I dati sono beni comuni. La dimostrazione dal nuovo DPCM

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I dati sono stati fino a questo momento i grandi assenti dalla gestione della pandemia. L’app Immuni è stata di fatto messa in soffitta, ma il nuovo DPCM sembra ora cambiare approccio e aprire a un diverso utilizzo del dato. Ne abbiamo parlato con Vincenzo Patruno, membro di OnData, associazione che ha lanciato in questi giorni la campagna #datibenecomune

11 Novembre 2020

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Marina Bassi

Project Officer Area Ricerca, Advisory e Formazione FPA

Photo by Evgeni Tcherkasski on Unsplash - https://unsplash.com/photos/0pPyrly3H2U

Nell’ultimo DCPM sono state introdotte alcune novità nell’approccio con cui il governo intende gestire e fronteggiare la pandemia e, forse per la prima volta, si comincia a prendere nella giusta considerazione l’utilizzo di dati a supporto delle strategie di contrasto all’epidemia. L’app Immuni, che avevamo aspettato e di cui avevamo avuto modo di raccontare, è stata di fatto messa in soffitta.  Non è servita a gestire il contact tracing in modo efficace per arginare la trasmissione del virus. O meglio, nonostante il tentativo di monitorare, tracciare e allertare in tempo utile per poter fare scelte decisive, il virus ha comunque ripreso a correre, forte della distrazione estiva e in barba alle speranze che industrie, imprese e commercianti avevano maturato. Come dicevamo, invece, con l’ultimo DCPM si tenta di utilizzare i dati per una vera gestione data driven dell’emergenza, intervenendo sulle singole Regioni (associando ad ognuna un colore diverso, che indica il grado di restrizioni a cui è sottoposta) sulla base del valore dei 21 indicatori definiti già nello scorso mese di maggio e calcolati dall’ISS per definire un indice di rischio regionale.

Abbiamo discusso con Vincenzo Patruno (OnData) delle ultime novità, partendo da cosa non ha funzionato in precedenza. “Si potrebbe spendere più di una parola sull’inefficienza e inefficacia dimostrate da alcune misure, sia in ambito di scuola e istruzione, che rispetto alla gestione dei servizi di mobilità locale e nazionale – avvisa Patruno -, ma la realtà, anche in questo caso, è molto più complessa di quanto si sia disposti ad accettare. E la gestione delle complessità, questione non facile già in tempi di pace, diventa molto difficile in una situazione di emergenza come quella che stiamo attraversando. Prendere misure uniformi che colpiscono tutti indistintamente è stato il modo per tentare di arginare la pandemia nei mesi scorsi. Va detto che la cosa ha sicuramente funzionato, anche se bloccare l’intera Italia è stato un modo drastico per ridurre la complessità, provando a dare una risposta semplice ad un problema molto più articolato e complesso”.

In altre parole, le misure sono state efficaci perché ovviamente hanno costretto le persone a restare a casa. Ma le misure drastiche vanno adottate con parsimonia, in quanto generano effetti collaterali di tipo sociale ed economico che possono essere devastanti. Si dovrebbe poter agire, invece, in modo selettivo, tenendo a casa chi veramente è a rischio e attivando misure di chiusura solo là dove sono effettivamente necessarie. Ecco che torniamo a parlare di dati e dell’ultimo DPCM dove, come dicevamo all’inizio, per la prima volta sembra prendere nella giusta considerazione l’utilizzo dei dati per la gestione dell’emergenza. Dati molto diversi da quelli a cui siamo abituati ormai dal mese di marzo e rilasciati a livello nazionale dal Dipartimento della Protezione civile (anche di questo abbiamo discusso nelle ultime settimane), ma anche in modo completamente autonomo da regioni ed enti centrali con bollettini, dashboard, mappe, report ecc..

Produrre indicatori affidabili vuol dire raccogliere, controllare e mettere a sistema dati per poi processarli adeguatamente e pubblicarli. Sono gli stessi dati che da alcuni giorni la società civile sta chiedendo a gran voce al governo italiano di rilasciare come open data in formato machine readable attraverso la campagna #datibenecomune. Lanciata da onData e dal suo presidente Andrea Borruso assieme a professionisti e a tante realtà importanti da sempre attive su temi come la trasparenza, la legalità, l’informazione, l’analisi dati, l’attivismo civico, la campagna sta coinvolgendo ogni giorno sempre più organizzazioni, a testimonianza di quanto sia percepita come di fondamentale importanza la possibilità di monitorare, studiare, informare e analizzare attraverso i dati l’evoluzione della pandemia. Per valutare l’efficacia delle politiche messe in campo, ma anche per fornire ai decisori pubblici nuovi elementi per migliorare quelle politiche.

I dati sono stati fino a questo momento i grandi assenti di questa crisi. A fronte delle ingenti spese fatte per potenziare il sistema sanitario, per garantire la cassa integrazione o fornire sostegno alle attività commerciali, al settore dello sport, al settore della cultura, troppo poco è stato fatto per adottare l’infrastruttura e i processi necessari per l’acquisizione continua e controllata di flussi di dati sulla pandemia. Con il risultato che spesso i dati che dovrebbero essere raccolti dalle regioni arrivano in ritardo o non arrivano affatto, come evidenziato qualche giorno fa sull’Huffington Post. Servirebbe quindi acquisire flussi di dati elementari per consentire un dettagliato monitoraggio continuo nonché una vera e tempestiva gestione data driven dell’emergenza, per attivare vere politiche “di precisione” nella gestione del contenimento dell’epidemia.

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