La nuova linfa per la pubblica amministrazione: come attrarre e trattenere i migliori?
Nonostante i recenti miglioramenti, in questi ultimi anni la PA ha dimostrato una difficoltà sia nell’attrarre candidati che nel trattenere il personale assunto. Sono soprattutto i professionisti e le figure tecniche che non ritengono appetibile partecipare a un concorso nella PA. Come cambiare approccio nella gestione del personale per risolvere queste criticità? Ecco alcuni spunti, a partire da azioni di marketing che promuovano una visione della PA non basata sul posto fisso ma sul ruolo del civil servant. Senza dimenticare il tema dei concorsi, delle competenze e dell’inserimento dei neo-assunti
13 Ottobre 2022
Giusi Miccoli
Strategic Advisor per le politiche del personale
Nell’editoriale della scorsa settimana abbiamo parlato del “malessere nel lavoro pubblico”, della difficoltà nel reperire candidati per i concorsi, del fenomeno dei vincitori che rinunciano all’incarico. Su questo tema, come facciamo sempre a partire dai nostri eventi e dalle nostre riflessioni, ci piacerebbe stimolare “un dibattito e un confronto tra chi ancora crede che avere buone amministrazioni sia fondamentale per garantire i diritti di cittadinanza a tutti, a cominciare dai più deboli, e quindi per garantire e rafforzare la nostra democrazia” (cito in questo caso l’editoriale di due settimane fa che ha aperto la serie dedicata al “Nuovo Governo e la PA”). Abbiamo quindi ricevuto con molto piacere questo articolo di Giusi Miccoli, che riflette su perché la PA non sia sempre in grado di offrire politiche e strumenti innovativi per il personale e su come lavorare per renderla invece capace di attrarre e di trattenere i migliori. Buona lettura!
Neo-assunti “alla ribalta”
Qualche mese fa mi è capitato di incontrare una giovane selezionata in un concorso in cui ero stata commissario di esame un paio di anni fa. Avevo avuto modo di selezionare lei e molti suoi colleghi per una posizione di funzionario esperto in comunicazione. Dopo test preselettivi e due prove scritte, tra le centinaia di candidati giovani e meno giovani, lei aveva superato le prove scritte ed era arrivata alla prova orale. Mi aveva impressionato per la preparazione, la professionalità, la motivazione, la freschezza. Era evidente che non aveva solo una buona preparazione delle norme e delle tecniche di comunicazione; aveva alle spalle anche una esperienza adeguata e solide competenze, requisiti non sempre presenti tra i candidati e le candidate.
Nel nostro recente incontro questa giovane assunta mi ha raccontato un particolare della sua vita da pubblico dipendente che mi ha colpito molto. Oltre a dirmi che il lavoro era interessante e che stava mettendo in campo le sue competenze, mi ha anche dichiarato, con naturalezza, che su consiglio dei colleghi più anziani aveva optato per un turno di lavoro senza pause, iniziando molto presto al mattino, prima delle 8, e uscendo poco prima delle 15. Vi chiederete quale è l’anomalia. Per me l’anomalia è concepire un lavoro in funzione di un orario di lavoro strutturato e non flessibile. Il lavoro dovrebbe invece essere organizzato in base agli obiettivi e alle scadenze in modo da garantire un servizio efficiente ed efficace per il cittadino e per le imprese. Una cultura del lavoro che era emersa anche nella prova orale della giovane assunta e che ora invece risultava allineata ad un modus operandi tipicamente amministrativo.
Oltre a questa storia potrei raccontarne altre di giovani e meno giovani neo-assunti: quelli che entrando nel settore pubblico ambiscono all’equilibrio fra vita lavorativa e vita privata; quelli che cercano una retribuzione certa; coloro che inseguono la sicurezza del posto di lavoro; quelli che dopo pochi mesi rinunciano al posto vinto per andare a lavorare nel privato o in un altro ente più vicino al luogo di residenza; e tante altre…
Quindi, molteplici storie che raccontano di una pubblica amministrazione non sempre in grado di offrire politiche e strumenti per il personale innovativi e non capace di attrarre e di trattenere i migliori.
Cosa cercano i potenziali dipendenti
Una recente ricerca pubblicata nel luglio del 2022 su La Repubblica ha analizzato cosa cercano i potenziali dipendenti. Nel 2022 i fattori più importanti nella scelta di un datore di lavoro sono: buon equilibrio fra vita lavorativa e vita privata 65% (in EU sono il 61%), atmosfera di lavoro piacevole 65% (EU 63%), retribuzione e benefit interessanti 61% (EU 66%), sicurezza del posto di lavoro 58% (EU 60%), visibilità del percorso di carriera 54% (EU 50%).
