Dal paradiso dei lump sum all’inferno delle asseverazioni (e ritorno)? Cose buone e lezioni apprese nei primi due anni di PA Digitale 2026

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I cambiamenti intercorsi in questa prima fase di attuazione del PNRR hanno richiesto e continuano a chiedere un costante sforzo di adattamento agli enti locali. Enti che, nella stragrande maggioranza dei casi, pagano ancora una pesante carenza di personale e competenze per gestire il cambiamento, il che comporta il rischio di ridurre l’impatto complessivo del risultato finale. Per evitare che questo accada, è fondamentale concentrarsi nei mesi a venire su alcuni punti cruciali, come tornare a fare tesoro delle buone pratiche

26 Gennaio 2024

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Andrea Tironi

Project manager Digital Transformation, Consorzio.IT

Foto di Viktorija Lankauskaitė su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/bandiera-rossa-sul-palo-sotto-il-cielo-nuvoloso-5Wos7XmGOiI

Questo articolo è tratto dal capitolo “Trasformazione digitale” dell’Annual Report di FPA presentato il 18 gennaio 2024. La pubblicazione è gratuita

Sin dall’avvio delle misure del PNRR sulla PA digitale abbiamo espresso giudizi positivi sull’impostazione seguita dal DTD. In particolare, rispetto alla piattaforma PA Digitale 2026, ai meccanismi di semplificazione per l’accesso ai fondi, al ruolo di accompagnamento del Transformation Office. I primi numeri ci confermano la bontà di questo approccio: vedi le scadenze PNRR, sia di rilevanza comunitaria che nazionale, raggiunte e per la maggior parte superate.

A questa valutazione complessivamente positiva, è importante aggiungere un’analisi critica degli elementi da non sottovalutare, soprattutto in termini di impatto sugli enti territoriali più piccoli, in primis i Comuni. Questo aspetto è importante se associato alle carenze di organico e alle carenze di competenze che gli enti locali si trovano ad affrontare.

Comprendere come i cambiamenti intercorsi in questi 18 mesi abbiano impattato sugli enti locali e sulla realtà che vivono ogni giorno, può aiutare a migliorare il lavoro già fatto, permettendo di raggiungere meglio gli obiettivi futuri. Parliamo di obiettivi che non vogliono e non possono essere un semplice adempimento burocratico, ma vogliono avere effetti concreti sui territori del futuro che devono diventare digitali, per necessità e per virtù. Ma andiamo con ordine.

In principio era il lump sum, ovvero “importo forfettario”, introdotto con il Fondo Innovazione (2020). Il meccanismo del lump sum mirava – e mira tutt’oggi – a prediligere l’outcome (il risultato) all’output (la compliance). Un concetto ripreso ed applicato oggi agli avvisi pubblici di PA Digitale 2026, la piattaforma per l’accesso ai fondi del PNRR destinati alla digitalizzazione.

Ogni avviso, infatti, prevede degli obiettivi di risultato ben definiti. Prendiamo, ad esempio, gli avvisi relativi all’adozione dell’appIO: il risultato richiesto all’amministrazione che accede alle risorse è la visualizzazione di un determinato numero di servizi sull’appIO. Si tratta quindi di obiettivi chiari e misurabili. L’approccio lump sum based ha raggiunto il suo apice con gli allegati 2 degli avvisi, che rappresentano il cuore tecnico di ogni bando. Tale allegato, infatti, specifica con chiarezza, per ogni avviso, cosa vuol dire raggiungere gli obiettivi legati al riconoscimento dell’importo forfettario relativo ad ogni misura.

Il procedimento sopra esposto è stato presentato (a ragione, e riscuotendo entusiasmo, secondo l’opinione di chi scrive) come una grande novità. Questo sia nell’ambito del Fondo Innovazione, dove si è mantenuta una certa coerenza con un approccio snello alla parte più burocratica, sia nel quadro di PA Digitale 2026, quanto meno nella prima fase di pubblicazione degli avvisi.

