Dipendenti pubblici: da rivedere lo schema di regolamento del nuovo Codice di Comportamento

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Un recente parere del Consiglio di Stato contiene numerose osservazioni sullo schema di decreto per l’aggiornamento dei “codici di comportamento e formazione in tema di etica pubblica”, che si inserisce nel percorso necessario a conseguire la milestone M1C1-56 del PNRR. Tra i punti segnalati nel parere, le regole di condotta relative all’uso di nuove tecnologie e social media e relativa tutela dell’immagine della PA. Da osservare, inoltre, anche la mancata armonizzazione con la disciplina del whistleblowing

9 Marzo 2023

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Morena Ragone

Giurista, studiosa di diritto di Internet e PA Digitale

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Valentina M. Donini

Docente Scuola Nazionale dell’Amministrazione, portavoce per le PA nel Forum Multistakeholder di OGP Italia

Foto di Roma Kaiuk🇺🇦 su Unsplash - https://unsplash.com/it/foto/bpcFX9h0li4

È stato pubblicato da alcuni giorni, sul portale “Giustizia Amministrativa”, il parere n. 93/2023 [numero affare 01914/2022] reso dal  Consiglio di Stato — Sezione Consultiva per gli Atti Normativi — sullo “schema di decreto del Presidente della Repubblica adottato ai sensi dell’articolo 4, del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2022, n. 79, recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165”.

Considerando l’importanza delle osservazioni formulate dal Collegio — come tra poco vedremo — e la pervasività di una siffatta disciplina, se n’è parlato e scritto davvero troppo poco. Proviamo, allora, a fare per prima cosa, una breve ricostruzione, non esaustiva, di alcune osservazioni del CdS, concentrandoci, in particolare, sull’introduzione delle nuove tecnologie nel Codice di Comportamento. A seguire, ci soffermiamo su un aspetto che il parere non considera: la mancata armonizzazione con la disciplina del whistleblowing (l. n. 179/2017).

Codice di comportamento dei dipendenti pubblici: le novità dello schema di decreto

Partiamo da quello che nello schema c’è. In attuazione della previsione dell’articolo 4, del decreto-legge 30 aprile 2022, n.36 — convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2022, n.79 — lo schema di decreto in esame si prefigge l’obiettivo di procedere ad “aggiornamento dei codici di comportamento e formazione in tema di etica pubblica” nell’ambito delle “ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”; strumento, quindi, anche per il conseguimento della milestone M1C1-56 dello stesso PNRR.

Lo schema, accompagnato da relazione tecnica, ATN e AIR, ha seguito il consueto iter di approvazione introdotto dalla l. n. 190/2012, che prevede la previa deliberazione del Consiglio dei ministri [1 dicembre 2022], su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, e l’intesa in sede di Conferenza Unificata [21 dicembre 2022]. Tale iter richiede, prima della formale adozione, anche il parere del Consiglio di Stato, come previsto per tutti i regolamenti adottati ai sensi dell’art.17 della l. 23 agosto 1988, n. 400. Sempre alla l. n. 190/2012 risalgono le sanzioni per violazione del Codice e la previsione del cd. “doppio livello” [Codice nazionale, contenente i doveri “minimi”, e Codici delle singole PA, che specificano e adattano la disciplina nazionale al singolo contesto].

Tra le novità più rilevanti, l’introduzione degli art. 11-bisUtilizzo delle tecnologie informatiche”, 11-terUtilizzo dei mezzi di informazione e dei social media”, 11-quaterRispetto dell’ambiente” e 11-quinquies Rispetto della persona e divieto di discriminazioni”.

Prima di entrare nel dettaglio delle osservazioni del Consiglio di Stato, va osservato che al passaggio in Conferenza Unificata, lo scorso 21 dicembre, lo schema di decreto ha visto raggiunta l’intesa, pur con delle raccomandazioni inerenti pressoché esclusivamente gli articoli di nuova introduzione; segnale, questo, già in quella fase, della necessità di precisazioni e chiarimenti sulla formulazione dei predetti articoli e, anche, sulle motivazioni della loro previsione.

