La trasparenza dei dati PA apre problemi di privacy: urge intervento legislativo

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30 Novembre 2015

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Matteo Timiani, Autorità italiana garante privacy

La trasparenza amministrativa ha subìto nel corso del tempo una radicale mutazione grazie alle profonde innovazioni apportate dalla ICT: una nuova forma di pubblicità, consistente nella pubblicazione di informazioni sui siti internet istituzionali, è così andata a sovrapporsi alla tradizionale accessibilità ai documenti amministrativi. Ciò significa che, per ottenere una vasta mole di informazioni, oggi sono le pubbliche amministrazioni, per il tramite del web, a dover assecondare un preciso debito informativo nei confronti della collettività: e se si dovessero rivelare inadempienti, allora il cittadino potrà incalzarle grazie allo strumento dell’istituto dell’accesso civico.

Non possiamo però non rilevare come il d.lgs. 33/2013, principale fonte del concetto di pubblicità oggi imperante, abbia comunque ingenerato alcuni problemi interpretativi, soprattutto in termini di pubblicazione di dati personali. Il Garante per la protezione dei dati personali, nel suo ruolo di custode della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali con riferimento ai trattamenti dei dati personali, aveva dato il suo contributo alla definizione di un equilibrato bilanciamento tra trasparenza e privacy in sede di parere preventivo sullo schema di decreto legislativo (7 febbraio 2013: cfr. doc. web n. 2243168, sul sito www.garanteprivacy.it). Alcune delle correzioni proposte erano state recepite dal Governo di allora, altre no.

Pertanto il Garante, attraverso le Linee guida appositamente emanate (15 maggio 2014: cfr. doc. web n. 3134436), ha successivamente fornito una proposta di bilanciamento più avanzata, che andasse a rimodulare gli obblighi di pubblicazione tramite un’interpretazione orientata ai principi europei di necessità, finalità e proporzionalità; tutto ciò con l’unico obiettivo di tutelare adeguatamente le persone dalla diffusione di informazioni che mettessero a nudo la loro personalità ma che non aggiungessero alcunché all’invocazione della trasparenza. Linee guida che si costruiscono a partire da un’idea ben precisa: il d.lgs. 33/2013 ha riunito gli obblighi di pubblicazione con esclusivo riferimento alle sole finalità di trasparenza (la cd. “accessibilità totale”), sottoponendole ad un preciso regime; ben distinte invece rimangono quelle situazioni in cui la pubblicazione mira a soddisfare altre finalità (la cd. pubblicità legale), che invece restano asservite alle regole di volta in volta stabilite, senza alcuna influenza da parte delle disposizioni del d.lgs. 33/2013. Inoltre, importanti punti fermi sono stati affermati in un’attenta attività provvedimentale con cui sono stati accertati illeciti, emessi divieti e prescritte misure ai soggetti pubblici sottoposti a vigilanza.

Nonostante ciò, il decreto trasparenza mantiene ancora dei profili di criticità, che solo un intervento di carattere legislativo sarebbe in grado di correggere. In questa sede ci si limita semplicemente a segnalare uno degli effetti di maggiore impatto sulla riservatezza delle persone coinvolte. Si tratta della possibilità che informazioni di carattere personale rimangano in circolazione sul web per una durata sostanzialmente illimitata, cui si aggiungono le ulteriori eventualità che queste possano essere scaricate, manipolate e riutilizzate in maniera incontrollata, ma prima ancora ricercate in ogni tempo e in ogni luogo tramite i più comuni motori di ricerca (facoltà alla portata veramente di tutti). La conseguenza appare una pericolosa decontestualizzazione del dato, così estrapolato dal sito-fonte e ordinato secondo algoritmi sconosciuti e “spietati”, cui si unisce lo svuotamento del diritto all’oblio e la pietrificazione di informazioni spesso superate: in questo modo le persone rischiano di rimanere perennemente indifese dalla incontrollata e irrazionale riemersione di notizie del passato, e quindi vedersi compromesse nella personalità, nelle relazioni sociali e affettive, nella reputazione professionale, ecc.

Si tratta nient’altro che del forte monito recentemente ribadito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la nota sentenza nei confronti di Google Spain del 13 maggio 2014, ove è stato sottolineato che il trattamento di dati personali effettuato da Google “consente a qualsiasi utente di Internet, allorché effettua una ricerca a partire dal nome di una persona fisica, di ottenere, mediante l’elenco di risultati, una visione complessiva strutturata delle informazioni relative a questa persona su Internet”. Tuttavia, secondo i giudici di Lussemburgo, “tali informazioni toccano potenzialmente una moltitudine di aspetti della vita privata e che, in assenza del motore di ricerca, esse non avrebbero potuto, o soltanto difficilmente avrebbero potuto, essere connesse tra loro. Gli utenti di Internet possono così stabilire un profilo più o meno dettagliato delle persone ricercate. Inoltre, l’effetto dell’ingerenza nei diritti della persona risulta moltiplicato in ragione del ruolo importante che svolgono Internet e i motori di ricerca nella società moderna, i quali conferiscono alle informazioni contenute negli elenchi di risultati carattere ubiquitario” (cfr. il comunicato emesso dalla Cgue il giorno stesso della pronuncia).

Ora, l’art. 7 della l. 124/2015, nel delegare il Governo ad emanare “disposizioni integrative e correttive” rispetto al d.lgs. 33/2013, dà al legislatore l’occasione per correggere queste (ed altre) distorsioni. Peraltro, la medesima disposizione introduce una nuova modalità di realizzazione della trasparenza, che si affianca all’accesso documentale ex l. 241/1990 e all’accesso civico ex d.lgs. 33/2013: si tratta di quella che viene comunemente chiamata “accessibilità generalizzata”, e che si ispira al modello angloamericano del cd. FOIA ( Freedom of information Act), in base al quale il cittadino può chiedere all’amministrazione qualsiasi informazione da questa detenuta, senza alcun obbligo di motivazione e fatti salvi solo precisi ambiti off limits. È tuttavia innegabile come l’approdo a questa forma di accesso richieda forse un ridimensionamento del meccanismo della pubblicazione obbligatoria online: infatti, se, per effetto di questa riforma ancora allo stato embrionale, i cittadini potranno accedere a (quasi) qualunque informazione vogliano, si potrebbe rendere ridondante (del tutto, o anche solo in parte) il meccanismo di diffusione massiccia di interi blocchi di informazione sui siti web.


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