Il ragionamento associato al lump sum era semplice: si premiano i risultati e non la mera compliance burocratica, pur non sminuendo le procedure amministrative o prevedendo forme di deroga alla normativa. Il ragionamento ha retto almeno fino ad ottobre 2022, o meglio, fino alla pubblicazione delle “Linee guida per i Soggetti attuatori individuati tramite Avvisi Pubblici a lump sum” (al momento della scrittura di questo contributo, la versione vigente è quella dell’ottobre 2023).

I successivi cambiamenti hanno contribuito a spostare progressivamente l’attenzione dall’outcome all’output, ovvero dal “come digitalizzo al meglio il mio ente?” a “quali documenti devo predisporre per certificare che quanto richiesto dall’avviso è stato fatto?”. Può sembrare paradossale, ma l’effetto è stato proprio quello di perdere il focus sul risultato finale che l’ente voleva raggiungere. Le linee guida, in particolare, hanno creato una serie di discontinuità.

La retroattività. Una buona parte degli avvisi sono stati scritti prima della pubblicazione delle linee guida di asseverazione. Dato il carattere mandatorio di quanto previsto per il superamento dell’asseverazione, si è introdotto una sorta di meccanismo retroattivo delle Linee guida rispetto a quanto originariamente previsto negli avvisi.

L’introduzione “in corsa” di nuove regole. Queste, seppur condivisibili, e anzi addirittura auspicabili, hanno talvolta non considerato l’impatto effettivo sui territori. Prendiamo come esempio la già citata appIO: eravamo tutti d’accordo sulla necessità di un catalogo per i servizi dell’app, ma introdurlo in corsa, in una fase piuttosto avanzata del processo di contrattualizzazione e implementazione, ha portato gli enti locali a rimettere mano al lavoro già fatto su avvisi già ben avviati, o addirittura in conclusione. Con conseguenze importanti, dal punto di vista sia operativo che amministrativo.

Lo sdoppiamento dell’asseverazione. Si è iniziato a parlare di asseverazione tecnica, e poi di asseverazione documentale/amministrativa. Se la prima fa riferimento alle sopracitate Linee guida e alle disposizioni dell’avviso, la seconda fa capo alle prassi amministrative della PA. Se dal punto di vista ingegneristico può avere un senso separare due parti che, seppur diverse, definiscono un ‘tutto’, dal punto di vista degli enti locali vuol dire introdurre due momenti di controllo distinti, su temi diversi, eseguiti da figure di controllo diverse, con idee inevitabilmente diverse. È l’ormai ‘leggendaria’ disputa tra ingegneri ed avvocati.

A queste discontinuità, si sono aggiunti ulteriori elementi di complessità. Da un lato, il proliferare delle fonti di informazione e aggiornamento sui diversi avvisi: chiarimenti, decreti correttivi, proroghe, revisione di tassonomie e cataloghi aggiuntivi, “versionamento” delle linee guida di asseverazione, FAQ (di solito senza changelog). Dall’altro, cambiamenti più strutturali, come l’avvicendamento tra AgID e ACN nella gestione di processo di qualificazione dei servizi Cloud per la PA, e il conseguente passaggio dal regime transitorio al nuovo quadro regolamentare.

Come si spiega questa proliferazione di documenti e cambiamenti? I motivi sono probabilmente ascrivibili ai concetti di “asimmetria informativa” e di “curva di apprendimento”. Al momento della scrittura degli avvisi, non si era in possesso (o non si è fatto tesoro di esperienze e competenze esistenti) di tutti gli elementi necessari ad arrivare sin dall’inizio a una visione finale del processo. Anche perché, al momento della formulazione delle specifiche degli avvisi, la struttura del DTD era ancora giovane e non completamente formata.

