Sanità digitale, ecco perché può essere la volta buona (se vanno a segno questi tasselli)

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Nelle more del Piano Triennale 2016-2018 che AgID deve predisporre, il Patto della Sanità Digitale sembra essersi affossato e restano al palo alcune grandi gare annunciate. Ecco alcuni nodi da sciogliere al più presto

30 Aprile 2016

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Paolo Colli Franzone, direttore scientifico del Forum per l’Innovazione in Sanità

Milione più milione meno, tutti gli analisti concordano nel prevedere un incremento significativo della spesa IT in sanità (pubblica e privata) a livello nazionale.

Stanno partendo alcuni grandi progetti (con particolare riferimento al Nord-Est) e le Regioni stanno riempiendo di contenuti quel grande libro dei sogni in cerca di concretezza che è rappresentato dal mondo dei progetti a valere sui fondi strutturali europei.

Nelle more del Piano Triennale 2016-2018 che AgID deve predisporre in recepimento della Legge di Stabilità 2016, restano al palo alcune grandi gare annunciate e moltissimi rinnovi contrattuali: si aspetta tutti quanti di vedere cosa dirà l’Agenzia e come intenderà rendere concretamente attuabile l’obiettivo di risparmio del 50% dei costi in spesa corrente su base triennale e come funzionerà in dettaglio il meccanismo dei fondi a investimento alimentati dal saving sulle OpEx.

Si vocifera della probabile costituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla digitalizzazione della PA: venti commissari al lavoro per “scovare” i dati di dettaglio e ricostruire un quadro che già più o meno (ma con sufficiente approssimazione) è già ampiamente conosciuto dagli addetti ai lavori (Assinform e Confindustria Digitale in testa).

L’idea è buona e la Commissione sicuramente serve. Ma il Piano Triennale deve uscire decisamente molto prima rispetto ai tempi inevitabilmente lunghi coi quali il Parlamento potrebbe arrivare a costruire un quadro di insieme sufficientemente dettagliato.

E il mercato non può permettersi di stare fermo. Né può permettersi tagli lineari a scopo “preventivo”, specialmente in Sanità e specialmente dopo 3 anni 3 di revisioni contrattuali unilaterali effettuate sotto il marchio “spending review”. Specialmente in un contesto dove il grosso dei contratti in essere deriva da gare al massimo ribasso, dove il venditore, pur di non perdere market share, sacrifica margini e costi.

Siamo quindi in piena altalena fra l’ottimismo delle previsioni di spesa dichiarate dai CIO intervistati dai vari analisti di mercato e una realtà fatta di dirigenti pubblici spaventati dall’idea di essere chiamati dalla Corte dei Conti a dare spiegazioni su tutte le operazioni di acquisto di beni e servizi con particolare riferimento all’Information Technology.

Nel frattempo, l’ormai mitologico “Patto della Sanità Digitale” pare essersi definitivamente affossato nei meandri della Conferenza Stato-Regioni, dopo che si è perso lo spirito originario (nato, è bene ricordarlo, durante “Digital Venice” a luglio 2014, in un incontro col Ministro Lorenzin promosso dall’Osservatorio Netics e da Confindustria Digitale) di vero e proprio “patto” fra domanda e offerta finalizzato alla realizzazione di un Master Plan pluriennale di “vasto raggio” rispetto al tema della digitalizzazione in sanità.

Il lato positivo è che i trend comunque non si arrestano, per quante complicazioni possano essere frapposte da una pubblica amministrazione anch’essa tormentata dal moto altalenante fra pulsioni al cambiamento volute dal governo e resistenza passiva giocata dal novero dei rottamandi comunque ancora ampiamente in sella.

I trend non si arrestano, e la sanità introietta quantità significative di innovazione tecnologica e – soprattutto – di innovazione di processo: prima ancora che i CIO, lo vogliono i medici e il top management. La domanda è forte, come dimostrano alcuni progetti avviati in ambito ospedaliero dove l’unità di grandezza è la decina di milioni di Euro e dove la parola d’ordine è “standardizzazione dei processi di erogazione delle prestazioni”. Se solo non ci fossero i lacci e laccioli, le leggi di stabilità in cerca di regolamento attuativo, un nuovo codice degli appalti che semplicemente ignora l’innovazione e il come la si dovrebbe acquistare, il mercato decollerebbe.

Finalmente si affacciano in Italia alcune fra le multinazionali dell’IT specializzato per l’healthcare che sinora erano rimaste a guardare un mercato sonnecchiante: piccoli assaggi, sbarchi “esplorativi”, ma comunque ascrivibili al novero delle belle notizie.

In un Paese dove alcune fra le principali (e più grandi) Regioni stanno ridisegnando la rete dei servizi sanitari e socio-sanitari, a partire dalla riduzione del numero delle ASL, non si può che essere ottimisti rispetto alle previsioni di spesa IT in sanità. Quale occasione migliore di questa, per standardizzare i processi utilizzando (quando è necessario, anche sotto forma di alibi) la rigidità imposta dalle piattaforme ERP?

Con un gran bel momento d’attenzione rivolto nei confronti della parola “ERP”: sarebbe ora che anche i principali ISV (Indipendent Software Vendor) italiani specializzati in sanità mandassero definitivamente in cantina l’approccio “famolo strano” (“col mio software puoi fare quello che vuoi: siamo flessibili”) e adottassero il “famolo standard” (“il mio software è rigido, se vuoi efficientarti devi adattare i tuoi processi alle logiche della razionalizzazione”).

Sarebbe anche ora che finalmente l’offerta diventasse sincronica rispetto alla domanda: perché non di solo Ospedale vive la sanità. C’è tutto un mondo che necessita di soluzioni ancora ampiamente inesistenti. Ed è qui che si annida il grande rischio di regalare il mercato agli ultimi arrivati: quelli che il film dell’integrazione ospedale-territorio l’hanno già visto e sanno come va a finire.

Nel frattempo, facciamo tutti quanti il tifo per l’AgID e attendiamo fiduciosi il Piano Triennale. Ricordandoci che sono in ballo 50.000 posti di lavoro e un bel pezzo di efficientamento dei conti pubblici.

Astenersi gufi, perditempo e difensori dell’orticello.

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