E nel pubblico cosa si cerca? Qualche mese fa in una intervista al Festival dell’Economia di Trento il Ministro per la Pubblica amministrazione Brunetta del Governo Draghi ha dichiarato” “Il pubblico impiego non attrae più? Ho molti dubbi su questo: una volta sbloccati i concorsi, nella seconda metà del 2021 si sono aperte 45mila posizioni, per un totale di oltre un milione di partecipanti”. Il Ministro ha motivato l’attrattività del settore pubblico con la velocità dei nuovi concorsi: “Oggi durano 100 giorni, dal bando alla pubblicazione delle graduatorie, e non più fino a quattro anni. (…) Certo permane il problema delle retribuzioni troppo basse, ma nel pubblico non c’è la cassa integrazione come nel privato e ci sono maggiori garanzie in termini di licenziamento”.
Nonostante i recenti miglioramenti, in questi ultimi anni la PA ha dimostrato una difficoltà sia nell’attrarre candidati che nel trattenere il personale assunto. Sono soprattutto i professionisti e le figure tecniche che non ritengono appetibile partecipare ad un concorso nella PA. I motivi? Livello delle retribuzioni, opportunità e velocità di carriera, servizi di welfare, organizzazione e qualità del lavoro. Quindi, la PA non riesce ad attrarre e trattenere personale qualificato e talenti. Inoltre, la great resignation, fenomeno nato negli Stati Uniti e diffusosi in Europa, si è esteso anche al settore pubblico: le dimissioni volontarie si sono verificate soprattutto per posizioni molto specifiche legate all’implementazione del PNRR e a professioni tecniche ma anche per quei lavoratori che non trovano politiche del personale innovative basate su welfare, motivazione, carriera, organizzazione per obiettivi.
Baby boomers, generazione X e Millennials
Le ambizioni e le motivazioni al lavoro sono tuttavia differenti tra generazioni. Non solo in fase di candidatura ad un concorso ma anche nella scelta di rimanere nell’organizzazione, nella carriera e nel bilanciamento tra vita privata e lavoro. Alcune analisi sul mondo del lavoro riportano – in riferimento alle diverse generazioni – le necessità e l’approccio nella vita in ufficio.
I baby boomers (nati tra il 1946 e il 1964) nel lavoro danno la precedenza agli obiettivi organizzativi rispetto a quelli individuali e scelgono di restare nelle organizzazioni se vengono offerte opportunità di crescita. Sono persone che lavorano molto, soprattutto se il loro impegno porta carriera e soldi. Nella gestione della loro carriera puntano alla crescita verso l’alto. Nel bilanciamento tra vita privata e lavoro conta di più il lavoro.
La generazione X generation (nati tra il 1965 e il 1980) sceglie di cambiare lavoro seguendo le proprie inclinazioni. La motivazione al lavoro è costituita da libertà e divertimento. Sono persone che lavorano molto se decidono quando, dove e come. Nella gestione della loro carriera scelgono anche di cambiare settore o ambito pur di crescere. Nel bilanciamento vita privata e lavoro conta la famiglia ma anche il lavoro.
Per i Millennials (Generation Y) (nati dopo il 1981) cambiare lavoro è una routine. La motivazione al lavoro si basa sulla realizzazione personale. Sono persone che lavorano molto ma che non hanno solo il lavoro come ambizione. Nella gestione della loro carriera intraprendono cambi veloci e frequenti. Il bilanciamento vita privata e lavoro – data la giovane età – non è ancora un’ambizione.
Queste significative differenze dovrebbero essere necessariamente prese in considerazione per poter definire politiche del personale adeguate ai vari cluster, prevedendo piani e strumenti di reclutamento, gestione, valorizzazione, sviluppo, carriere.
Come attrarre: employer branding e attraction
Uno dei primi punti di attenzione dovrebbe essere l’employer branding. Si, utilizzo un termine inglese – non certo in voga nel settore pubblico – per parlare di come attrarre i migliori.
L’employer branding, soprattutto dopo la rivoluzione del lavoro indotta dalla pandemia, dovrebbe essere una strategia da adottare anche nel settore pubblico per attrarre, selezionare e trattenere i migliori. Grazie allo smart working è possibile, infatti, ampliare il bacino di ricerca dei candidati, attraendo quei lavoratori capaci di lavorare per obiettivi, di essere autonomi, di sapere gestire con responsabilità il lavoro e in possesso di competenze trasversali.
Come si fa employer branding nel settore pubblico? Mettendo al centro delle politiche del personale le leve innovative e che creano motivazione. Per esempio, il contratto di lavoro può essere un elemento di attrazione se oltre alla posizione, alla mansione lavorativa e agli aspetti economico-monetari e di sicurezza, vengono valorizzati il ruolo ricoperto, le competenze, la seniority. Il sistema di performance è un altro strumento utile se vengono effettivamente riconosciuti il merito e la prestazione lavorativa. Anche il welfare ha un suo ruolo quando è basato su attenzione ai bisogni dei dipendenti, alla salute e ai benefit. Inoltre, una importante leva è la formazione: sono soprattutto i Millennials ad apprezzare le opportunità di crescita e sviluppo; e la formazione è importante anche per i lavoratori per i quali è necessaria la riqualificazione professionale sulle competenze digitali e interpersonali. E poi c’è la gestione del personale da parte dei dirigenti, che possono svolgere una funzione di employer branding se orientano verso gli obiettivi strategici, fanno capire l’importanza della creazione del valore della PA e soddisfano le promesse prospettate.