Le osservazioni del Consiglio di Stato

Ma arriviamo alle osservazioni del Consiglio di Stato. Tra le prime formulate dal Collegio, la considerazione che le integrazioni dello schema di decreto in esame introducono in realtà “nuove regole di condotta, provviste della cogenza propria di obblighi la cui violazione, come espressamente stabilisce l’art.16 del Codice, integra “comportamenti contrari ai doveri d’ufficio”, molte delle quali vanno oltre quanto richiesto dall’art.4 della l. n. 79 del 2022 e perciò dall’art.54 del d.lgs. n. 165 del 2001”: per esempio, quelle sul contenimento dei consumi energetici, delle risorse e dei materiali di consumo, sulla raccolta differenziata (art.14-quaterRispetto dell’ambiente”), sull’obbligo di astensione da azioni discriminatorie o lesive verso colleghi e utenti (art.11-quinquiesRispetto della persona e divieto di discriminazioni”); lo schema, da questo punto di vista, andrebbe, quindi, ben oltre la “delega” ricevuta, limitata alla “sola introduzione di una “sezione dedicata al corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei mezzi di informazione e social media da parte dei dipendenti pubblici, anche al fine di tutelare l’immagine della pubblica amministrazione” (cfr. comma 1, lett.b) oltre che lo svolgimento, da parte delle pubbliche amministrazioni, “di un ciclo formativo obbligatorio, sia a seguito di assunzione, sia in ogni caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, nonché di trasferimento del personale”, con durata ed intensità “proporzionate al grado di responsabilità del dipendente, sui temi dell’etica pubblica e sul comportamento etico” (cfr. comma 1, lett.b)”.

Su tale meccanismo, il Collegio non nasconde la propria perplessità, sottolineando l’introduzione, in tal modo, di regole di condotta, divieti e comandi — che incidono sulle situazioni giuridico-soggettive dei dipendenti pubblici — che non hanno fondamento nella disciplina primaria, necessaria all’attuazione del principio di legalità che deve governare l’azione e l’organizzazione amministrativa[1].

Più in dettaglio: gli artt. 11-bis e 11-ter

Ulteriori riserve vengono espresse con riferimento alle nuove regole di condotta introdotte, in particolare a quelle che sottintendono la necessità di tutelare l’immagine della pubblica amministrazione da un uso “disinvolto” di tecnologie e social media. Nei nuovi artt.11-bis e 11-ter, dedicati rispettivamente a ”Utilizzo delle tecnologie informatiche” e a “Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media”, vengono codificate una pluralità di regole allo stesso tempo, dettagliate nella casistica e indeterminate nelle condotte sanzionabili, aprendo la strada, ad avviso di chi scrive, ad applicazioni quantomeno disomogenee, sia tra amministrazioni differenti, sia all’interno della singola amministrazione, e che rischiano di esporre “i pubblici dipendenti agli eccessi degli spazi interpretativi d’intervento, ed anche alla connessa dubbiosità, per così dire, disparitaria, circa l’attivazione delle procedure disciplinari, di chi sarà preposto ad assicurarne il rispetto e a sanzionarne la violazione”.

Il Collegio, pertanto, rimette alla proponente la valutazione e verifica della stretta necessità e adeguatezza degli effetti, penali, civili, amministrative e contabili sulla sfera dei diritti e delle libertà dei singoli delle nuove norme.

Nell’esprimere le proprie riserve, tra l’altro, il Collegio sottolinea la mancanza di elementi conoscitivi del contesto normativo al quale il Codice, da questo punto di vista, si andrebbe a sovrapporre, con regole di valenza generale che rischiano di incidere su una regolamentazione per molti aspetti e contesti già presente.

Al contempo, il Collegio chiede che si precisi quali siano “le “criticità” riscontrate nell’utilizzo dei mezzi informatici”, motivando adeguatamente “l’introduzione di restrizioni e di limitazioni all’uso di mezzi che sono comunque funzionali anche alla manifestazione del pensiero e che, perciò, non possono fondarsi solo su assunti non confermati o non provati dall’esperienza, sia quanto, appunto, alla determinatezza tipologica sia quanto alla soglia di rilevanza e diffusione”.

L’approfondito excursus del Collegio, si noti, esplicita quindi il tema, sotteso, della libertà di espressione, nel caso di specie tramite tecnologie informatiche e social media in particolare, la cui disciplina, introdotta dal nuovo art. 11-ter, se non adeguatamente motivata, bilanciata e applicata, rischia di comprimere diritti fondamentali costituzionalmente tutelati.

Non da ultimo, si sottolinea l’importanza che una siffatta regolamentazione dell’uso delle tecnologie nelle PA non sia avulsa dal contesto sociale ed economico nel quale oggi si trovano le PA, alle prese con la transizione digitale, che deve accompagnare, analogamente, la transizione digitale dei propri dipendenti verso una maggiore cultura tecnologica, e che — posti alcuni obblighi minimi — lasci comunque alle Amministrazioni lo spazio di autonomia più opportuno.

La disciplina del whistleblowing e il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici

Ma c’è un ulteriore aspetto che ci preme sottolineare: ad avviso di chi scrive, lo schema in esame non affronta il tema, indispensabile e urgente, della riscrittura dell’art. 8 e, di conseguenza, l’art. 13 dell’attuale Codice di Comportamento.

