Linee Guida Anac sugli obblighi di pubblicità e trasparenza: razionalizzazione rimandata a tempi migliori

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Anac pubblica lo Schema di Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016. Le linee guida nascono allo scopo di fornire indicazioni operative alle amministrazioni e agli enti ad esse assimilati in merito alle principali e più significative modifiche intervenute

15 Dicembre 2016

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Morena Ragone* e Vitalba Azzollini**

A ridosso della scadenza del 23 dicembre 2016 – data di entrata in vigore del d. lgs. n. 97/2016 di riforma della disciplina in tema di trasparenza, dopo un periodo limbico di 6 mesi – Anac pubblica anche lo Schema di Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016, in consultazione online fino al 14 dicembre u.s..

Come si ricorderà, il d.lgs. 97/2016 ha apportato molteplici cambiamenti alla normativa previgente, i principali dei quali restano – ad avviso di chi scrive – l’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione e l’introduzione dell’accesso civico generalizzato agli atti e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, sul quale è stato pubblicato apposito commento di approfondimento qui.

Le Linee Guida, come strumento generale di “soft law”, nascono – come correttamente precisa Anac – allo scopo precipuo di fornire indicazioni operative alle amministrazioni e agli enti ad esse assimilati in merito alle principali e più significative modifiche intervenute: nel rinviare ad altre, prossime Linee Guida, l’applicazione dell’art. 14 e la disciplina applicabile alle società e agli enti di diritto privato, il provvedimento pecca di un eccesso di interpretazione estensiva che si potrebbe definire “additiva”, come già esplicitato a proposito delle Linee Guida sull’accesso civico generalizzato.

Interessante la schematizzazione in tre parti:
  • ambito soggettivo e programmazione della trasparenza;
  • modifiche introdotte al decreto n. 33/2013;
  • decorrenza e accesso civico.

Ancora di più, la tabella finale allegata con l’elencazione degli obblighi di pubblicazione, che rivede gli adempimenti di cui alla Determinazione dell’Autorità 50/2013.
Quella che Anac effettua, quindi, è una sostanziale ricognizione, pur condita – come evidenziato – da alcune interpretazioni estensive forse un po’ forzate, ancorché forse necessarie, degli obblighi di trasparenza vigenti, a partire dall’ambito soggettivo.
L’ampiezza di tale ambito soggettivo è sicuramente tra le innovazioni principali apportate dalla revisione della normativa in materia, dal momento che è valsa a ricomprendere – art. 2-bis – tre macro categorie di soggetti:

  • le “pubbliche amministrazioni” di cui al d. lgs. n.165/2001, “ivi comprese le autorità portuali, nonché’ le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione”;
  • in quanto compatibile: a) gli enti pubblici economici e gli ordini professionali; b) le società in controllo pubblico (con esclusione di quelle quotate); c) le associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, “la cui attività sia finanziata in modo maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell’organo di amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni”;
  • in quanto compatibile, limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all’attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea, le “società in partecipazione pubblica” (…) e le associazioni, fondazioni ed enti di diritto privato “anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, che esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici”.

Come innanzi precisato, per le ultime due macro-categorie si attendono prossime Linee Guida applicative: tuttavia, anche in questa sede, l’Autorità ribadisce che il criterio della “compatibilità” va declinato per tipologia di enti e non per singolo ente, come già evidenziato in sede di Linee Guida sull’accesso civico generalizzato, affermando che “il principio della compatibilità (…) concerne la sola necessità di trovare adattamenti agli obblighi di pubblicazione in ragione delle caratteristiche organizzative e funzionali dei citati soggetti. Non è invece operante per quel concerne l’accesso generalizzato, stante la ratio e la funzione del generalizzato descritta nel primo paragrafo delle presenti Linee Guida. L’accesso generalizzato, pertanto, è da ritenersi senza dubbio un istituto “compatibile” con la natura e le finalità dei soggetti sopra elencati ai punti 2 e 3, considerato che l’attività svolta da tali soggetti è volta alla cura di interessi pubblici”.
Purtroppo, parallelamente all’impostazione seguita per le prime Linee Guida, Anac introduce in modo piuttosto vistoso la possibilità di valutazioni caso per caso da parte della Amministrazioni destinatarie degli obblighi: per esempio, in tema di applicabilità della nuova disciplina agli enti pubblici non economici, effettua un pericoloso rinvio alle specifiche norme statutarie che sembra sconfessare l’assunto, di poco precedente, sulla declinazione della trasparenza per tipologia di enti.
Invece, interessante e necessaria è la specificazione della legittimazione passiva di soggetti quali l’Agenzia delle Entrate, l’Agenzia delle Dogane ed il Demanio quale ente pubblico, nonché delle Autorità del Sistema Portuale – divenute ora enti pubblici non economici – e del complesso delle Authority.

