Nella bozza di Decreto Legge la crescita è 2.0

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Il Decreto Legge “Misure urgenti per la crescita del Paese” introduce una serie di modifiche all’assetto giuridico nazionale relativo alla digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione. Tanto da richiedere la modifica in più punti del Codice della PA Digitale. Nell’ambito della collaborazione con lo Studio Legale Lisi, presentiamo un articolo in cui sono individuati, punto per punto, le modifiche neccessarie  al CAD nel caso in cui fosse pubblicata in gazzetta ufficiale la bozza di decreto circolata a seguito del Consiglio dei Ministri dello scorso 4 ottobre (al momento non si conosce ancora il testo definitivo).

17 Ottobre 2012

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Sarah Ungaro*

Articolo FPA

Il Decreto Legge “Misure urgenti per la crescita del Paese” introduce una serie di modifiche all’assetto giuridico nazionale relativo alla digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione. Tanto da richiedere la modifica in più punti del Codice della PA Digitale. Nell’ambito della collaborazione con lo Studio Legale Lisi, presentiamo un articolo in cui sono individuati, punto per punto, le modifiche neccessarie  al CAD nel caso in cui fosse pubblicata in gazzetta ufficiale la bozza di decreto circolata a seguito del Consiglio dei Ministri dello scorso 4 ottobre (al momento non si conosce ancora il testo definitivo).

Il Consiglio dei Ministri dello scorso 4 ottobre ha approvato la bozza di decreto legge recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese. In attesa della definitiva emanazione, il testo approvato riguarda soprattutto l’attuazione degli obiettivi dell’Agenda digitale, anche mediante la riforma di alcune disposizioni del Codice dell’Amministrazione Digitale (di cui al D.Lgs. n. 82/2005). Tra i numerosi interventi, la novella dovrebbe contemplare la creazione di identità digitali e la diffusione di un documento digitale unico, in sostituzione sia della carta d’identità[1], sia della tessera sanitaria[2]; la costituzione del domicilio digitaleper il cittadino e per le imprese, attraverso cui inviare e ricevere tutte le comunicazioni con la PA; l’istituzione dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) e dell’Archivio nazionale delle strade e dei numeri civici (ANSC)[3].

In attuazione di tali misure, dovrebbero essere apportate modifiche proprio al Codice dell’Amministrazione Digitale, a partire dall’introduzione dell’art. 3 bis dedicato al domicilio digitale del cittadino: qualora il testo approvato dovesse essere emanato, infatti, sarà facoltà di ogni cittadino indicare alla pubblica amministrazione un proprio indirizzo di posta elettronica certificata quale suo domicilio digitale, da inserire nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) e reso disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni e ai gestori o esercenti di pubblici servizi. Peraltro, non si può non rilevare come tale previsione richiami alla memoria la CEC-PAC (acronimo di "Comunicazione Elettronica Certificata tra Pubblica Amministrazione e Cittadino": nel D.P.C.M. del 6 maggio 2009, infatti, si disponeva che a ciascun cittadino che ne facesse richiesta, il Dipartimento per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e per l’innovazione tecnologica assegnasse a titolo non oneroso un indirizzo di Posta Elettronica Certificata, da utilizzare per tutte le comunicazioni con la Pubblica Amministrazione)[4].

La bozza approvata prevede anche l’inserimento dell’articolo 6 bis nel CAD, riguardante l’indice nazionale delle imprese e dei professionisti (INI-PEC) e in base al quale gli stessi soggetti dovranno obbligatoriamente indicare il proprio indirizzo PEC al Registro delle imprese[5] o ai rispettivi Ordini professionali, al fine di favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonché lo scambio di informazioni e documenti tra la pubblica amministrazione e le imprese e i professionisti in modalità telematica.

Sempre nel Codice dell’amministrazione digitale, si intendono altresì apportare modifiche agli articoli 47, 54 e 65; inoltre, per promuovere la diffusione degli Open data e l’inclusione digitale, è prevista la sostituzione dell’art. 52 (in materia di accesso telematico e riutilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni) e la sostituzione del comma 3 dell’art. 68[6].

Con l’intento, poi, di garantire maggiore partecipazione e accessibilità, in base all’art. 9 della bozza di decreto dovrebbero essere modificati anche gli articoli 12, 13, 23 ter, 54, 57, 71 dello stesso CAD.

Inoltre, al fine di diminuire l’attuale divario digitale e di contribuire a un utilizzo diffuso della moneta elettronica, è previsto lo stanziamento di 150 milioni di euro per il completamento del Piano Nazionale Banda Larga e la sostituzione dell’art. 5 del Codice dell’Amministrazione digitale[7] (già modificato di recente dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge del 4 aprile 2012, n. 35.), riguardante l’effettuazione di pagamenti con modalità informatiche[8].

Da ultimo, è opportuno porre in rilievo anche la novella che intende apportarsi al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice degli appalti pubblici), nel quale si intende sostituire il comma 13 dell’art. 11, prevedendo che “il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata”.