L’attuale art. 8 — che, tra le altre cose, prevede il dovere del dipendente pubblico di segnalare gli illeciti  nell’amministrazione di cui sia venuto a conoscenza — risulta, infatti, non allineato alla legge n. 179/2017, che disciplina il whistleblowing; tale normativa è intervenuta per modificare la precedente disciplina contenuta nell’art. 54-bis del D.lgs. n. 165/2001 (come modificato dalla legge n. 190/2012) sotto diversi profili, ad esempio per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione, la tutela della riservatezza, una maggiore protezione da misure ritorsive, e anche per quanto riguarda i destinatari della segnalazione.

Già la legge n. 90/2014 aveva modificato l’impianto originario dell’art. 54-bis del D.lgs.165/2001, aggiungendo l’ANAC tra i destinatari della segnalazione, ma è stata poi la legge n. 179/2017 a escludere definitivamente la possibilità di segnalare al superiore gerarchico, chiarendo che il pubblico dipendente segnala al RPCT o all’ANAC, oppure denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile.

Il codice di comportamento vigente (d.P.R. n. 62 del 2013), invece, all’art. 8 (conformemente alla disciplina in vigore al momento dell’emanazione del codice) prevede che, “fermo restando l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, segnala al proprio superiore gerarchico eventuali situazioni di illecito nell’amministrazione di cui sia venuto a conoscenza”. Specularmente, l’art. 13, al comma 8, dispone che, nel caso in cui il dirigente riceva segnalazione di un illecito da parte di un dipendente, deve adottare ogni cautela di legge affinché sia tutelato il segnalante e non sia indebitamente rilevata la sua identità nel procedimento disciplinare, ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001.

È chiaro che, per il principio di successione della legge nel tempo, queste due norme (art. 8 e art. 13, comma 8) dovrebbero ritenersi implicitamente abrogate, nella parte in cui non sono più coerenti con la normativa successiva, come ha stabilito anche il Consiglio di Stato[2] e confermato autorevole dottrina[3]. Tuttavia, questa interpretazione non consente di superare un problema fondamentale: l’indicazione del destinatario sbagliato, cioè il superiore gerarchico, rimane di fatto ancora presente sia nel codice nazionale dei dipendenti pubblici, sia nei singoli codici di amministrazione (che nella maggior parte dei casi continuano a riprodurre la disciplina contenuta all’art. 8). Le conseguenze di questa indicazione erronea, purtroppo, non sono astratte, ma hanno delle ricadute concrete sulla tutela del whistleblower che, qualora segnali esclusivamente all’interlocutore sbagliato, cioè il superiore gerarchico, si vedrà privato della tutela della riservatezza.

Solo se il dipendente, pur segnalando al superiore gerarchico, invia la segnalazione anche al RPCT o all’ANAC, le tutele non verranno meno, come specificato nella delibera ANAC 16 dicembre 2020, n. 1118, che interpreta estensivamente l’art. 1 della l. n. 179/2017 nel senso che «non prevede espressamente che la segnalazione vada trasmessa “solo ed esclusivamente” ai soggetti ivi indicati». 

Ma cosa succede se il whistleblower segnala solo al superiore gerarchico, facendo affidamento su una norma implicitamente abrogata? Perde il suo status di whistleblower, e tecnicamente non può più godere delle tutele previste dalla legge n. 179/2017, soprattutto in tema di protezione della riservatezza; in questo modo, viene meno quella fiducia che il whistleblower dovrebbe riporre nel sistema e che dovrebbe incoraggiarlo a segnalare eventuali illeciti o irregolarità senza timore di conseguenze negative[4].

Sarebbe quindi necessario riscrivere l’art. 8 (e di conseguenza anche dell’art. 13 al comma 8), ma non abrogarlo del tutto[5]. Perché nonostante il mancato allineamento crei numerosi problemi, l’art. 8 contiene un’indicazione preziosa, assente negli altri riferimenti normativi. Cioè la qualificazione della segnalazione come un dovere: attualmente tutto l’impianto in materia di tutela del whistleblower ruota intorno alla necessità di proteggere una persona che spontaneamente sceglie di segnalare, e che quindi si assume il rischio delle conseguenze “pericolose” derivanti da questa scelta. Qualificare invece la segnalazione come un dovere, consentirebbe in primo luogo di evitare ambiguità e incertezze, ma soprattutto permetterebbe di superare sia la narrazione del whistleblower eroe, sia la stigmatizzazione da parte dei colleghi, perché a questo punto sarebbe una persona che compie semplicemente il suo dovere.