Le prime asseverazioni, quindi, sono state un fondamentale banco di prova per analizzare approfonditamente i punti critici dei primi avvisi: da qui la necessità di introdurre modifiche a procedimenti già avviati. Inoltre, per alcune progettualità totalmente nuove (vedi PDND, ma anche SEND), ci si è trovati di fronte a scenari completamente inesplorati.

Queste discontinuità, in alcuni casi necessarie, hanno però contribuito a creare un clima di incertezza, nonché una certa confusione, nelle amministrazioni locali (soprattutto quelle più piccole). Da qui il fenomeno evidenziato in precedenza, ovvero lo spostamento del focus dai risultati da raggiungere alla compliance, o per dirla in italiano, all’adempimento.

D’altronde, in ristrettezza di risorse, tempo e persone, gli enti locali hanno dovuto scegliere se dare maggiore importanza alla forma o alla sostanza, e hanno iniziato a propendere per la prima, anche perché forse è l’aspetto su cui hanno maggiore dominio a livello di conoscenza (un dipendente di un Comune sa meglio come fare una delibera che non un passaggio in Cloud).

Questo non significa aver perso totalmente di vista l’outcome, l’impatto finale degli interventi. Ma semplicemente averlo portato in secondo piano, focalizzandosi sulla necessità di “chiudere” anziché di “chiudere bene”. Un cambio di approccio che ha esposto il fianco anche a comportamenti commercialmente discutibili di alcuni fornitori, con dinamiche di maggiorazione dei prezzi, per certi versi assimilabili a quanto avvenuto nel mercato immobiliare con il Bonus 110%.

Aumenti non derivanti da un contestuale accrescimento della qualità delle soluzioni tecniche proposte, e quindi non motivati da una reale spinta all’innovazione, che è uno degli obiettivi primari del PNRR.

Quanto descritto finora è successo negli ultimi 18 mesi. Alla fine del PNRR e di PA Digitale 2026, il Paese sarà “digitalmente diverso”. Le risorse in campo per la digitalizzazione della PA sono infatti passate da “digitalizzazione a costo zero”, ai 20 milioni del primo bando ANPR, agli attuali oltre 6 miliardi.

I cambiamenti intercorsi in questa prima fase di attuazione del PNRR hanno richiesto e continuano a chiedere un costante sforzo di adattamento agli enti locali. Enti che, nella stragrande maggioranza dei casi, pagano ancora una pesante carenza di personale e competenze per gestire il cambiamento. Da qui il rischio di veder ridotto l’impatto complessivo del risultato finale. Per evitare che questo accada, è fondamentale concentrarsi nei mesi a venire su alcuni punti cruciali.

Supportare gli enti nella definizione di una strategia, anche attraverso il rilancio del ruolo del RTD. Gli enti locali hanno bisogno di una strategia organica di ammodernamento, e in questo il Responsabile per la transizione digitale, anche in forma associata, gioca un ruolo essenziale. Gli Avvisi e i fondi non sono il fine ultimo, ma il mezzo (finanziario) per raggiungere obiettivi concreti, siano essi definiti dal PNRR, dal Piano triennale o da qualsivoglia strategia nazionale. L’ente deve necessariamente avere un suo piano che illustra come vuole aspirare a diventare un ente digitale e virtuoso, che integra quanto richiesto dagli avvisi PNRR con il proprio sistema informativo e con i necessari cambiamenti organizzativi e di processo. Il Comune del futuro avrà molto meno personale, dovrà avere più tecnologia e servizi digitali e dovrà lavorare in sinergia con altri enti a lui vicini, se vuole continuare ad erogare servizi.

