Ripensare la città a partire dal lavoro: così il Comune di Milano vuole rispondere alla crisi

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Ora che la città comincia davvero a fare i conti con la (prevedibile) crisi conseguente alla pandemia da Covid-19, quali azioni sta mettendo in piedi l’amministrazione comunale per immaginare il futuro nel post-emergenza? Ne abbiamo parlato con Cristina Tajani, Assessora a Politiche del lavoro, Attività produttive, Commercio e Risorse umane

11 Settembre 2020

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Michela Stentella

Content Manager FPA

Photo by AC Almelor on Unsplash - https://unsplash.com/photos/ZXfL1btjbsU

Un Patto per il Lavoro, che metta insieme istituzioni, imprese e sindacati; un piano di rientro dei dipendenti comunali, che vedrà un mix tra smart working e lavoro in presenza; una serie di progettualità e di azioni per “reinventare la città” secondo la logica della “città a 15 minuti”. Queste le principali azioni che l’amministrazione comunale di Milano sta mettendo in piedi per immaginare il futuro nel post-emergenza, in una realtà urbana che comincia ora davvero a fare i conti con la (prevedibile) crisi conseguente alla pandemia da Covid-19. Qualche numero, uscito proprio in questi giorni, parla di un tasso di disoccupazione al 7,2 per cento, contro il 5,9 per cento pre-Covid e di una disponibilità record di stanze in affitto: +290% rispetto a 12 mesi fa (secondo i dati del centro studi di Immobiliare.it).

Il Covid-19 ha stravolto il tessuto economico, colpendo soprattutto bar, negozi e ristoranti del centro, come ha ricordato in questi giorni il sindaco di Milano, Beppe Sala, in alcune dichiarazioni alla stampa. L’effetto sarebbe riconducibile sia all’assenza dei turisti che dei lavoratori negli uffici. E come ha sottolineato, sempre nei giorni scorsi, Cristina Tajani, Assessora a Politiche del lavoro, Attività produttive, Commercio e Risorse umane “c’è il ceto medio che rischia di scivolare nella fascia del bisogno e dell’assistenza, e c’è chi già si muoveva in un’area grigia, destinato a diventare sempre più invisibile, fuori dal perimetro di ogni tutela”.

Proprio con l’Assessora Tajani abbiamo affrontato questi temi nel corso di un’intervista, una parte della quale in onda oggi nel corso della seconda puntata di “Sulle tracce dell’innovazione”, la nostra rubrica del venerdì mattina.

Assessora Tajani, ci siamo sentiti già in occasione del FORUM PA di luglio, all’interno dell’appuntamento dedicato alle città resilienti, proprio per confrontarci sulle strategie di reazione all’emergenza. Ora stiamo cominciando davvero a fare i conti con gli effetti economici della pandemia. Come si può reagire a questa situazione ed è possibile ripensare e immaginare un nuovo modello di sviluppo proprio a partire da questa crisi? 

È necessario unire le forze, perché l’istituzione da sola non ce la può fare, si rende necessario dunque il coordinamento con gli attori economici. Ecco perché qualche giorno fa come Comune abbiamo lanciato una proposta a tutte le forze produttive della città – organizzazioni datoriali, organizzazioni sindacali, mondo della formazione e della formazione professionale – per costruire un’alleanza per il lavoro. Si tratta di un meccanismo coordinato tra gli attori rilevanti in città, che possa produrre forme di reinserimento lavorativo tramite una formazione professionale adeguata, forme di tutela per i lavoratori più fragili nei settori più esposti (penso ai servizi alla persona, a turismo e ristorazione), idee e meccanismi innovativi per l’emersione di quel lavoro nero che purtroppo anche in un contesto avanzato come la città di Milano è ancora presente. Un meccanismo che consenta di tornare a scommettere su produzioni e settori capaci di generare lavoro buono, per esempio guardando alla manifattura anche in chiave digitale, alle biotecnologie, alle scienze della vita. Immaginiamo anche il coinvolgimento di AFOL, che è la nostra Agenzia metropolitana per la formazione e il lavoro, per attrarre finanziamenti su questo percorso, con risorse già esistenti e anche con le risorse del Recovey Fund.

C’è grande aspettativa sull’utilizzo dei fondi che arriveranno nel nostro Paese grazie al Recovery Plan. Secondo lei sarà l’occasione per un rilancio delle città e dei territori?

Sarebbe veramente un’occasione persa se non fosse così. So che le città metropolitane, attraverso il loro coordinamento e attraverso Anci, hanno avanzato al governo la richiesta di essere coinvolte nella scelta della destinazione di questi fondi. In questo senso, io penso che gli investimenti infrastrutturali siano fondamentali, perché pongono le basi per un ulteriore sviluppo, e spesso le infrastrutture, sia di trasporto che digitali, riguardano preminentemente le aree metropolitane. È quindi necessario che il governo ascolti e si coordini con le nostre città, su temi come trasporti, sostenibilità, infrastrutture digitali, ovvero quei temi che possono accompagnare una ripresa anche produttiva utile per i nostri territori.