In un’ottica, poi, di maggiore integrazione e coordinamento, nel momento in cui si dovesse modificare l’art. 8, sarebbe altresì auspicabile anche esplicitare il divieto di ritorsioni nei confronti del dipendente che segnala, e descrivere gli altri doveri del dipendente, oltre al generico dovere di collaborazione. Si pensi ad esempio alla necessità di un collegamento anche con il dovere di segnalare eventuali operazioni sospette, in un’ottica di maggiore sinergia e coordinamento tra prevenzione della corruzione e antiriciclaggio[6].

Tuttavia, in attesa di una riscrittura dell’art. 8 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, non va trascurato il ruolo delle singole amministrazioni che, nel momento in cui procedono a modificare i codici di amministrazione, hanno la possibilità di intervenire e risolvere questo problema di coordinamento.

Il modello decentrato, che vede questa dialettica tra codice nazionale (che deve assicurare l’uniformità delle soluzioni) e i singoli codici di amministrazione (che si adattano invece alla singola realtà organizzativa), conferisce, infatti, allo strumento codicistico una straordinaria capacità di adattamento e di flessibilità, rendendolo un importante strumento di prevenzione della corruzione. E questa flessibilità può tradursi in disposizioni innovative che superano i contenuti previsti dal codice nazionale.

Purtroppo, non tutte le amministrazioni hanno colto questa sfida: in alcuni casi, ad esempio, hanno continuato a riprodurre “l’errore” contenuto nell’art. 8 anche nei codici di amministrazioni successivi al 2017. Altre amministrazioni, invece, non solo hanno modificato espressamente la norma relativa ai destinatari della segnalazione escludendo correttamente il superiore gerarchico, ma sono andate anche oltre, disciplinando aspetti (ingiustamente) trascurati dal codice nazionale, come ad esempio la sinergia con l’antiriciclaggio di cui si parlava supra, la trasparenza dei titolari effettivi, la regolamentazione dei rapporti con i portatori di interessi[7].

Ben vengano, quindi, le iniziative, come ad esempio quelle proposte dalla Comunità di Pratica per RPCT promossa dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione[8], dirette proprio a provare una riscrittura delle norme dei codici di amministrazione, in un’ottica di coordinamento con il sistema previgente ma anche di sperimentazione di modelli innovativi.

Tuttavia, nonostante le buone pratiche e la buona volontà delle singole amministrazioni, si percepisce come indispensabile un intervento del legislatore diretto a risolvere una volta per tutte questo problema di mancato coordinamento tra norme. E sarebbe un peccato se l’attuale revisione del Codice di comportamento non tenesse conto anche di queste criticità.


[1] Si condividono su questo punto le osservazioni di M. Di Rienzo, A. Ferrarini, Quel vecchio ripostiglio chiamato Codice di comportamento, in https://spazioetico.com/2023/02/15/quel-vecchio-ripostiglio-chiamato-codice-di-comportamento/.

[2] Consiglio di Stato, Parere reso sulle linee guida, n. 615/2020.

[3] R. Cantone, 2020, Il dipendente pubblico che segnala illeciti. Un primo bilancio sulla riforma del 2017, in Sistema penale.it, p. 10.

[4] Ed è proprio questa sfiducia a rendere difficile la diffusione dell’istituto in Italia. A questo proposito è opportuno citare la ricerca promossa dalla SNA proprio per valutare la percezione del whistleblowing da parte dei dipendenti pubblici italiani. Cfr. V.M. Donini, V. Lostorto, N. Zamaro, Formare per trasformare: l’impatto trasformativo della formazione sulla prevenzione della corruzione. Prime riflessioni, in Amministrativ@mente, rivista scientifica trimestrale di diritto amministrativo, n. 4, 2022, pp. 244-268.

[5] Cfr. M. Di Rienzo, A. Ferrarini, Pro patria mori? Dovere di collaborazione e tutela del whistleblower nell’art. 8 del Codice di Comportamento dei Dipendenti pubblici, in Azienditalia, 7, 2022.

[6] Sul punto cfr. V.M. Donini, Prevenzione della corruzione. Strategie, sfide, obiettivi, Roma, 2022, p. 41 e ss.

[7] Ibid. p. 121 e ss.

[8] La Comunità di pratica per RPCT della SNA è stata realizzata in conformità alle indicazioni contenute nel PNRR e in attuazione del Quinto Piano d’Azione Nazionale per il governo aperto promosso da Open Government Partnership Italia (https://open.gov.it/wp-content/uploads/2022/03/5nap-piano-azione-governo-aperto-italia.pdf.). Possono parteciparvi RPCT e Referenti di tutte le amministrazioni. Per maggiori informazioni: https://paf.sna.gov.it/scheda_corso.html?cid=2944.

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