Insomma, una strategia di employer branding che pensi al futuro dipendente come una risorsa da attrarre, mettendo al centro nuovi strumenti e leve di gestione del personale, e che preveda la promozione della PA come un luogo in cui poter lavorare in modo innovativo e motivante.
Come inserire: l’onboarding
Oltre all’attraction è necessario porre attenzione alla prima fase di vita lavorativa nell’organizzazione: l’inserimento dei neo-assunti, definito anche onboarding. Lo scopo è favorirne l’inserimento, aiutando a comprendere l’organizzazione, il funzionamento, la cultura, al fine di essere produttivi nei processi di lavoro nel minor tempo possibile. Il processo di inserimento può fallire se i neo-assunti non si sentiranno a proprio agio e non riusciranno a integrarsi e a sentirsi valorizzati. Il mancato inserimento può così provocare l’abbandono del posto di lavoro, recando perdite di tempo e di risorse per l’organizzazione.
Definire un processo di onboarding consente di creare le condizioni di lavoro per far sentire i dipendenti apprezzati e coinvolti, con il fine ultimo di valorizzarli, motivarli e renderli produttivi. Può essere utile organizzare un percorso più o meno lungo, definendo il ruolo che il neoassunto ricoprirà e l’impatto che avrà sull’amministrazione. Per questo motivo si può impostare un processo individuale centrato su: apprendimento delle attività da svolgere e degli obiettivi da raggiungere, comprensione delle dinamiche organizzative aziendali, costruzione delle relazioni con i colleghi. Come? Tramite attività quali: orientamento, affiancamento, formazione, tutoraggio, per garantire il massimo coinvolgimento del lavoratore. Molti gli strumenti pratici del settore privato che possono essere utilizzati nella PA: welcome on board, kit di benvenuto, incontri di presentazione degli “attori chiave” dell’amministrazione, percorsi di osservazione e affiancamento negli uffici. Con questi strumenti si accoglie il neo-assunto, si definisce il suo ruolo nell’organizzazione, si supporta nella conoscenza della macchina amministrativa, si crea empatia e motivazione.
Come trattenere: engagement e retention
L’engagement è la principale leva utilizzata dalle imprese private per trattenere talenti: il know-how interno è ritenuto essenziale per vincere le sfide del mercato ma anche per contenere il turnover e affrontare cambiamenti esterni e interni.
Come? La prima risposta potrebbe essere tramite la leva economica, che tuttavia non è più sufficiente a trattenere i dipendenti. Infatti, le imprese investono sempre di più tempo e budget per migliorare la soddisfazione e fidelizzare i propri talenti. Ricorrono a benefit non solo monetari, come lo smart working, i servizi di welfare e il supporto al work-life balance. Inoltre, investono in percorsi di crescita professionale e in programmi formativi.
Si tratta comunque di strategie e strumenti che assumono peso differente in base alla generazione di appartenenza. Per i Millennials formazione e sviluppo sono importanti opportunità di crescita personale. Da un punto di vista organizzativo, la formazione consente una competizione non solo economica e dà impulso alla crescita del capitale umano.
La retention, inoltre, si basa su: riconoscimento del merito e della prestazione espressa, valorizzazione delle competenze e della seniority, soddisfazione dei bisogni individuali. Anche l’ambiente di lavoro ha un’influenza determinante sull’impegno delle persone in azienda. Tutte possibili leve di gestione del personale da poter introdurre nella PA per trattenere il personale soprattutto tecnico e altamente qualificato.
Innovare la gestione del personale
Le politiche del personale nella PA presentano da alcuni anni un orientamento crescente allo sviluppo e alla valorizzazione delle competenze. Anche le recenti innovazioni normative hanno posto le basi per un cambiamento nelle procedure concorsuali, nelle carriere, nello sviluppo del personale, nella valorizzazione delle persone, nella valutazione delle competenze.
Se la gestione del personale è sempre stata concepita come una mera gestione amministrativa, nel tempo questa impostazione è stata modificata grazie all’integrazione di funzioni e attività ormai centrali: le relazioni sindacali, la valutazione, lo sviluppo e la formazione, il welfare aziendale, il performance management. In futuro altre leve potrebbero essere introdotte per incrementare il valore delle PA: la selezione, le strategie di carriera e retributive, la comunicazione interna, l’induction, l’onboarding e la retention, l’analisi delle competenze.
Questa auspicata evoluzione della direzione del personale nel settore pubblico è una strada da percorrere se si vuole dare reale linfa alla pubblica amministrazione.
Da qui l’idea di suggerire tips necessari per cambiare approccio nella gestione del personale:
- fare un’azione di marketing della PA non basata sul posto fisso ma sul ruolo del civil servant;
- innovare le procedure concorsuali, adottando un approccio basato sulla selezione dei migliori in base al profilo di competenze;
- costruire piani di induction, onboarding e retention;
- puntare su profili professionali tecnici e qualificati invece che su quelli amministrativi;
- mettere al centro le competenze.
Come direbbe lo scrittore inglese Clive Staples Lewis: “Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale”.