EDITORIALE

Il ruolo dello Stato per andare oltre la fase 2

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La realtà di questi due mesi ci pone di fronte a un diverso ruolo del settore pubblico, nella sua componente politica e amministrativa. E, insieme alla constatazione di questo nuovo ruolo, emerge la necessità di prendere in considerazione nuove reciproche relazioni tra Stato, imprese, mercato, finanza e cittadini nel costruire lo sviluppo economico e sociale del Paese

30 Aprile 2020

Carlo Mochi Sismondi

Presidente FPA

Photo by Drew Beamer on Unsplash - https://unsplash.com/photos/xU5Mqq0Chck

La fase uno della pandemia, da cui stiamo uscendo forse ora, è quella che ha richiesto soprattutto la nostra pazienza. Tutto chiuso, tutto fermo, controlli e multe a chi sgarra. Indispensabile, ma anche necessariamente limitata, ha messo a dura prova la resistenza psicologica delle persone e la resistenza economica del Paese, che ne esce malconcio. La fase due, che comincia forse tra qualche giorno, deve fare appello, molto più di prima, alla nostra attenzione e alla nostra responsabilità, perché le aperture appaiono indispensabili, ma sono comunque rischiose e dentro ogni azienda deve vigere il criterio di maggior prudenza; perché restano le restrizioni individuali, ma saranno necessariamente allentati i controlli (basti pensare alla confusione sulla parola “congiunti”) e quindi conteranno maggiormente i comportamenti; perché sbagliare ora ci farebbe tornare indietro non di un passo, ma di due e non ce lo possiamo permettere; ma anche perché le scelte fatte, spesso non sono state frutto di un approccio sistemico, ma hanno visto la realtà a settori stagni e quindi sono ora obiettivamente difficili da rispettare: pensiamo allo stretto legame che c’è, ad esempio, fra i trasporti pubblici, che sono quel che sono, la permanente chiusura delle scuole con i bambini e i ragazzi da guardare e la necessaria apertura delle aziende e il ritorno al lavoro fuori casa per milioni di noi.

Se questa è la situazione in cui ci troviamo ora, è però al domani che dobbiamo lavorare per cominciare a costruire il Paese del dopo Covid-19. Come sempre la cosa più difficile di questo esercizio è di liberarci del vecchio, di non faci condizionare da paradigmi che sembrano incisi sulla pietra e che spesso sono invece solo una nostra “confort zone”. Quando cambiano i paradigmi, come successe quando Copernico scalzò definitivamente il paradigma della centralità della Terra nell’Universo, spesso non sono i soggetti che cambiano, quanto piuttosto le relazioni tra di loro. La Terra, la Luna, il Sole, le stelle c’erano nell’Universo tolemaico e ci sono ancora nell’Universo copernicano, ma cambiano le relazioni tra loro.

Il primo cambiamento evidente di paradigma che la realtà di questi due mesi ci pone di fronte è dato da un diverso ruolo del settore pubblico, che da ora per semplicità chiamerò Stato, intendendo con questo quello che in inglese è “government”, ossia il settore pubblico nella sua componente politica e amministrativa. E, insieme alla constatazione di questo nuovo ruolo, emerge la necessità di prendere in considerazione nuove reciproche relazioni tra Stato, imprese, mercato, finanza e cittadini nel costruire lo sviluppo economico e sociale del Paese. È questo proprio un esempio della rivoluzione culturale, prima ancora che politica ed economica, di cui abbiamo bisogno.

Sino ad ora la teoria economica prevalente assegnava allo Stato un ruolo soprattutto di regolatore e gli esempi di una sua azione diretta come “player di mercato” sono stati quanto meno ambivalenti, con qualche esempio di efficienza e moltissimi di burocratizzazione clientelare, quando non di malamministrazione. La situazione attuale, invece, ci pone davanti una grande domanda di azione pubblica. Dalla sanità ai provvedimenti di sostegno alle famiglie e alle imprese, dalle contromisure rispetto ai fallimenti di tante grandi aziende agli investimenti in ricerca ed innovazione, è allo Stato che guardiamo.

Non è a un ritorno dell’IRI, che pure ha avuto i suoi grandi meriti nella ricostruzione postbellica, che penso, ma a quello “Stato innovatore” che gli studi di Mariana Mazzucato ci hanno presentato. Uno Stato soggetto attivo e dotato di uno spirito imprenditoriale. Uno Stato che investe “capitali pazienti”, ossia non condizionati dalla sindrome del guadagno immediato che affligge la nostra finanza, per rendere possibile e nello stesso tempo orientare l’innovazione di cui abbiamo disperatamente bisogno. Orientarla verso quei macro-obiettivi strategici che costituiscono le sfide che avevamo davanti anche prima della pandemia, parlo dello sviluppo sostenibile e dell’economia verde, ma anche della lotta alle crescenti disuguaglianze, e che ora, di fronte ad una così grande discontinuità, sono le uniche che possono fungere da bussola per la ripresa.