Prestare attenzione alla sostenibilità di lungo periodo. La migrazione dei servizi in Cloud – non solo nel quadro della misura 1.2 – richiede un’attenzione particolare nel passaggio da spesa ad investimento a spesa corrente. Un passaggio estremamente sfidante per molte amministrazioni. La sostenibilità del bilancio dei prossimi anni, che potrebbe naufragare nel mare dei “troppi canoni”, non si risolve usando i soldi nel PNRR per pagare 3 anni di canone futuro (così si posticipa solo il problema), ma nel cercare di trovare un modo di sostenere i bilanci futuri, anche negoziando con i fornitori nuovi concetti di pagamento di servizi che non siano più a moduli, ma veramente Cloud. Altrimenti, il rischio sarà un picco di servizi ICT nell’arco degli anni 2024-2027, poi tagliati dalle amministrazioni future, per necessità più che per convinzione. In fondo, un po’ come nel film “La scelta di Sophie”, tra tagliare i servizi ICT o quelli sociali, un amministratore non ha molto spazio di manovra.

Proseguire nel rapporto di lavoro e di collaborazione tra Transformation Office e territori. Essere uniti nell’obiettivo della digitalizzazione a livello locale e centrale è fondamentale. Inoltre, nel tempo le competenze del Transformation Office anche in materia di “PA Locale” potranno essere molto utili per dare un maggiore supporto ai Comuni nel digitale, ma anche nel reperimento di fondi per il digitale, e fungere da migliore asse di trasmissione dalla PAL alla PAC, e viceversa.

Tornare a fare tesoro delle buone pratiche. Il lump sum è una buona pratica, l’integrazione tra PA Digitale 2026 e il REGIS è una buona pratica, il portale PA Digitale 2026 è una buona pratica, il Transformation Office è una struttura innovativa, probabilmente giovane, ma funzionale ad un nuovo modello di comunicazione e di rapporto PAL-PAC.

Prendiamo il meglio da ognuna di queste esperienze, e cerchiamo di portarle avanti migliorandole. Cerchiamo anche di capire dove abbiamo sbagliato, per fare tesoro degli errori precedenti. Andiamo oltre: impariamo dagli errori e dai successi degli altri, che si chiamino Dipartimento della Trasformazione Digitale, pagoPA Spa, Dipartimento della funzione pubblica, Poligrafico e Zecca dello Stato o altro. Anche l’interoperabilità umana ha un suo peso: di solito viene prima di quella tecnologica, e parlarsi e aiutarsi in una cordata comune verso un obiettivo è fondamentale. Rompiamo i silos interni, ma anche i silos esterni tra amministrazioni centrali e locali.

E infine, per tornare al pragmatismo, guardiamo un po’ più in là. È forse venuto il momento di un unico catalogo dei servizi pubblici? Oggi abbiamo una tassonomia dei servizi di pagamento su pagoPA, un catalogo dell’appIO, una tassonomia dei servizi Cloud e dei servizi digitali al cittadino. Tassonomie, tra l’altro, già abbastanza ricollegabili le une alle altre. Scopriremo vivendo se avremo bisogno di nomenclature anche per SEND o PDND. Forse è arrivato il momento di parlare di un catalogo che unisca tutti questi pezzi, che compongono i servizi, le procedure, i processi, i procedimenti della PA.

In conclusione: sì, forse siamo passati davvero dal paradiso del lump sum all’inferno delle asseverazioni. O forse siamo riusciti, spingendo verso il lump sum, ad avere il giusto equilibrio: una verifica degli obiettivi tecnici e una verifica degli obiettivi amministrativi, senza prediligere nessuno dei due. Se non è così, è questo l’obiettivo verso cui tendere.

Ora dobbiamo continuare a impegnarci perché il PNRR è a metà strada, ci sono ancora molti obiettivi europei da raggiungere e lo scopo è erogare servizi pubblici sempre più digitali, senza tempo e luogo di erogazione. Questo per garantire servizi che oggi ci sembra ovvio ricevere, ma che domani potrebbero non esserci più per le prossime generazioni.

Il tutto lavorando per bene e con coscienza ad una progettazione efficace sia nell’ambito degli avvisi che nell’ambito delle rimanenze dei fondi del PNRR, che sono un’occasione unica e irripetibile.

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