Verso i CUP 2.0, la sanità che si avvicina ai bisogni dei cittadini

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Nella Regione Lazio l’80 % delle prescrizioni specialistiche (con
l’esclusione di quelle relative al laboratorio di analisi) riportano una
prestazione a ricetta. Questo vuol dire che attraverso meccanismi automatici,
con la ricetta dematerializzata, si potrebbe far giungere la prenotazione al
cittadino nel momento stesso in cui la ricetta è emessa, magari quando ancora
si trova allo studio del medico

5 Febbraio 2016

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Lorenzo Sornaga, Responsabile Area progettuale Sanità, Sistemi centrali di accesso, LAit

La quantità di informazioni sanitarie a disposizione delle regioni, aziende sanitarie e aziende ospedaliere, è sicuramente uno dei patrimoni informativi più ampi e complessi che ci sia nel nostro paese.

La sensazione, che sempre più avvolge chi sui temi dell’innovazione in sanità lavora quotidianamente, è che non li stiamo utilizzando fino in fondo e che soprattutto, dovendo rincorrere le finalità originarie di un dato, non si riesca a cogliere fino in fondo il valore “indotto” dello stesso (privacy rispettando/permettendo).

La ricetta dematerializzata, è stata vissuta (è vissuta?) più come un adempimento, tra gli altri richiesti dal Ministero dell’Economia (neanche da quello della Salute), che non come una grande opportunità di trasformazione che apre una nuova fase per l’innovazione in Sanità nel nostro paese. Con la dematerializzazione i dati contenuti nelle ricette sono a disposizione del SSN prima che il cittadino decida che cosa fare e dove andare. Possiamo fare in modo che in diversi modi e in diversi ambiti il sistema sanitario “agisca” prima ancora che il cittadino esca dallo studio o dall’ambulatorio dove è stata “digitata” la prescrizione.

Se si pensa ad una prescrizione farmaceutica, ad esempio, specialmente nei casi di ricette ripetute per una patologia cronica, il paziente, avendo preventivamente acquisiti i consensi, potrebbe ritrovarsi il farmaco pronto sul banco della farmacia da lui scelta o, meglio direttamente a casa.

Un altro caso di trasformazione importante è quello relativo alla ricetta dematerializzata specialistica. Il fatto che il SSN possa sapere prima quali prestazioni debbano essere erogate, apre nuovi scenari in relazione all’ informatizzazione del processo di prenotazione delle visite specialistiche e fa sorgere spontanea la domanda: “i CUP servono ancora? ”.

La risposta si può dare solo dopo aver definito i nuovi processi organizzativi che si mettono in campo con la ricetta dematerializzata.

È evidente che la ricetta dematerializzata può produrre un “avvicinamento” fra il momento della prescrizione e il momento della prenotazione. L’obbiettivo innovativo, la vera sfida che abbiamo davanti, dovrebbe essere quello di rendere questo intervallo tendente a zero.

Nella Regione Lazio l’80 % delle prescrizioni specialistiche (con l’esclusione di quelle relative al laboratorio di analisi) riportano una prestazione a ricetta. Questo vuol dire che attraverso meccanismi automatici, con la ricetta dematerializzata, si potrebbe far giungere la prenotazione al cittadino nel momento stesso in cui la ricetta è emessa, magari quando ancora si trova allo studio del medico. Questo è possibile perché in casi “semplici“ il fattore umano relativo all’interpretazione delle ricette e delle agende è nullo.

Cosa dobbiamo attuare per raggiungere questo obbiettivo? Per prima cosa dobbiamo fare in modo che vi sia una precisa e netta distinzione nelle agende che sono definite nei CUP. Dobbiamo distinguere fra quello che è primo accesso e quelli che sono gli accessi successivi. La sempre più crescente necessità di gestione dei pazienti attraverso i PDTA, pone inevitabilmente, per questi casi, il momento della prenotazione a carico del “caregiver”. Per seconda cosa dobbiamo applicare in maniera stringente “le classi di priorità” al momento della prescrizione. La definizione di regole aiuta “il sistema” informatico a comprendere qual è il set di agende a cui attingere e a proporre al cittadino l’appuntamento corretto (possibilmente anche nel rispetto degli ambiti di competenza e dei tempi di attesa).

Altro importante elemento è quello del “linguaggio”, della codifica: dobbiamo fare in modo che ci sia una unicità fra ciò che viene scritto sulle ricette dai medici prescrittori e ciò che viene definito come erogabile dalle agende dei CUP. Questo è possibile attraverso la definizione di quello che abbiamo chiamato, il Catalogo del Prescrivibile.

L’elemento del linguaggio comune è un’altra delle grandi sfide di questo momento della sanità digitale. Infatti, la creazione di “reti” aiuta la comunicazione e lo scambio di informazioni, ma per essere realmente interoperabili, abbiamo la necessità di parlare tutti la stessa lingua.

Questo modello può funzionare se, a tutto quello già detto, si aggiungono due attori importanti: il primo è di carattere tecnologico ed è il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE); il secondo sono invece i Medici di Famiglia (MMG/PLS).

Il FSE è la piattaforma abilitante per la realizzazione di quanto precedentemente descritto, soprattutto in termini di consenso e di possibilità di utilizzare il dato contenuto all’interno della ricetta. Il FSE non è da intendere con un “distributore” di documenti, ma come un sistema “vivo” che evolve nei suoi stati a seconda del percorso assistenziale del cittadino.

L’altro grande vantaggio dell’introduzione della ricetta dematerializzata, in combinazione con il FSE, è che si può pensare di anticipare il controllo dell’“appropriatezza prescrittiva”, che allo stato attuale viene effettuato solo alla fine del processo (quando il farmaco è stato venduto o la prestazione specialistica è stata erogata). Anticipandolo, diventa uno strumento che aiuta/facilita il lavoro del medico (in particolar modo quello di base), quindi cambiando la missione del controllo stesso, che in alcuni casi è prettamente sanzionatorio, ma trasformandolo in uno strumento che aiuta il medico nel momento della prescrizione (nel caso dei farmaci, effettuando anche dei controlli con i principi attivi dei farmaci precedentemente prescritti).

Il medico di famiglia deve diventare il vero regista di questo processo. Un processo che i medici non devono subire, ma che invece nasce dall’imprescindibile centralità che devono tornare ad avere i nostri medici di base. Loro devono essere i veri registi della salute del cittadino. Loro devono essere gli effettivi garanti del rispetto dei tempi e dei percorsi, perché loro sono i protagonisti del cambiamento che deve essere messo in campo, perché loro interagiscono, delle volte anche tutti giorni, con i loro assistiti.

Ritornando quindi alla domanda inziale “i CUP servono ancora?”, la risposta è ovviamente sì, ma sicuramente non quelli che abbiamo adesso nelle aziende e nelle regioni. I CUP 2.0, saranno più strutture di controllo e di verifica degli indirizzi ricevuti (anche in relazione ai tempi di attesa) e sempre meno front-end per i cittadini. Questa parte tenderà a essere sempre più residuale.

Il processo di dematerializzazione della prescrizione può portare alla semplificazione dei processi, alla riduzione dei costi, ma soprattutto a rendere la sanità più vicina ai bisogni dei cittadini.

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