Per una seconda fase degli Open Data in Italia*

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L’Open Data Day, celebrato a livello internazionale, è sicuramente l’occasione per una riflessione su quella che è stata in questi anni la via italiana agli Open Data e su quali siano le sfide da affrontare. Quella che possiamo chiamare, infatti, la prima fase degli Open Data è da considerare conclusa anche da noi. Una volta, parlando di questo processo, Tim Berners Lee scriveva che il percorso di liberazione degli Open Data deve partire dall’alto, dal livello intermedio e dal basso. Ed è quello che è successo negli ultimi tre anni anche in Italia.

20 Febbraio 2014

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Gianni Dominici

L’Open Data Day, celebrato a livello internazionale, è sicuramente l’occasione per una riflessione su quella che è stata in questi anni la via italiana agli Open Data e su quali siano le sfide da affrontare. Quella che possiamo chiamare, infatti, la prima fase degli Open Data è da considerare conclusa anche da noi. Una volta, parlando di questo processo, Tim Berners Lee scriveva che il percorso di liberazione degli Open Data deve partire dall’alto, dal livello intermedio e dal basso. Ed è quello che è successo negli ultimi tre anni anche in Italia[2].

Il livello più basso è quello che si è attivato prima con il sorgere di associazioni e di comunità che hanno sollecitato le prime iniziative e, soprattutto, contribuito al nascere di una cultura del dato aperto anche da noi. Fra le tante iniziative le più significative da citare sono sicuramente Gli Stati Generali dell’Innovazione[3] e la comunità di Spaghetti Open Data[4] così come l’Associazione Openpolis[5].

Il livello intermedio ha registrato il protagonismo soprattutto delle regioni come Piemonte, Emila Romagna e Veneto che a lungo hanno mantenuto la primogenitura tra gli enti locali intermedi. Importante, in quella fase, la discesa in campo di una grande azienda quale Enel[6] e, soprattutto, la presa di posizione del più grande e importante produttore di dati italiano: l’ISTAT[7][8].

Al terzo livello, infine, le azioni che provengono dal Top, come direbbe Berners-Lee, portate avanti a livello governativo, di carattere sia normativo sia operativo. Dal punto di vista normativo, come al solito, nel nostro paese non ci si è risparmiati producendo un framework complesso e, per alcuni tratti, contraddittorio[9]. Ma è dal punto di vista politico e operativo che la strada italiana agli open data è stata segnata in un primo momento da un’insolita vitalità che ha portato istituzioni, associazioni e parte politica (i rappresentanti dei tre livelli) a collaborare insieme. Una delle prime iniziative risale al marzo 2011 con il progetto MiaPA[10], che ha portato alla pubblicazione del primo database in formato aperto degli indirizzi della pubblica amministrazione (RubricaPA)[11] e alla definizione e alla diffusione della licenza Italian Open Data License v1.0[12] per la pubblicazione dei dati pubblici da parte delle diverse pubbliche amministrazioni

Ma è con il lancio di tre iniziative concrete e congiunte che si è dato un importante contributo alla causa degli open data in Italia[13]:

  • il portale dati.gov.it [14]il Portale dei dati aperti della PA, nato per consentire a cittadini, sviluppatori, imprese, associazioni di categoria e alle stesse pubbliche amministrazioni di pubblicare ed usufruire dei dati aperti della Pubblica Amministrazione. Partendo dalle esperienze già in corso, il portale è stato creato per valorizzare le esperienze esistenti così come per sensibilizzare e supportare le amministrazioni che ancora non hanno messo in cantiere iniziative specifiche;
  • la pubblicazione del Vademecum Open Data. Come rendere aperti i dati delle pubbliche amministrazioni, che si proponeva come il primo strumento per supportare operativamente le pubbliche amministrazioni nella pubblicazione dei loro dati[15];
  • il contest Apps4italy, un concorso aperto a cittadini, associazioni, comunità di sviluppatori e aziende per progettare soluzioni utili e interessanti basate sull’utilizzo di dati pubblici, capaci di mostrare a tutta la società il valore del patrimonio informativo pubblico. Il Contest è stato un esempio della collaborazione auspicata tra i diversi attori impegnati sui temi degli open data: nato dal basso, come idea di associazioni e singoli impegnati su questi temi, ha coinvolto nel suo percorso importanti istituzioni pubbliche e private diventando, nella sua forma presentata oggi al pubblico, un’importante iniziativa che lega il Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione agli altri attori attivi nei diversi territori[16].

