Con i media sociali possiamo hackerare le città

Home Open Government Comunicazione Pubblica Con i media sociali possiamo hackerare le città

Ogni giorno, mediamente, 40.000 persone scelgono di affittare 1 delle 250.000 camere disponibili su Airbnb (fonte economist) scegliendo tra 30.000 città e 192 paesi: senza gerarchie e intermediazioni, il sistema vive grazie a dinamiche tipiche dei media sociali, tra peer to peer e reputazione. Di fronte a questo caso emblematico, possiamo pensare di organizzare lo sviluppo e la gestione dei territori con un’idea di cittadini passivi nel ricevere informazioni?

18 Marzo 2013

M

Michele D'Alena*

Ogni giorno, mediamente, 40.000 persone scelgono di affittare 1 delle 250.000 camere disponibili su Airbnb (fonte economist) scegliendo tra 30.000 città e 192 paesi: senza gerarchie e intermediazioni, il sistema vive grazie a dinamiche tipiche dei media sociali, tra peer to peer e reputazione. Di fronte a questo caso emblematico, possiamo pensare di organizzare lo sviluppo e la gestione dei territori con un’idea di cittadini passivi nel ricevere informazioni?

I media sono diventati sociali e con la democratizzazione dell’uso delle tecnologie della comunicazione ogni giorno avvengono milioni di conversazioni che generano un patrimonio di dati che ci permettono di ripensare la governance.

I cittadini divengono da fruitori produttori con possibili risparmi di risorse e maggior efficienza nelle soluzioni.

Azioni come le petizioni on-line, o le sempre più diffuse piattaforme per interagire con politici e amministratori, costituiscono una parte significativa di nuove forme di impegno civico. Così come i siti web che consentono il pagamento di biglietti per il parcheggio o l’autobus o qualsiasi altra interazione con il settore pubblico: il web ridefinisce lo spazio e la dialettica tra cittadini e Pubbliche Amministrazioni.
Pensiamo ai più di 20 milioni di italiani sul principale social network o alla gestione delle emergenze: le analisi dei nodi informativi dopo la prima scossa in Emilia, evidenziano il ruolo centrale dei cittadini connessi al web mentre la Protezione Civile e gli enti preposti sono arrivati dopo.

Il web trasforma i comportamenti sociali: nel turismo il Couchsurfing – fenomeno per i soli più giovani – viene seguito dal già citato Airbnb e l’accesso alle strutture ricettive può essere facilmente disintermediato per un’ampia fascia di popolazione. Se aggiungiamo servizi come Tripadvisor e la possibilità di comprare biglietti del treno e aereo on-line, è evidente che sempre più persone usano le tecnologie della comunicazione in modo evoluto. Le persone si parlano tra loro trovando spesso soluzioni impensabili 5 anni fa.

Dal social lending, al crowdfunding, ai gruppi di acquisto, il web diviene piattaforma abilitante a scardinare meccanismi sociali e perfino di mercato.

Gli esempi parlano chiaro e, se parliamo di smart city, stiamo assistendo alla nascita dell’ “Airbnb of everything”. In ogni settore esiste un progetto peer to peer e di fronte alla complessità contemporanea e alla penuria di risorse, dobbiamo ripensare la progettazione e il ruolo delle istituzioni partendo da due nuovi assunti: le informazioni rilevanti possono essere raccolte attraverso l’uso dei media sociali e lo spazio pubblico deve essere ridefinito alla luce dei dati e delle nuove possibili interazioni.

La rete è uno strumento che permette di condividere e aggregare skills e conoscenze rilevanti spesso più strategiche rispetto a ciò che un rappresentante del middle management possa prevedere.

Si tratta di aiutare i governi e le aziende a prendere decisioni migliori, approfondendo i loro sforzi sia per coinvolgere i cittadini sia per leggere i dati che emergono dalle relazioni.

Nuove e impensabili vie nascono per risolvere un problema e e migliorare l’ecosistema: come valorizzarle? Come metterle a sistema?
A fronte di questo cambio di approccio, numerose aziende private sperimentano nuovi modelli: la compagnia assicurativa AVIS che compra Zipcar, Procter and Gamble o Nokia attive nell’open innovation, così come Telecom che con Change Makers ha raccolto progetti innovativi a base ICT dedicati al problem solving cittadino. Ma, oltre alle iniziative private, è la diffusione di conoscenza e di tecnologie aperte ed economiche a scardinare, o hackerare, il territorio in modo diffuso con Arduino, TaskRabbit, Quirky e Openideo  esempi concreti di un nuovo modus operandi.

Ma come replicare queste dinamiche per migliorare le città? I nuovi spazi di comunicazione, di dialogo e coprogettazione forniscono dati che possono consentire sviluppi impensabili, talvolta persino rischiosi, per il possibile uso che può esserne fatto da parte delle società private. E nel pubblico? Come superare l’approccio centralista con i cittadini considerati consumatori passivi, e migliorare il codice sorgente delle città con la creatività diffusa delle community, degli spazi urbani cogestiti, dei coworking, dei fablab?

C’è da hackerare un sistema e mettere in osmosi due aspetti finora poco comunicanti ma le poche risorse della Pubblica Amministrazione e la tecnologia in grado di ridisegnare ambienti già ridefiniscono l’interazione cittadino-amministratore.

Siamo di fronte ad un nuovo metodo che permette di far emergere idee qualitativamente migliori con costi di produzione minori, a beneficio di tutti. Gli esempi di processi aperti alla logica collaborativa della rete sono numerosi, ma è necessario riconoscere un ruolo centrale ed integrante a coloro che sono pronti a collaborare per costruire la visione di una città più smart, più dinamica, più flessibile e umana, condividendo dati ed esperienze. Per il bene comune, le pubbliche amministrazioni possono risparmiare e migliorare sperimentando l’uso di consultazioni pubbliche e percorsi di coprogettazione tra pubblico privato e società civile, con contest e fasi di betatesting grazie ad un uso strategico dei media sociali. Gli esempi e i dati a disposizione indicano che fuori dalla Pubblica Amministrazione ci sono proposte concrete per migliorare la qualità della vita, il livello di istruzione e di sviluppo.

I social network non eliminano il problema ma possono aiutare ad ascoltare i bisogni e le richieste dei cittadini, a garantire trasparenza e fiducia, favorendo interazione e contaminazione trasversale tra organizzazioni gerarchiche e flessibili, con ponti continui tra il centro e la periferia, tra settore pubblico, imprese e società civile. Attraverso open data e media sociali, con nuove modalità di coinvolgimento e rendicontazione, servono risorse dedicate all’ascolto, al monitoraggio e alla lettura dei dati. Non si tratta della somma di interazioni isolate perché sta nascendo un ambiente che collega i cittadini ai processi come mai era accaduto prima. 


*Michele d’Alena si occupa di processi di e-goverment e innovazione sociale utilizzando le tecnologie del web 2.0 come strumento che abilita nuovi spazi di dialogo, partecipazione e coprogettazione. Attualmente nel social media team del Comune di Bologna e consulente per la Camera di Commercio Italiana per la Germania e lo studio Giaccardi & Associati. E’ inoltre coordinatore di TagBoLab, laboratorio sul marketing territoriale nel web 2.0 dell’Università di Bologna e scrive per CheFuturo.it.  

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!