Cambiano quindi ora, abbiamo detto, le relazioni tra i soggetti della politica economica e sociale del Paese, ma questo non vuol certo dire che auspichiamo una statalizzazione dell’economia o aziende pubbliche che facciano concorrenza al mercato, spiazzando le imprese migliori. Quello che ci aspettiamo è invece uno Stato che sia capace di:

  • orientare la ripresa economica dopo la debacle del Covid-19 indirizzando le enormi risorse che stanno arrivando, e che probabilmente saranno un’occasione del tutto eccezionale e non ripetibile, verso obiettivi strategici epocali, che poi sono quelli disegnati già dall’Agenda 2030;
  • investire risorse certe nell’innovazione, sulla base di una scala di priorità lungimirante, che tenga conto della centralità dell’innovazione tecnologica e della trasformazione digitale in ogni settore sia dell’economia, sia della vita sociale delle persone;
  • misurare e quindi cogliere i benefici anche economici degli investimenti fatti in innovazione, abbandonando la perversa usanza di socializzare le perdite e permettere che si privatizzino, invece, i guadagni;
  • sostenere la nascita di nuove imprese, di startup innovative portatrici di nuove idee, ma sostenere anche tutte le aziende che ricercano, innovano, investono;
  • semplificare l’azione della pubblica amministrazione perché sia un efficace ed intelligente attuatore delle politiche.

Proprio quest’ultimo punto merita una riflessione ulteriore. Se la ripresa economica e il suo nuovo orientamento (quasi una rinascita piuttosto che un ricominciare da dove eravamo) hanno bisogno certamente di una nuova e più decisa azione pubblica, certamente hanno bisogno anche di una più efficace amministrazione pubblica. Un’amministrazione caratterizzata da cinque fondamentali attributi: deve essere più semplice, più veloce, più vicina, più trasparente, ma anche più competente.

Cosa vuol dire questo nella pratica dei prossimi mesi e nella costruzione del futuro?

  • Che dobbiamo perseverare nell’azione di semplificazione amministrativa e di velocizzazione dei procedimenti, rafforzandola e stimolandola con un accorciamento radicale dei tempi di risposta, sostenendola con una massiccia opera di trasformazione digitale, che non vuol dire comprare più hardware, ma standardizzare i processi e rimuovere tutti gli ostacoli normativi, tecnologici e di comportamento che si frappongono ad una reale interoperabilità dei sistemi e ad un’unitaria ed efficace governance dei dati.
  • Che dobbiamo promuovere da subito l’empowerment dell’amministrazione attraverso: un immediato rafforzamento di una più ampia, pervasiva e condivisa formazione sul campo dei dipendenti pubblici; un’azione costante di accompagnamento; la fornitura di “tool box” che siano di aiuto nel quotidiano problem solving; la costruzione di efficaci strumenti di ascolto e di help desk dei funzionari e dirigenti pubblici; l’adozione di norme che favoriscano la discrezionalità della dirigenza e rendano possibile la sperimentazione.
  • Che insieme dobbiamo rafforzare sin da ora l’engagement dei cittadini e delle imprese, che devono essere parte attiva di un processo di semplificazione svolto nell’ottica della “amministrazione condivisa” e della partecipazione

La PA tutta ha vissuto in questi mesi una profonda rivoluzione e la tragica pandemia ha scardinato in poche settimane consuetudini che erano divenute dogmi: il tornello, la presenza come unica misura di produttività, la diffidenza per i documenti che non fossero cartacei, ecc. Ora è tempo di andare oltre e di accettare la grande responsabilità di essere cinghia di trasmissione di questa ripartenza che è, in effetti, una nuova partenza. Una cinghia di trasmissione che sia però consapevole, competente, fortemente coinvolta negli obiettivi strategici, corresponsabile del loro raggiungimento, propositiva e attiva nell’eliminare gli ostacoli e nel liberarsi delle zavorre.

Per questa amministrazione che vogliamo, che vediamo presente in molti uffici, anche se per ora non maggioritaria, ma anche per tutto il tessuto economico e sociale del Paese stiamo preparando il percorso di FORUM PA 2020 perché sia un’occasione di confronto, di stimolo, di costruzione di una nuova alleanza che si fondi sui valori che hanno costruito la nostra società repubblicana: l’eguaglianza delle opportunità, la solidarietà e l’inclusione, il rispetto delle persone  e delle loro scelte, la centralità del lavoro, la tutela dell’ambiente e della salute, la costruzione di un sistema in cui sia bello e possibile innovare.

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