Una partenza che, inevitabilmente, non poteva essere sostenuta da una cultura consapevole e diffusa all’interno della PA italiana. Una nostra indagine tra la community di FORUM PA (prevalentemente di dipendenti pubblici) lanciata nel febbraio 2012 registrava che solo il 7% ha una conoscenza approfondita del tema, appena il 28% buona, il 39% sufficiente e il 26% addirittura scarsa[17].

Un primo bilancio

Questi due anni passati dai primi vagiti dell’Open Data in Italia non sono trascorsi senza ulteriori novità. E’ cresciuto il numero delle amministrazioni coinvolte, si è rafforzata la struttura normativa[18] sono nate soluzioni innovative. Tra tutte, sicuramente una delle più interesanti è stata la presentazione del portale OpenCoesione, voluto fortemente dall’allora ministro Barca “è il primo portale sull’attuazione degli investimenti programmati nel ciclo 2007-2013 da Regioni e amministrazioni centrali dello Stato con le risorse per la coesione. I dati sono pubblicati perché i cittadini possano valutare se i progetti corrispondono ai loro bisogni e se le risorse vengono impegnate in modo efficace”. Ma, appunto, OpenCoesione rappresenta una eccezione rispetto alla maggior parte delle iniziative portate aventi in questi anni[19]. Volendo fare un primo bilancio due sono gli aspetti su cui probabilmente conviene riflettere.

Il prevalere di una cultura della trasparenza statica. Per molte amministrazioni la pubblicazione dei dati viene vissuta come un’ulteriore incombenza piuttosto che un’opportunità, anche i database pubblicati spesso non rispondono ad una necessità o una domanda specifica ma una mera logica di opportunità o disponibilità. La disomogenea diffusione territoriale delle iniziative. La mappa pubblicata nel portale dati.gov.it è eloquente[20]: gran parte dei data store italiani sono al centro-nord e le cartina che ci viene restituita è quella di un Italia divisa in due che ben conosciamo[21]. Esiste dunque una questione meridionale con gli Open Data? Non esattamente, esiste un problema, grave, in assoluto, sulla capacità di innovare (dal punto di vista organizzativo, procedurale e tecnologico) nel SUD del nostro paese. Se passiamo dai dati aperti al tema più complessivo delle Smart City i risultati sono gli stessi. La seconda edizione del nostro studio ICity Rate[22] ha confermato le tendenze in atto: tra le città capoluogo di provincia la prima città del SUD che appare in classifica è Cagliari che registra il 47°posto in assoluto e raccoglie 375 punti contro i 515 della capolista Trento[23].

E’ evidente che manchi qualcosa. In nessun altro paese il dibattito e la prassi sugli Open Data sono stati relegati nell’angusto spazio del dibattito normativo, ad una dialettica tra adempimenti e la loro evasione.

Il futuro del governo

I diversi processi di innovazione in corso che investono la maggior parte delle pubbliche amministrazioni non possono essere ridotti a mero esercizio tecnologico o, peggio ancora, normativo ma devono essere ricondotti alla più ampia riflessione su quali saranno le forme istituzionali ed organizzative più idonee ad affrontare le sfide. La crisi che stiamo vivendo non è limitata ai processi in corso ma anche ai modelli e agli approcci fino ad oggi utilizzati. Questa considerazione vale ancora di più per la Pubblica Amministrazione che si trova sempre meno risorse (di natura finanziaria ma anche organizzativa e culturale) per affrontare sfide e problemi di natura sociale, economica e culturale sempre più complessi e articolati.

Per questo motivo in gran parte dei paesi occidentali si stanno sperimentando e imponendo nuovi modi di intendere il governo e la pubblica amministrazione e, soprattutto, il rapporto tra la PA e i cittadini governati[24].

Secondo l’enfasi e la centralità accordati ad un aspetto piuttosto che ad un altro, possiamo parlare di innovazione sociale, governo della rete, innovazione civica, innovazione empatica, sharing economy o open government (solo per citarne alcuni).

