento del Sindaco Metropolitano di Bologna Virginio Merola, ha lo scopo di rafforzare il ruolo delle città nel perseguimento di obiettivi di sostenibilità tramite lo scambio di pratiche e soluzioni, il monitoraggio delle azioni e la valutazione degli impatti.
Un passaggio come quello della Riforma Delrio che, almeno riguardo la costituzione delle Città Metropolitane, possiamo definire storico per il nostro Paese, necessita certamente di tempi lunghi per produrre effetti, ma è altrettanto certo che se le azioni avviate su questi fronti non verranno sostenute e perseguite con costanza, rischiamo che gli auspici non si trasformino mai in realtà.