Lei ha recentemente annunciato che resterà in smart working (a rotazione) la metà dei dipendenti del Comune di Milano, mentre il 50% tornerà in sede. Commentando questa scelta lei ha detto che avremo “più smart working e meno home working”. Non si tratta quindi di un passo indietro, ma di un diverso approccio al tema?

Il Comune di Milano ha messo in campo un piano di rientro articolato. Certamente lo smart working ci accompagnerà anche dopo che l’emergenza sanitaria sarà risolta, l’importante è trovare un mix adeguato che consenta di evitare l’isolamento dei lavoratori e lo svuotamento delle città e ponga rimedi a difficoltà anche di natura organizzativa. Premesso che la difficoltà degli esercizi commerciali del centro è dovuta non allo smart working, ma alla crisi sanitaria, noi abbiamo previsto, come ricordava nella sua domanda, che la metà dei dipendenti comunali prosegua il lavoro da remoto (ovviamente tra quelli che possono svolgere le proprie mansioni in modalità agile), con una logica di rotazione. Ma non c’è solo lo smart working, abbiamo anche abilitato politiche di flessibilità oraria per cui i nostri dipendenti potranno accedere agli uffici fino alle 11,30 per decongestionare le ore di punta. Infine, stiamo avviando una campagna massiccia di screening sierologici e vaccini antinfluenzali gratuiti.

Che impatto vi aspettate da queste scelte e pensate come amministrazione di monitorare i risultati per rivedere eventualmente il tiro?

Per quanto riguarda i risultati dello smart working, nei mesi del lockdown abbiamo sottoposto una survey a circa 8mila dipendenti del Comune, con riscontri molto positivi. Ora, insieme al Politecnico di Milano, abbiamo costruito un modello che consenta di incrociare i dati dei flussi degli spostamenti dei cittadini, per esempio sui mezzi pubblici, con i dati forniti dalle aziende sulla presenza dei lavoratori negli uffici, in modo da poter costruire cruscotti per monitorare flussi e presenze. Per chiudere sullo smart working vorrei tornare sulla differenza rispetto all’home working, oltretutto forzato, che abbiamo vissuto in questi mesi, e vorrei ricordare ad esempio che oggi a Milano ci sono oltre 100 spazi di coworking. Si tratta di realtà economiche proprio a servizio di una nuova idea di organizzazione del lavoro. Tra l’altro, abbiamo accolto la proposta di una rete di coworking di promuovere un tavolo di lavoro tra loro e l’amministrazione comunale per stabilire quali sono le procedure di sicurezza da seguire per lavorare in questi spazi, accompagnando quindi come istituzione questi luoghi nella nuova fase.

In definitiva, si tratta non solo di rispondere a un’emergenza, ma di ripensare la città sotto diversi aspetti. Le stesse scelte in materia di smart working, lo sappiamo, sono scelte che impattano non solo sulla vita individuale, ma sull’identità stessa della città, sulla vita nei quartieri, sull’economia, sugli spostamenti, sulla qualità dell’aria, anche sui rapporti sociali.

Il pensiero strategico rispetto al “ripensare la città” è alla base del documento “Milano 2020, strategie di adattamento”, il contributo che la giunta ha voluto dare nella discussione con la città sull’idea di una ripresa verso una “nuova normalità”. Abbiamo focalizzato l’attenzione su due dimensioni: lo spazio e il tempo. Lo spazio, quindi come re-immaginare i quartieri e i territori che compongono la metropoli basandoci sull’idea di una città vivibile a 15 minuti a piedi, mutuando suggestioni che la città di Parigi e altre metropoli stanno già mettendo in campo. L’idea è quella di una metropoli che possa avere servizi accessibili ai cittadini nell’arco di uno spazio ridotto, il che significa una dislocazione diversa dei servizi pubblici ma anche un’idea diversa delle attività commerciali, con una grande enfasi sui negozi di quartiere, di vicinato, di prossimità. Questa idea ritorna anche in altri programmi che abbiamo implementato, per esempio la riqualificazione dei mercati comunali coperti come spazi ibridi non solo di commercio, ma di intrattenimento e cultura e socialità, ciascuno a servizio di un quartiere; il sostegno alle attività commerciali di vicinato tramite bandi e iniziative di finanziamento per chi apre una vetrina su strada e investe sul tema della prossimità e dell’animazione dei quartieri periferici. La seconda dimensione è quella temporale, nel tentativo di costruire anche un piano dei tempi della città, dove la questione della desincronizzazione sia non solo una risposta alla crisi sanitaria ma un nuovo modo di vivere le aree urbane. L’idea che le attività lavorative e le attività di vita possano condividere gli stessi spazi è anche un modo per ripensare l’organizzazione temporale della città, i flussi di spostamento. Questa esigenza è resa pressante dall’emergenza sanitaria, ma una città più vivibile è un orizzonte auspicabile aldilà dell’emergenza.

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