Rimane la parziale deroga per Regioni a Statuto Speciale e Province Autonome: tuttavia, Anac precisa che la compatibilità con gli Statuti non vale a sindacare sulla loro applicabilità, quanto, piuttosto, su forme e modalità della stessa.
Qualche dubbio sorge anche in merito all’applicazione estensiva agli organi costituzionali e a rilevanza costituzionale che, secondo Anac, “pur non espressamente menzionati”, è “auspicabile” siano ricompresi nell’applicazione della normativa in esame. Pur condividendo l’auspicio di Anac, la tecnica giuridica lascia più di qualche dubbio.
La seconda parte del primo punto è dedicata alla “programmazione della trasparenza”: qui Anac, nell’introdurre l’unico piano/programma con sezione specifica sulla trasparenza, precisa che diventa obbligatorio procedere alla definizione degli obiettivi strategici, da coordinarsi con gli obiettivi indicati negli altri documenti strategici dell’amministrazione e con il piano delle performance; la direzione – questa volta da noi auspicata – è che le amministrazioni facciano tesoro dell’importanza di tale prezioso suggerimento e considerino i vantaggi di una pianificazione/programmazione generale e comprensiva di tutti i profili maggiormente rilevanti.

Nel programma generale troveranno posto, ovviamente, i soggetti responsabili del flusso informativo di ogni specifico obbligo di pubblicazione – con sanzioni ex art. 19 dl 90/2014 in caso di omissione; quanto al responsabile della trasparenza, è prevista la duplicità dei responsabili – trasparenza e corruzione – solo su specifiche ragioni di difficoltà organizzative. Anche qui, Anac sembra andare oltre l’interpretazione del testo letterale dell’articolo, arrivando a “mettere una pezza” all’incertezza terminologica dell’art. 43, ed alla valenza potenzialmente estensiva dell’espressione “di norma”.