Differenti approcci che però condividono importanti dimensioni in comune:

  • priorità ai valori sociali
  • visione sistemica
  • centralità ai beni relazionali
  • coesione sociale
  • attenzione per i beni comuni
  • importanza del capitale sociale
  • ritrovata centralità della dimensione “comunità” e territori

Le difficoltà nel nostro paese nell’adottare nuovi modelli operativi è il prevalere di una cultura di governo che segue la logica bipolare tipica di un’amministrazione autoritaria che parte dal presupposto che le amministrazioni hanno il monopolio del bene pubblico e i cittadini, nei diversi ruoli di utenti, pazienti, clienti o assistiti, ne sono i semplici destinatari.

Il superamento di questa logica e l’adozione di una prospettiva che veda i cittadini portatori non solo di bisogni ma anche di competenze, apre la strada a nuove forme di collaborazione, all’applicazione di quel principio di sussidiarietà che tramite la partecipazione civica crea valore pubblico.

Nascono cosi, per ora prevalentemente a livello sperimentale nel nostro paese, nuove forme di relazioni pubblico- privato basate sul crowdsourcing, sul co-design e sulla condivisione. Un’attività di sperimentazione che nasce soprattutto dal basso, nelle città, da sempre luoghi deputati all’innovazione e dimensione istituzionale più prossima nei rapporti con i cittadini.

Oltre la trasparenza

In questo contesto la trasparenza non è una concessione che arriva dall’alto ma è la sostanza stessa del rapporto di fiducia instaurato tra cittadini e politica e tra cittadini e amministrazione. E’ il presupposto per il sostegno alla definzione di una cittadinanza attiva e partecipata.

I dati sono un bene pubblico la cui disponibilità in termini di Accessibilità, Autenticità e Accuratezza deve essere garantita ma il loro vero valore discende dall’uso che se ne fa, dal processo di appropriazione sociale[25]. Il civic hacking diventa quindi un processo sociale in grado di produrre innovazione civica. Le cinque stelle di Tim Berners Lee sono state da tempo affiancate da quelle di Tim Davies[26] il cui tentativo è stato di “contestualizzare” più possibile il processo di liberazione dei dati. Un processo che presuppone una totale inversione di prospettiva: i cittadini non sono meri destinatari dell’intervento pubblico ma ne sono parte costituente. La partecipazione civica nella creazione di valore pubblico diventa la finalità principale da abilitare e rafforzare alimentando processi di trasparenza e partecipazione.

Da questa prospettiva, le iniziative di Open Data possono essere riconsiderate proprio sulla base del loro esplicito obiettivo di coinvolgere i cittadini[27] nella soluzione di problemi condivisi. In prima istanza, e senza pretesa di esaustività, si può ipotizzare una scale a quattro livelli.

I quattro step dell’Open Government Data Engagement [28]

Normativo

Informativo

Collaborativo

Abilitante

I dati vengono liberati prevalentemente per adempiere ad una norma

I dati vengono liberati all’interno di un contesto abilitante come un portale di dati

I dati vengono rappresentati tramite applicazioni specifiche pensando ad un coinvolgimento diffuso. Il rilascio dei dati si inserisce in un contesto collaborativo   finalizzato al soddisfacimento dei bisogni primari delle famiglie e delle imprese

 

I dati e dli strumenti operativi sono rilasciati per e insieme ai cittadini e agli attori locali (imprese, istituzioni locali) al fine di costruire nuovi servizi innovativi e innovare quelli esistentii

 

La cultura prevalente è la PA verticale basata sulle procedure

La cultura prevalente è quella e-gvovernment

La cultura prevalente è quella della trasparenza dinamica, dell’opengovernment e della cittadinanza attiva

La PA condivisia , adottando in pieno il paradigma dell’opengovernment. Si realizzi il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale, favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale

 

I cittadini sostanzialmente non sono convolti e si crea rischio di Digital DIvide

Il pubblico principale è composto prevalentemente da Hacker, Data Journalist, Watchdogs

Vengono raccolti i feedback dei cittadini, viene incentivata la partecipazione il monitoraggio sui dati. Si sostiene la creazione di community

Vengono coinvolti in tutte le fasi: dall’analisi dei bisogni alla manutenzione del dato, al codesign dei servizi. Nuove forme di partecipazione alle decisioni e al controllo dei loro effetti nella comunità

