PA locali, come evitare che il digitale peggiori la qualità dei servizi e dell’organizzazione

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La digitalizzazione della PA sta rappresentando un vero e proprio “killer organizzativo” nei confronti delle burocrazie locali col rischio, però, di determinare un pericoloso deficit prestazionale e di contenuti nelle attività e nei servizi erogati, oltre che un divario sostanziale tra Ente ed Ente. Ecco come affrontarlo

26 Ottobre 2016

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Antonello Paolo Zaccone, Direzione Risorse umane e finanziarie, Comune di Alessandria

Gli Enti locali nel nostro Paese stanno affrontando una vera e propria “rivoluzione” organizzativa e gestionale, sostanzialmente dovuta all’introduzione di un nuovo assetto normativo (spesso complicato e con obiettivi confusi) nei settori della digitalizzazione, della contabilità nazionale, dei contratti pubblici e dell’anticorruzione. A fronte di questo storico momento, le politiche di rispetto del patto di stabilità interno non hanno consentito, nel corso degli ultimi anni, né un sufficiente ricambio generazionale delle risorse umane (media nazionale dell’età: 50 anni e sei mesi), né un adeguato e intenso percorso di riqualificazione e formazione professionale.

In particolare, la digitalizzazione della PA sta rappresentando un vero e proprio “killer organizzativo” nei confronti delle burocrazie locali col rischio, però, di determinare un pericoloso deficit prestazionale e di contenuti nelle attività e nei servizi erogati, nonché un divario sostanziale tra Ente ed Ente.

Ridurre i rischi di un default istituzionale è possibile solamente se i principali attori del contesto (Legislatore e Soggetti pubblici investitori) coordinano un’azione volta a incidere:

  • sulla revisione della disciplina del pubblico impiego (con particolare riferimento alla dirigenza) costringendo le strutture organizzative degli Enti a distinguere tra profili tecnico specialistici e profili gestionali, riservando ai primi un percorso professionale monotematico e ai secondi un’identità manageriale fortemente focalizzata sull’integrazione funzionale e sui risultati di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa;
  • sulla definizione chiara ed esplicita, all’interno del Testo Unico degli Enti Locali, della digitalizzazione quale finalità primaria istituzionale degli Enti ad integrazione di quanto già declinato nel CAD, ma non ancora sufficientemente penetrato all’interno delle barriere burocratiche tradizionali.
  • sull’individuazione di un soggetto tecnico/politico nazionale preposto alla programmazione e ai finanziamenti dei principali progetti di digitalizzazione della PA imponendo standard tecnico qualitativi e software omogenei su tutto il territorio nazionale, penalizzando al contempo soluzioni proprietarie troppo personalizzate e di difficile omogeneizzazione generale.

La classe politica e dirigenziale del Paese fatica a rendersi conto che non esistono strade intermedie tali da consentire recuperi di efficienza e contemporaneo mantenimento dello statu quo ante istituzionale e organizzativo. Pur consapevoli che il processo di cambiamento dovrà durare intere generazioni, la sfida di oggi è quella di non accumulare ulteriori ritardi del settore pubblico italiano nei confronti dei principali Paesi dell’UE. Spesso le critiche alla Commissione europea e al diritto comunitario celano carenze informative e organizzative del nostro Paese (caso eclatante è l’incapacità di spendere completamente i finanziamenti europei) e la lotta alla corruzione non si risolve con normative complicate e di defatigante applicazione, bensì con un sistema di diffuso controllo incrociato e multiplo che solamente la rivoluzione digitale può garantire.

D’altro canto, anche coloro che hanno abbracciato completamente la “nuova era” del digitale devono evitare di chiudersi in una roccaforte aristocratica di addetti ai lavori rigettando ogni diversità culturale e professionale sull’altare dell’ortodossia e riuscire a convincere gli attori chiave dei singoli territori sul beneficio complessivo che la digitalizzazione globale può conseguire.

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