Il secondo punto è espressamente dedicato ad una ricognizione generale degli obblighi di pubblicazione esistenti, allo scopo di riorganizzare la materia sotto un unico testo: cosa che non accade, dal momento che, in diverse occasioni, Anac esplicita la sopravvivenza degli obblighi previsti dalla l. 190/2012 – ridondati dal decreto n. 33/2013 ed espressamente abrogati dal decreto di riforma – riordinando, in sostanza, ben poco. Infatti, una parte degli obblighi resta incardinata nella legge n. 190/2012, lasciando permanere quella confusione tipica dell’attività normativa nostrana: è quanto accade, per esempio, per l’art. 2, laddove Anac interpreta la mancata abrogazione del co. 16, lett. a) e d) della legge n. 190/2012 come il mantenimento degli obblighi del 23, con conseguente espunzione dal testo del decreto “per coordinamento”.
Nessuna nota di particolare rilievo, invece, in merito all’entrata in vigore, confermata al 23 dicembre p.v., fatte salve le valutazioni di cui sopra, e all’accesso civico. Qualche valutazione di carattere generale sull’impianto qui descritto.
Già prima dell’intervento normativo era stata da più parti stigmatizzata la gravosità degli adempimenti che il d.lgs 33/2013 poneva a carico delle P.A. interessate. Infatti, la già notevole mole di dati e notizie richiesti dalla legge n. 150/2009 (legge c.d. Brunetta) – successivamente incrementata dalla legge n. 190/2012 (legge c.d. anticorruzione) – era poi divenuta una bulimica e dettagliatissima congerie di obblighi di pubblicazione con il citato decreto del 2013, con il legislatore nazionale impegnato nella dimostrazione della propria ostinata perseveranza nell’antico vizio di privilegiare l’adempimento rispetto al risultato.
Il Testo Unico sulla Trasparenza, pur volendo operare il riordino delle previsioni sulla materia disperse in una pluralità di atti normativi e perseguendo il commendevole intento della “accessibilità totale” alle informazioni riguardanti le amministrazioni, imponeva di fatto adempimenti variamente affastellati – 270 obblighi di pubblicazione – ottenendo l’effetto della c.d. opacità per confusione. In questo modo, il “controllo diffuso” della cittadinanza sull’espletamento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle pubbliche risorse – obiettivo espresso della normativa in discorso – finiva per essere vanificato: se pubblicità è conoscibilità, la trasparenza richiede anche la comprensibilità di ciò che viene pubblicato, o rischia di risolversi nel suo opposto. Dunque, i costi di non poco conto imposti alle strutture amministrative, tenute a obblighi gravosi, non sono stati controbilanciati da benefici, in termini di chiarezza e comprensibilità informativa, per la collettività. Ci si aspettava, quindi, che con il ribaltamento del paradigma della disclosure, divenuta finalmente di tipo reattivo in conformità ai Freedom of Information Act di altri Paesi, il legislatore avrebbe provveduto a riorganizzare gli obblighi inerenti alla trasparenza di tipo proattivo, al fine di alleviare il peso gravante sulle amministrazioni interessate.
Purtroppo, come dall’analisi risulta evidente, quest’aspettativa è stata in parte delusa: se pure si è previsto di sostituire con il collegamento ipertestuale alle relative banche dati determinati obblighi di pubblicazione inizialmente sanciti, tuttavia non si è provveduto alla riorganizzazione auspicata, né alla redazione di un vero testo unico. Il regolatore si è limitato a cancellare taluni obblighi di pubblicazione, con la motivazione – “esplicitata” nelle Linee Guida dell’Anac – che la trasparenza reattiva, introdotta col medesimo decreto, consente di alleggerire quella proattiva: in buona sostanza, le Linee Guida dichiarano l’assunto su cui si fonda l’intero Foia italiano, ossia che il diritto alla conoscenza di dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni è il cardine del decreto e opera in “combinato disposto” con gli obblighi di pubblicazione preventivi sanciti dal decreto stesso.
Come evidenziato già in tema di accesso civico generalizzato, su questo schema di funzionamento sembra potersi nutrire qualche dubbio anche a causa delle estese limitazioni previste, che rendono niente affatto scontato che le informazioni prima oggetto di obblighi di pubblicazione – ora eliminati – potranno essere automaticamente conosciute in virtù di richieste di disclosure, data l’ampiezza delle aree che resteranno opache o che saranno soggette alle troppe valutazioni caso per caso introdotte.
Infatti, nella bozza delle Linee Guida sulle eccezioni alla trasparenza reattiva, l’Autorità anticorruzione fornisce specificazioni ed esemplificazioni volte a dettagliare le limitazioni suddette, finendo addirittura per amplificarne l’estensione.
La minuziosa casistica fornita allo scopo di contenere la discrezionalità dell’Amministrazione, unitamente al richiamo di una vasta serie di riferimenti normativi e di diversi orientamenti giurisprudenziali, potrà essere utilizzata dalle P.A. per ricondurre molte domande di accesso sotto l’ampio ventaglio delle ipotesi di esclusione ivi delineate: non dimentichiamo, inoltre, che è espressamente previsto che anche la durata quinquennale degli obblighi di pubblicazione potrà essere rivista in diminuzione – sentito il Garante Privacy – sulla base delle eventuali istanze di accesso civico e generalizzato proposte.
Le sovrabbondanti limitazioni poste ad un potere di accesso generalizzato ampio e riconosciuto a chiunque potrebbero, quindi, comportare un effetto a cascata sull’intero sistema della trasparenza, dunque anche su quella proattiva, con la conseguenza che l’abolizione degli obblighi di pubblicazione potrebbe non essere controbilanciata da informazioni fornite su richiesta, come l’Anac lascia intendere nella bozza di Linee Guida in commento.
Un paio di esempi valgano per tutti: è stata abolita la pubblicazione sul sito web istituzionale di ciascuna amministrazione dei tempi medi di erogazione dei servizi con riguardo all’esercizio finanziario precedente, così come quella avente a oggetto il monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali e, quindi, la rilevazione delle relative anomalie.
Appare dubbio che tali dati possano costituire oggetto di conoscenza mediante accesso generalizzato: anche laddove ciò avvenisse, la loro esposizione sul sito web dell’ente assumerebbe tutt’altra rilevanza ai fini del sindacato pubblico – che sembra essere l’essenza stessa della genesi dell’accesso generalizzato, a stretto tenore normativo – rispetto alla risposta privata a una specifica richiesta di accesso.
Quanto sopra rilevato rende evidente il paradosso del decreto Foia: nonostante la trasparenza sia un valore giuridicamente rilevante, il decreto a essa intitolato opera secondo un meccanismo preordinato a limitarla. Questa limitazione avviene da un lato, per la parte “reattiva”, sancendo che essa rappresenti un interesse di livello inferiore rispetto ad altri oggetto delle eccezioni previste dal decreto, sì che deve essere comunque sempre sacrificata qualora pregiudichi uno degli ambiti contemplati dalle eccezioni medesime; dall’altro, per la parte “proattiva”, operando tagli agli obblighi di pubblicazione già previsti, senza valutare comparativamente se il costo della pubblicazione dei dati sia maggiore del beneficio della loro disclosure. Il legislatore avrebbe potuto rimandare a Anac la verifica in concreto dei dati e documenti oggetto di maggiore interesse, ad esempio mediante una ricognizione degli “accessi civici” intervenuti dal momento dell’emanazione del decreto, in modo da non eliminare la pubblicazione delle informazioni più richieste.

