Per favore non ripartiamo da zero! Un elenco di cinque cose da tenere e cinque da buttare di questi tre anni e mezzo di riforma

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Chi legge quel che scrivo da vent’anni sa che dico sempre quel che penso e che ho raccontato con terzietà, a volte serena a volte arrabbiata, il bene ed il male di ormai quattordici governi. Mentre, quindi, mi accingo a conoscere con tenace speranza il quindicesimo Governo, mi sento libero di esprimere la mia perplessità di fronte al rischio di dover ricominciare ancora una volta daccapo e trovarmi di fronte all’ennesima riforma del secolo della PA, che fa tabula rasa di tutto quel che c’era prima. Non siamo all’anno zero e non possiamo permetterci di ricominciare da zero. Proviamo allora a fare un gioco e a indicare cinque cose da tenere, ma anche cinque cose da buttar giù dalla torre, nel processo di riforma di questi tre anni e mezzo. Comincio io…

14 Novembre 2011

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

Chiunque ha avuto l’avventura di leggere quel che scrivo da vent’anni sa che dico sempre quel che penso e che ho raccontato con terzietà, a volte serena a volte arrabbiata, il bene ed il male di ormai quattordici governi. Mentre quindi mi accingo a conoscere con tenace speranza il quindicesimo Governo, mi sento libero di esprimere la mia perplessità di fronte al rischio di dover ricominciare ancora una volta daccapo e trovarmi di fronte all’ennesima riforma del secolo della PA, che fa tabula rasa di tutto quel che c’era prima. Perché una volta tanto non proviamo a costruire su quel che abbiamo fatto in questi anni? Non siamo all’anno zero e non possiamo permetterci di ricominciare da zero. Proviamo allora a fare un gioco e a indicare cinque cose da tenere e cinque cose da buttar giù dalla torre nel processo di riforma di questi tre anni e mezzo.

Di quel che c’è da fare di nuovo abbiamo già parlato nell’editoriale mio e di Mauro Bonaretti della settimana scorsa che, senza sospettare l’accelerazione che avrebbero avuto gli eventi, disegnava quasi un programma, non epocale ma fattibile, della riforma della PA ad uso del prossimo governo. In questa stessa linea, sia pure con qualche differenza, si pongono le tesi della “Associazione Classi Dirigenti delle Pubbliche Amministrazioni” uscite dal loro decennale celebrato qualche giorno fa a Taormina. Di cose da fare subito riparleremo poi ancora dopo la chiusura del contest di idee “La tua idea per una PA migliore” [c’è tempo sino adomani per proporre la propria idea] e la divulgazione, in una pubblicazione dedicata, delle 100 idee più interessanti tra quelle che avete proposto.
Ma torniamo al nostro gioco della torre: ecco le mie dieci cose. Non entro in dettaglio perché appunto è quasi un gioco (ridentem dicere verum quid vetat ?[1], diceva però Orazio): tanto siete tutti di casa e abbiamo parlato così tante volte di questi concetti che mi si è seccata la lingua. Ovviamente le cose che terrei, così come quelle che butterei via sono ben di più, ma se non c’è la scelta che gioco è?

Quel che terrei

1.      La performance, la misurazione e la premialità: ossia il nucleo centrale del d.lgs 150/09. Per la prima volta in forma chiara e non fumosa queste parole sono entrate nella legislazione italiana. Vediamo di non farle uscire. Non hanno prodotto i frutti che speravamo? Attenzione a trarre da qui le conseguenze: ci troviamo di fronte al vizio ahimè ben noto (pensiamo alla legge Basaglia sui manicomi, tanto per dirne una) di mettere una riforma nella condizione di non funzionare e poi dichiarare che era sbagliata e velleitaria.

2.      La nuova concezione della trasparenza come “total disclosure”, dopo l’arroccamento difensivo che avevamo visto sul diritto all’accesso è stata una bella conquista. Ora abbiamo dati che solo qualche anno fa erano mistero assoluto: dalle auto blu ai permessi della L.104, dalle assenze agli stipendi e ai curricula dei dirigenti. Non è tutto, ma non è poco. Abbiamo poi definizioni coraggiose e direttive stringenti su quel che le amministrazioni devono pubblicare. Occhio a che siano applicate.

