Smart cities e divario digitale

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Non siamo smart e non ci siamo nemmeno vicini. Basta guardare le classifiche per averne conferma. È intelligente chi ha studiato per tempo, non chi si è mosso perché è la moda del momento. È intelligente una città che investe in capitale sociale ed umano. Dove c’è una gestione oculata ma anche partecipativa delle risorse. Dove l’infrastruttura di comunicazione tradizionale (trasporti) e moderna (ICT) serve ad alimentare lo sviluppo sostenibile e la qualità della vita. I primi due punti li lascio volentieri aperti al dibattito. Vorrei invece parlare del terzo o meglio della sua negazione. 

17 Settembre 2012

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Franco Coen Sacerdotti*

Non siamo smart e non ci siamo nemmeno vicini. Basta guardare le classifiche per averne conferma. È intelligente chi ha studiato per tempo, non chi si è mosso perché è la moda del momento. È intelligente una città che investe in capitale sociale ed umano. Dove c’è una gestione oculata ma anche partecipativa delle risorse. Dove l’infrastruttura di comunicazione tradizionale (trasporti) e moderna (ICT) serve ad alimentare lo sviluppo sostenibile e la qualità della vita. I primi due punti li lascio volentieri aperti al dibattito. Vorrei invece parlare del terzo o meglio della sua negazione. 

Il divario digitale è fattore disabilitante di qualsiasi progetto di smart city e chi è smart l’ha azzerato. Il divario digitale si origina dall’incapacità di percepire un valore aggiunto della rete nel creare sviluppo e migliorare la vita. Questo è comprensibile nel caso di cittadini ed imprese che in questo momento di crisi hanno problemi più pressanti. Meno comprensibili sono gli operatori TLC che, pur avendo la capacità finanziaria, spesso non vedono oltre le logiche di ritorno a breve termine.

Ancora meno comprensibili sono le PAL quando, crogiolandosi nell’alibi dell’art 6 del Codice delle Comunicazioni "…non sono consentite sovvenzioni…",  tralasciano il più importante art 5 "…promozione di livelli minimi di disponibilità…" che attribuisce al Pubblico una funzione pedagogica e di catalizzazione degli investimenti. 

Eccezioni ovviamente ce ne sono e mi soffermerei su alcuni casi nel territorio emiliano-romagnolo, senza volere fare torto ad altre buone pratiche.  

A livello regionale, Lepida SpA promuove progetti di abbattimento del divario attraverso partnership pubblico-private. In tale logica e nel pieno rispetto della normativa, il Pubblico realizza le infrastrutture (in fibra ottica o wireless) per il trasporto di banda agli operatori sino alle aree in digital divide. Gli operatori distribuiscono i servizi ai cittadini ed alle imprese. Il meccanismo sta dando i suoi frutti con una graduale copertura delle aree in sofferenza. 

A livello provinciale, la Provincia di Bologna ha intrapreso il progetto NoDigitalDivide che, coinvolgendo scuole ed associazioni, ha la finalità di quantificare puntualmente il divario digitale sul territorio. Il risultato è un portale di monitoraggio con mappa GIS interattiva che riporta lo stato di fatto, gli strumenti utili, i futuri interventi e le segnalazioni dei cittadini. Tale portale vuole fornire uno stimolo agli operatori che potranno analizzare il mercato delle utenze potenziali per predisporre gli investimenti ed alla Pubblica Amministrazione che potrà porsi a catalizzatore degli interventi.

A livello locale, il Comune di Rimini ha realizzato un esperimento interessante che si propone di raggiungere scopi analoghi alla Provincia di Bologna sfruttando il fattore "social". Il portale è realizzato su piattaforma Facebook che, pur avendo minore flessibilità di un sito web, consente logiche "push" di informazione agli  iscritti, metriche precise del pubblico di riferimento e dei contenuti di interesse e – in ultima analisi – un salto di qualità nella partecipazione dei cittadini. 

Le esperienze sopracitate ci dicono che qualcosa si sta muovendo, ma siamo lontani anni luce da standard accettabili. Basta nel piccolo vedere le differenze tra banda nominale e banda effettiva in un qualsiasi contratto di ADSL, la sovente indisponibilità del servizio UMTS e la discontiguità delle aree WiFi quando si naviga fuori casa. Se fatico ad usare la posta elettronica in mobilità, come posso aspettarmi di utilizzare i servizi evoluti di una smart city?

Economia, mobilità, ambiente, persone, qualità di vita e governo. Molto si può imparare guardando alle città europee prime in classifica. L’impatto degli interventi ICT è rilevante. I fondi ci sono e, se vogliamo usarli oculatamente, è importante quantificare i benefici con metriche condivise tra pubblico, privato e sociale. In caso contrario si rischia di realizzare cattedrali nel deserto, o meglio: una città intelligente in un paese stupido. 


*Franco Coen Sacerdotti, leggi un breve profilo

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