Dunque, da quanto sopra complessivamente esposto, appare evidente che la razionalizzazione della materia sarà rimandata a tempi migliori, considerato che gli interventi operati mediante le Linee Guida, al fine di dettagliare quanto previsto normativamente, non possono considerarsi sufficienti.

Infine, in sede di commento al d.lgs. n. 97/2016, era stata da più parti rimarcata l’esclusione dall’obbligo di trasparenza degli “incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque denominati”, se conferiti a titolo gratuito: il regolatore sembra reputare che la gratuità, quindi la non incidenza sul bilancio pubblico, costituisca un motivo valido per non fornire informazioni, nonostante i destinatari degli incarichi potrebbero potenzialmente concorrere a decisioni atte a influire sulla collettività. Eppure, è proprio la mancanza di un corrispettivo per il lavoro svolto – elemento palese e sindacabile pubblicamente – a poter rappresentare un fattore di opacità circa eventuali, diverse contropartite. Peraltro, nei mesi scorsi la Corte dei Conti – con la deliberazione n. 17572/2016 -, con riguardo agli incarichi a titolo gratuito, aveva riconosciuto a fini diversi l’esistenza comunque di vantaggi indiretti, anche economici – quali, ad esempio, “il prestigio professionale e la notorietà” – tali da far ritenere che la gratuità non possa essere reputata un elemento atto a evitare l’adozione di particolari cautele. La scelta del legislatore appare ancora più paradossale laddove si consideri che, a differenza degli incarichi suddetti, le mere collaborazioni e consulenze sono invece soggette a obblighi di disclosure (ancorché parzialmente meno gravosi) sia se a titolo gratuito che oneroso. Restiamo in fiduciosa attesa di un prossimo intervento dell’Anac al riguardo, mediante ulteriori Linee Guida, per sanare eventuali profili di opacità connessi alla scelta operata in via normativa. Un Foia teso a illuminare ciò che accade sul banco, ma che non pretende di far luce su ciò che potrebbe eventualmente accadere sottobanco, darebbe luogo a una trasparenza – per dirla con Calvino – “dimezzata”. E non ci pare il caso.

*Giurista, Stati Generali dell’Innovazione
**Giurista, lavora in un’autorità di vigilanza (esprime opinioni a titolo esclusivamente personale)

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