Sezione valutazione trasparenza e merito del decreto trasparenza

 

I portali dati.dov regionali e metropolitani

Openmunicipio, E-part, Monithon. A scuola di Open Coesione

 

 

Browse, Search, , Extract, Download, Collecting Data, Data Divide

Visualize, Contextualise, Report

Filter data, Combine Data, Community, API, Inclusion, Connecting Data, Apps, Infographics

Co-design, Empowerment, Enabling State, Co-governance, Civic Innovation, Data Driven decision

Il senso della riflessione è decisamente semplice: fino ad oggi molti processi innovativi nella PA (dal punto di vista tecnologico, istituzionale e organizzativo) sono stati comunque inseriti in un contesto dato, caratterizzato e definito da una pubblica amministrazione burocratica e gerarchica che per molti anni ha interpretato il proprio ruolo operando come monopolista del bene pubblico. Questo contesto ha spesso ridotto importanti fattori innovativi a pure norme da osservare in una logica attenta alle procedure piuttosto che agli obiettivi.

Il rischio che un movimento, un’innovazione, un processo come quello degli Open Data subisca la stessa sorte è fortissimo soprattutto se lasciato nelle mani dei giuristi e degli amministrativisti. In questi ultimi anni in Italia si è fatto abbastanza ma non a sufficienza puntando troppo su una logica di mera liberazione del dato e troppo poco sulla diffusione della cultura che ne ne dovrebbe essere alla base. La scorsa settimana abbiamo ripetuto tra la nostra community un’indagine che lanciammo esattamente due anni fa finalizzata a capire quali siano stati in questi mesi i cambiamenti di atteggiamento nei confronti degli Open Data. I risultati, però, dimostrano che ci stiamo muovendo troppo lentamente. Ad esempio alla domanda “Come definirebbe la sua conoscenza degli Open Data” nel 2012 riposero scarsa o sufficente il 65,7% dei rispondenti, nel 2014 tale percentuale è scesa si, al 58,6% ,ma probabilmente non quanto ci avremmo potuto aspettare. Quando invece abbiamo chiesto in quale fase l’Italia fosse nell diffusione degli Open Data questi sono stati i risultati nei due anni di confronto : Discussione e approfondimento (per il 29,6% nel 2012 e 29,8% nel 2014), di sperimentazione in alcune realtà (per il 52,4% nel 2012 e per il 58,3 nel 2014),di progressiva applicazione (8,6% nel 2012 e 8,1% nel 2014). L’unico aspetto positivo, la diffusa consapevolezza che stanno aumentando le esperienze di iberazione dei dati. Alla domanda se gli intervistati erano a conoscenza di amministrazioni che hanno liberato i dati, in due anni i “sì” sono passati dal 30 al 51%. [qui tutti i risultati]

E’ urgente, quindi, l’avvio di una seconda fase. Dopo il consolidamento delle esperienze accumulate, bisogna immaginare e definire nuovi obiettivi che vadano oltre il principio della trasparenza fine a se stessa ma che siano finalizzati a sostenere il cambiamento per una nuova pubblica amministrazione in cui il cittadino, i suoi bisogni, ma anche le sue competenze informino di se tutta l’azione pubblica. L’Open Data Engagement ben interpreta questa esigenza creando nuovi spazi e strumenti di collaborazione tra le diverse parti in campo. E’ evidente che, alzando l’asticella degli obiettivi da raggiungere, si sollevano nuove questioni legate alle capacità dei diversi attori in campo (cittadini, associazioni e PA) di raccogliere la sfida.

Il rischio, quando si parla di innovazione è di creare nuove forme di esclusione sociale o, comunque, delle azioni abilitanti un ristretto numero di persone e cioé di “empowers the already empowered”[29]. Promuovere il coinvolgimento dei cittadini significa quindi far ricorso ad azioni attive a cominciare dalla formazione e dal coinvolgimento delle giovani generazioni con iniziative come “A scuola di Open Coesione[30] che dimostrano la giusta sensibilità e il giusto approccio istituzionale nel sostenere la partecipazione.

