Una sanità malata che va innovata, non tagliata

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Il dibattito sulla Sanità continua ad essere stretto come in una tenaglia dagli scandali per corruzione e i casi di degrado e malasanità, e dalle esigenze di spending review. Dopo anni di declino, la consapevolezza della necessità di innovazione ha finalmente portato ad azioni ancora però a macchia di leopardo e con un “passo” inadeguato rispetto all’urgenza e alla portata della sfida

1 Maggio 2016

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Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano

Il dibattito sulla Sanità continua ad essere stretto come in una tenaglia da due temi che monopolizzano l’attenzione dei media e della classe politica: da una parte gli scandali per corruzione e i casi, veri o presunti, di degrado e malasanità, e dall’altra gli sprechi e le esigenze di spending review. Ma davvero la Sanità in Italia è solo fonte di sprechi e corruzione? Si tratta davvero di un sistema irrimediabilmente marcio da smantellare e privatizzare in una logica di pura sussidiarietà?

A nostro parere no! Oltre che ingenerosa, questa visione sarebbe miope e pericolosa: quello della salute in Italia è un comparto fondamentale che, se si considera l’intera filiera, produce in Italia 290 Miliardi, il 9,4% del PIL, e impiega 3,8 milioni di persone, il 16,5% del totale degli occupati del Paese. Sono cifre già di per sé impressionanti che sono destinate a crescere a causa dell’invecchiamento demografico e dell’aumento di incidenza delle patologie croniche. Quello della salute è per noi un (o forse “il”) settore economico fondamentale, capace da solo di condizionare lo sviluppo economico e l’attrattività del Paese. Ancora di più la salute è un diritto sancito dalla nostra stessa costituzione, elemento sostanziale di civiltà, giustizia e coesione sociale. Già oggi spendiamo per la salute decisamente meno di quanto avviene nei Paesi avanzati e nella stessa media europea, piuttosto che a nuovi tagli dovremmo pensare allo sviluppo di politiche industriali, fiscali, educative e di innovazione adeguate che aiutino a garantire qualità e sostenibilità di un sistema che non è corrotto e parassitario, come il dibattito sui mass media sembrerebbe indicare, ma è certamente malato e bisognoso di interventi.

La principale patologia che affligge il nostro sistema è la mancanza di innovazione organizzativa e tecnologica. Per troppi anni sono stati rimandati interventi fondamentali per rivedere l’assetto del sistema e adeguarlo a una domanda in rapida evoluzione. Dal punto di vista istituzionale ed organizzativo abbiamo un sistema in cui l’offerta di cure resta eccessivamente frammentata e concentrata sulle acuzie piuttosto che sulle cronicità in palese contrasto con i trend della domanda.

Dal punto di vista tecnologico per molti anni il sistema ha investito sulla modernizzazione tecnologica metà o un terzo delle risorse investite nei Paesi a noi comparabili, gestendo per di più le scelte tecnologiche e di sviluppo di standard e servizi a livello locale di aziende e regioni, quando non di singoli professionisti.

Dopo anni di progressivo declino, la consapevolezza di queste necessità di innovazione sembra essersi finalmente diffusa tra i decisori spingendo a intervenire a tre livelli:

  • A livello di governance sono state avviate alcune prime azioni tese ad allineare le priorità e programmare risorse e interventi, cercando di raccordare le politiche a livello Europeo, Nazionale, Regionale ed Aziendale. Esempi ne sono lo sviluppo di piani a livello nazionale, come il Patto per la Salute o il Piano Nazionale delle cronicità, e la definizione di standard e piattaforme infrastrutturali come SPID e PagoPA.
  • A livello organizzativo sono state avviate da alcune regioni riforme organizzative tese a ripensare i modelli di erogazione della cura, accorpando e specializzando le strutture, creando servizi condivisi a livello interaziendale e interregionale, consolidando staff e centrali di acquisto e creando punti di accesso alle cure sul territorio.
  • A livello tecnologico sono stati lanciati e diffusi a livello aziendale e regionale servizi digitali tesi ad accompagnare i cittadini ad una logica di fruizione del servizio maggiormente autonoma e responsabile. Esempi sono stati i servizi di ritiro on line di certificati, referti e ricette, la pubblicazione di informazioni sulle strutture e il loro stato di saturazione (es. sistemi di gestione dell’attesa per i pronto soccorso), i sistemi di prenotazione on line, e le applicazioni di telemedicina e comunicazione multicanale tra pazienti e operatori sanitari. L’aumento esponenziale dei livelli di utilizzo di questi strumenti da parte di medici e cittadini è segno che, quando informazioni e servizi digitali vengono offerti in modo semplice ed accessibile, gli italiani ne fanno un utilizzo del tutto allineato a quanto accade in altri Paesi.

Si tratta di azioni a macchia di leopardo che dimostrano quanto la direzione sia corretta ma anche quanto, al tempo stesso, il livello di coesione e il “passo” con cui stiamo percorrendo questo cammino sia del tutto inadeguato rispetto all’urgenza e alla portata delle sfide in gioco.

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