 * dott.ssa Sarah Ungaro – Digital & Law Department (Studio Legale Lisi) www.studiolegalelisi.it


[1] L’articolo 1, comma 1, del CAD definisce, alla lettera c), la carta d’identità elettronica come “il documento d’identità munito di elementi per l’identificazione fisica del titolare rilasciato su supporto informatico dalle amministrazioni comunali con la prevalente finalità di dimostrare l’identità anagrafica del suo titolare”.

[2] Per una ricostruzione dei provvedimenti emanati per disciplinare i documenti elettronici si veda “Documenti elettronici: quale destino per la Tessera sanitaria?”,   http://www.studiolegalelisi.it/notizia.php?titolo_mod=373_Documenti_elettronici__quale_destino_per_la_T%E2%80%A6.

[3] Secondo criteri idonei ad assicurare l’interoperabilità dell’ANSC con le altre banche dati di rilevanza nazionale e regionale, nel rispetto delle regole tecniche del sistema pubblico di connettività di cui al Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, CAD).

[4] Sulla quale si veda l’articolo di A. Lisi “PEC e CEC PAC: Troppa Burocrazia e Regole poco chiare”, in http://www.studiolegalelisi.it/notizia.php?titolo_mod=312_La_tecnologia_governa_il_diritto_nella_P.A._Digitale_.html.

[5] Inoltre, l’obbligo di cui all’articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, come modificato dall’articolo 37 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, è esteso alle imprese individuali che si iscrivono al registro delle imprese o all’albo delle imprese artigiane.

[6] Il testo modificato dovrebbe risultare il seguente: “Agli effetti del presente decreto legislativo si intende per:

a) formato dei dati di tipo aperto, un formato di dati reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi;

b) dati di tipo aperto, i dati che presentano le seguenti caratteristiche:

1) sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l’utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali;

2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti ai sensi della lettera a), sono adatti all’utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati;

3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione. L’Agenzia per l’Italia digitale può stabilire, con propria deliberazione, i casi eccezionali, individuati secondo criteri oggettivi, trasparenti e verificabili, in cui essi sono resi disponibili a tariffe superiori ai costi marginali”.

[7] Il testo che si intende sostituire è il seguente: “1. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, e, limitatamente ai rapporti con l’utenza, i gestori di pubblici servizi nei rapporti con l’utenza sono tenuti ad accettare i pagamenti ad esse spettanti, a qualsiasi titolo dovuti, anche con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. A tal fine:

a) sono tenuti a pubblicare nei propri siti istituzionali e a specificare nelle richieste di pagamento: 1) i codici IBAN identificativi del conto di pagamento, ovvero dell’imputazione del versamento in Tesoreria, di cui all’articolo 3 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 9 ottobre 2006, n. 293, tramite i quali i soggetti versanti possono effettuare i pagamenti mediante bonifico bancario o postale, ovvero gli identificativi del conto corrente postale sul quale i soggetti versanti possono effettuare i pagamenti mediante bollettino postale; 2) i codici identificativi del pagamento da indicare obbligatoriamente per il versamento.

b) si avvalgono di prestatori di servizi di pagamento, individuati mediante ricorso agli strumenti di acquisto e negoziazione messi a disposizione da Consip o dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi dell’art. 1, comma 455 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per consentire ai privati di effettuare i pagamenti in loro favore attraverso l’utilizzo di carte di debito, di credito, prepagate ovvero di altri strumenti di pagamento elettronico disponibili, che consentano anche l’addebito in conto corrente, indicando sempre le condizioni, anche economiche, per il loro utilizzo. Il prestatore dei servizi di pagamento, che riceve l’importo dell’operazione di pagamento, effettua il riversamento dell’importo trasferito al tesoriere dell’ente, registrando in apposito sistema informatico, a disposizione dell’amministrazione, il pagamento eseguito, i codici identificativi del pagamento medesimo, nonché i codici IBAN identificativi dell’utenza bancaria ovvero dell’imputazione del versamento in Tesoreria. I conti correnti postali intestati a pubbliche amministrazioni, sono regolati ai sensi del disposto di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 1° dicembre 1993, n. 487, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 1994, n. 71.

2. Per le finalità di cui al comma 1, lettera b, le amministrazioni e i soggetti di cui al comma 1 possono altresì avvalersi dei servizi erogati dalla piattaforma di cui all’articolo 81 comma 2-bis ,

3. Dalle previsioni di cui al comma 1 sono escluse le operazioni di competenza delle Agenzie fiscali, ai sensi degli articoli 62 e 63 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nonché delle entrate riscosse a mezzo ruolo. Dalle previsioni di cui alla lettera a) del comma 1 possono essere escluse le operazioni di pagamento per le quali la verifica del buon fine dello stesso debba essere contestuale all’erogazione del servizio; in questi casi devono comunque essere rese disponibili modalità di pagamento di cui alla lettera b) del medesimo comma 1”.

4. L’Agenzia per l’Italia digitale, sentita la Banca d’Italia, definisce linee guida per la specifica dei codici identificativi del pagamento di cui al comma 1, lettere a) e b).

5. Le attività previste dal presente articolo si svolgono con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente”.

[8] Già con l’art. 6 bis del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo, convertito, con modificazioni, dalla legge del 4 aprile 2012, n. 35, era stato introdotto il pagamento dell’imposta di bollo per via telematica. 

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