Le competenza, in Italia, ci sono così come un patrimonio di energie vitali che sta portando avanti sperimentazioni di grande valore. Per non disperdere il capitale accumulato e non perdere anche questa partita con gli altri paesi è necessario però che anche la politica faccia, finalmente, il suo mestiere dando forza e sostegno a un processo che può diventare determinante nel riavvicinare i cittadini alla vita politica e civica del nostro paese.


NOTE

 

* Il presente articolo riprende e ampia uno da me scritto in occasione del lancio delle iniziative italiane di Open Data. Gianni Dominici, Open Government e Open Data, la prospettiva e la speranza italiana, Smart Innovation, 17 ottobre 2011. Alla revisione del testo hanno partecipato Vittorio Alvino e Vincenzo Patruno che mi hanno dato preziosi suggerimenti. La responsabilità di quanto affermato rimane, ovviamente, la mia.

[2] Open Data Study, in Open Society Foundation, Maggio 2010.

[3] Gli Stati Generali dell’innovazione “sono nati per iniziativa di alcune associazioni, movimenti, aziende e cittadini convinti che le migliori opportunità di crescita per il nostro Paese sono offerte dalla creatività dei giovani, dal riconoscimento del merito, dall’abbattimento del digital divide, dal rinnovamento dello Stato attraverso l’Open Government”.

[4] Spaghetti Open Data si autorappresenta così: “Siamo un gruppo di cittadini italiani interessati al rilascio di dati pubblici in formato aperto, in modo da renderne facile l’accesso e il riuso (open data). Ci sembra che questa pratica sia utile per alimentare la discussione sulle scelte che ci attendono; rendendo facilmente accessibili informazioni di qualità alta, contribuirà a renderla più razionale, allargata e fondata sui dati. Con tutti i suoi difetti, la nostra democrazia è un grandissimo dono che ci hanno fatto le generazioni passate: il minimo che possiamo fare, tutti insieme, è cercare di averne cura.”

[5] Associazione Openpolis: “Colleghiamo i dati per fare trasparenza, li distribuiamo per innescare partecipazione, strumenti liberi e gratuiti per aprire la politica.”

[6] Enel si converte all’open data e pubblica tutti i suoi dati in formato aperto, in Saperi PA, 20 settembre 2011.

[7] Chiara Buongiovanni e Tommaso Del Lungo, Enrico Giovannini, ISTAT su Open data Italia, Smart Innovation, 20 ottobre 2011.

[8] Tra le esperienze più significative della prima fase di liberazione degli Open Data segnaliamo l’esperienza dellaCamera dei Deputati e delCnr, oltre a diverse amministrazioni locali (tra cuiRegione Piemonte, Regione Emilia-Romagna,Regione Veneto,Comune di Udine,Comune di Firenze)

[9] Solo per citare alcuni interventi alla data del 2010:

  l’ Art. 21 della legge 69/2009 (trasparenza dei curricula e degli stipendi);

  l’ Art. 11 del d.lgs 150/2009 (la sezione trasparenza valutazione e merito sui siti pubblici);

  la Delibera n.105/2010 della Civit (la trasparenza dinamica e l’elenco dei dati che le amministrazioni devono esporre sui loro siti);

  l’ Art. 52 comma 1-bis del Codice dell’Amministrazione Digitale, d.lgs 82/05 e d.lgs 235/2010 (promozione della diffusione e dell’utilizzo dei dati, obbligo di esporre i dati in formato aperto);

  le Linee Guida per i Siti Web della PA – 2011 (è lo strumento per il miglioramento continuo della qualità dei siti web pubblici e specifica le caratteristiche dei dati aperti);

  le Linee Guida per la stesura di convenzioni per la fruibilità di dati delle pubbliche amministrazioni – art. 58 comma 2 del CAD (indicano le modalità per consentire la fruibilità dei dati fra amministrazioni).

[10] Il progetto MiaPA fu proposto dal Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, insieme a Formez e FORUM PA. Per un approfondimento confronta MiaPA e il social check-in nella Pubblica Amministrazione, Saperi PA, 26 febbraio 2011.

[11] http://www.lineaamica.gov.it/rubricapa/

[12] Vedi l’intervento di Salvatore Marras, Italian Open Data License, un licenza per i dati pubblici italiani, Saperi PA, 10 maggio 2011

[13] Vincenzo Patruno, Open Data, Italy has awoken, The Open Knowledge Foundation, novembre 2011.