3.      La semplificazione amministrativa per le imprese. Non tutto è stato fatto, ma sono state intraprese strade nuove e nella giusta direzione: il principio di proporzionalità negli adempimenti amministrativi, la misurazione degli oneri, la politica dell’ascolto delle imprese (direi concertazione se non fosse diventata stupidamente una parolaccia) sono novità che non possiamo perdere. Certo si deve fare di più e meglio, ma non cambiamo strategia per favore.

4.      La responsabilità dei dirigenti indicata a chiare lettere nella riforma. Non è essere contro il sindacato dire che un dirigente deve poter valutare, deve poter organizzare le risorse spostando ruoli e compiti a secondo del suo giudizio e della sua professionalità, deve poter muoversi con la libertà (e con la responsabilità e gli obblighi) di un datore di lavoro. Certo dobbiamo essere vigili su come questi dirigenti sono scelti, ma anche lì mi pare che la via costituzionale dei concorsi e dei concorsi puliti sia quella indicata e anche l’unica praticabile.

5.      La digitalizzazione, i diritti digitali, le azioni, seppure appena iniziate, verso gli Open Data. Il nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale ha certo difetti, ma sancisce chiaramente dei diritti e delle condizioni perché siano fruibili. Le azioni di e-government intraprese non sono state di sistema purtroppo, ma hanno comunque indicato una strada: pensiamo solo ai milioni di certificati medici cartacei spediti per raccomandata in meno. Il portale www.dati.gov.it non arriva certo primo al mondo, ma è arrivato. Non ci fermiamo.

Quel che butterei giù dalla torre

1.      La considerazione che la riforma della PA serve a far cassa, piuttosto che a fare equità e sviluppo. Certo una PA riformata costa meno e fa di più, ma l’enfasi deve essere sempre sulla qualità e quantità dei servizi, sulla garanzia dei diritti, sulla capacità della PA di “governo con la rete” per orientare verso la crescita del benessere e del capitale sociale tutte le forze della società, interne ed esterne al perimetro pubblico.

2.      Il blocco del turn-over che ha impedito ai giovani di entrare nell’amministrazione rendendo impossibile una vera ventata d’innovazione e facendo dell’Italia la PA più vecchia del mondo.

3.      I tagli lineari sui fattori di successo dell’innovazione: limitare drasticamente la formazione, la comunicazione e la consulenza proprio quando è necessario un coraggioso reengineering della macchina pubblica è così stupido che non merita neanche di essere discusso.

4.      L’enfasi maggiore data, soprattutto nelle dichiarazioni, alla valutazione individuale rispetto a quella organizzativa che ha portato simbolicamente a preferire i tornelli piuttosto che la motivazione e che ha condotto ad una sostanziale sensazione di reciproca sfiducia tra la politica e i dipendenti pubblici. Le riforme possono essere fatte solo se ci si sente in squadra, se ci si alza la mattina per andare a lavorare avendo chiaro che si partecipa ad un’impresa comune, se la motivazione e il comune obiettivo, nella fiducia reciproca, diventa il leitmotiv di qualsiasi comunicazione, anche quella del ministro.

5.      Il blocco conservatore che si è coagulato, soprattutto ma non solo, attorno a Via XX settembre[2] (e in parte a Palazzo Chigi) e ha impedito in forma bizantina, con la scusa del risparmio, la reale attuazione di una riforma che non solo non sarebbe costata, ma avrebbe distribuito in modo più mirato le risorse.

Tanto altro andava fatto e non è stato fatto: a cominciare da una coraggiosa opera di innovazione istituzionale che portasse a tagliare rami secchi e a chiedersi ogni volta a che serve un’organizzazione pubblica e perché i cittadini la dovrebbero pagare. Ma questo è un altro gioco.

E ora a voi: quali sono le vostre cose da tenere e quali quelle da buttar giù dalla nostra torre?


[1] Cosa mai può impedire di dire la verità ridendo? Orazio, Satire, Libro I, 1, 24

[2] per i non romani a Via XX settembre c’è il Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha rifiutato per quasi due anni di essere coinvolto nel processo di riforma intrapreso con la L. 150/09.

 

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