[15] Il Vademecum è scaricabile dal sito del Formez PA

[16] ForumPA: Il premio Apps4Italy intitolato a Melissa Bassi e alle vittime dell’attentato di Brindisi, Saperi PA, 19 maggio 2012. Vedi anche Webinar Dati aperti per usi intelligenti: parte il contest Apps4Italy!, Saperi PA, 19 maggio 2012. Una recente riflessione di quell’esperienza la trovate su Apps4Italy: dove sono le startup premiate nel 2012?, Wired.it. Febbraio 2014

[17] Michela Stentella, PanelPA "Open data: l’Italia s’è desta?", Saperi PA, 2 marzo 2012

[18] Tra tutti il più importante è l’introduzione anche in Italia del principio ‘open by default’, effetto della conversione in legge dell’Art. 9 del Decreto Legge 18 ottobre 2012 n. 179 che modifica l’art.52 del Codice dell’Amministrazione Digitale.

[19] Sicuramente un altro esempio interessante è legato alla comunità che si è creata in Italia, grazie soprattutto all’impegno di Maurizio Napolitano e Simone Cortesi, intorno al progetto internazionale di http://www.openstreetmap.org “OpenStreetMap è una mappa del mondo, creata da persone come te e libera di utilizzare sotto licenza aperta.” Infine, come, esempio di eccellenza il lavoro svolto con “La bussola della trasparenza” della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[20] Confronta “Dove sono i data store italiani?” su dati.gov.it

[21] A fronte del problema complessivo fanno ben sperare le recenti esperienze di Matera,Palermo eBari

[22] Gianni Dominici e Marta Pieroni, ICity Rate. La classifica delle città intelligenti italiane, FORUM PA edizioni, 2013

[23] Il problema è un po’ di sempre: anche la tua fase delle reti civiche e dell’egovernment ha registrato, in Italia, un sostanziale affanno dei territori del SUD vedi, tra gli altri, Gianni Dominici e Marta Pieroni, Le città digitali in Italia, 9° Rapporto, Franco Angeli, Mialno 2007

[24] Solo per fare un esempio il 6 febbraio scorso siamo stai invitati a Bruxelles al workshop “Public Services for Businesses: recipes for supporting growth”, in quella occasione da parte della commissione europea è stato distribuito il draft di "A vision for public services, with the aim of outlining the long-term vision for a modern and open public sector and the way public services may be delivered in an open government setting (enabled by ICT), i.e. how public services may be created and delivered seamlessly to any citizen and business at any moment of time.”

[25] “Open government data is a sort of civic capital, a raw material that can be transformed like a diamond in the rough into something far different ana much more powerful” in Joshua Tauberer, Open Government Data, Edizione Kindle, 2012, posizione 763

[26] Le cinque stelle di Tim Davies sono:

★ Be demand driven

★ ★ Put data in context 

★ ★ ★ Support conversation around data 

★ ★ ★ ★ Build capacity, skills and networks 

★ ★ ★ ★ ★ Collaborate on data as a common resource 

[27] Interessante a sostegno di questo approccio: Brett Goldstein e Lauren Dyson, Beyond Transparency, Open Data and the Future of Civic Innovation, Code for America Press, San Francisco, CA, 2013. Il libro raccoglie una serie di contributi di progetti di Open Data in ambito urbano e viene così introdotto: “It seeks to move beyond the rhetoric of transparency for transparency’s sake and towards action and problem solving. Through these stories, we examine what is needed to build an ecosystem in which open data can become the raw materials to drive            more effective decision-making and efficient service delivery, spu economy activity, and empower citizens to take an active role in improving their own communiities”                            

[28] Come tutti i modelli si stratta di una esemplificazione di una realtà complessa che però può essere utile per meglio capire le diverse sfaccettature dei processi in corso. Nei prossimi mesi proveremo ad applicare il modello alle diverse esperienze italiane per poi proporre una riflessione ad un convegno di confronto nel corso del prossimo FORUM PA

[29] Gurstein, M. Open data: Empowering the empowered or effective data use for everyone? First Monday, 16(2) 2011                                

[30] A Scuola di Open Coesione

 

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