PCT, vince il gioco di squadra: ecco che cosa ogni attore dovrebbe fare

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18 Gennaio 2016

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Paolo Lessio, avvocato partner dello studio legale Cislaghi Lessio associati

Nel 2016 il Processo Civile Telematico compie 10 anni dal primo deposito a valore legale ed esclusivo: il primo ricorso monitorio telematico è stato depositato ed emesso nel dicembre 2006 davanti al Tribunale di Milano. Da più di sei mesi la forma telematica è obbligatoria per la quasi totalità dei depositi da effettuare nelle procedure attinenti al contenzioso civile ed alle esecuzioni immobiliari.

Spesso (e a ragione) il Governo e i vari soggetti coinvolti in questo processo innovativo (Ordini Professionali, Enti Dottrinali ecc. ecc.) evidenziano la grande diffusione e i grandi vantaggi che “il nuovo processo civile” ha portato e porterà nell’amministrazione della giustizia e, in effetti, i numeri parlano chiaro; tuttavia, abbandonate le primissime pagine dei giornali e i comunicati stampa istituzionali, la realtà che emerge dai blog, dalle pagine specializzate presenti sui social network e, talvolta anche da alcune frange della stessa avvocatura è ben diversa.

Il PCT (così come viene familiarmente chiamato tra chi ama studiarne i principi) continua ad essere in qualche modo considerato ancillare rispetto al vero processo (anche se ormai non vi sono più confini tra la procedura civile e quella che un tempo veniva chiamata informatica giudiziaria) e tale erronea convinzione emerge a più livelli compromettendo la possibilità (ma forse sarebbe meglio parlare di opportunità) di far emergere l’efficienza latente che questo sistema porta con sé: insomma il PCT è diffuso ma non decolla.

Usciamo subito da un equivoco: gli strumenti per fare bene ci sono e funzionano. PEC e firma digitale, anche se rigidi e ormai datati, sono strumenti che consentono di garantire la solidità giuridica degli atti del processo con certezza del tempo del deposito ma, come sempre, l’efficienza tecnologica non è, da sola, sufficiente a rendere fruibile un sistema, specie quando si tratta di questioni tecnicamente complesse come quelle processuali.

Insomma, quel che l’utente medio percepisce è che, a più livelli, la resistenza al cambiamento sta compromettendo i risultati di un’idea che potrebbe davvero rivoluzionare la Giustizia Civile riportando il nostro paese nell’interesse dei mercati internazionali per investimenti e imprese.

Pur senza pretesa di verità o di completezza vediamo, di seguito, quali criticità e quali spunti ciascuno dei soggetti coinvolti dovrebbe affrontare per recuperare fruibilità ed efficienza.

Il Legislatore

Tra tutti, il legislatore è il soggetto che ha il compito più importante e, certamente anche quello più difficile: emanare le norme che regolano il PCT. E’ evidente che l’obsolescenza tecnologica e le competenze trasversali rendono l’atto di legiferare in materia particolarmente difficile, ma è anche vero che spesso il legislatore è stato totalmente insensibile a tali intrinseche difficoltà contribuendo a creare un sistema farraginoso, frammentario e disorganico. Una rapida rassegna delle norme in materia evidenzia, in primo luogo, il fatto che il Legislatore non ha mai completamente affrancato il proprio pensiero dalla carta : ne sono testimonianza l’attuale utilizzo della nota di iscrizione a ruolo, retaggio amministrativo degli anni ’90 che non ha alcun valore giuridico e che, ciononostante, trova ancora applicazione in tutte le procedure e la permanenza di un istituto ormai privo di senso come la c.d. spedizione in forma esecutiva del titolo (retaggio ancora attuale del Codice Napoleonico). In seconda battuta si rileva poi una scarsa lungimiranza nella scelta degli strumenti informatici da utilizzare : all’epoca del cloud e dello SPID il PCT resta agganciato ad una tecnologia ormai superata (e solo italiana) come quella della PEC (che peraltro, in molti casi, può essere usata come destinazione delle notifiche verso i soggetti privati solo se attiva, diversamente bisogna tornare alla carta) introdotta poco più di quattro anni fa e di cui si sente già l’esigenza di rottamazione. Per legiferare a meglio in materia il legislatore dovrebbe forse affidarsi alle migliori competenze tecnologiche (anche visionarie, se del caso) e avere un maggiore fiducia nella capacità di adattamento e affidabilità degli altri operatori

La Magistratura

In un contesto in cui molti sono i magistrati che hanno capito le potenzialità del PCT e ne sfruttano appieno le funzionalità promuovendo tra i colleghi l’uso degli strumenti, ancora troppi sono coloro che si arroccano dietro a posizioni di principio e tentano di sabotare il cambiamento. L’incondizionata richiesta delle c.d. copie di cortesia e i rinvii punitivi mettono infatti a dura prova la sostenibilità del sistema. Se infatti è evidente che non si possa chiedere a nessun magistrato di esaminare a video atti di più di 30 pagine è anche vero che la maggior parte dei contenziosi vede memorie che non superano le 15 pagine (e spesso sono molte meno) e, a ben guardare, l’uso dei link ipertestuali negli atti, rende l’atto telematico più fruibile del fascicolo cartaceo a tutto vantaggio delle decisioni. Spesso poi vengono alla luce provvedimenti che tradiscono una certa superficialità nell’interpretazione delle norme e un inutile rigore formale. La magistratura è uno dei pilastri su cui si fonda la giustizia sostanziale e un maggiore impegno nell’esplorazione delle potenzialità del telematico e nello studio delle nuove norme porterebbe certamente maggiore stabilità giurisprudenziale e consentirebbe uno sviluppo concretamente funzionale ad alleggerire il carico di lavoro dei magistrati a tutto vantaggio della Giustizia.

L’Avvocatura e gli Ordini

L’avvocatura, ad oggi, è forse la categoria che ha speso più energie nel processo innovativo e ha dimostrato di poter gestire il cambiamento spendendo, in prima persona, la propria professionalità e anche le proprie risorse economiche. In questo contesto gli Ordini professionali si sono trovati ad essere oggetto di richieste di assistenza, strumenti e formazione da parte degli iscritti e, nella maggior parte dei casi, sono riusciti a gestire il cambiamento anche e soprattutto facendosi parte attiva nella costruzione di un confronto continuo con gli altri operatori del processo (magistrati e cancellieri). Ad oggi però molte sono le realtà locali dove gli avvocati sono rimasti abbandonati a sé stessi nella scelta dei fornitori e nella formazione e forse proprio in questi contesti è nato un movimento molto attivo nel chiedere il ritorno al cartaceo. Ad ogni modo l’avvocatura continua e deve continuare ad affrontare il cambiamento con coraggio e professionalità anche se forse una maggiore coesione e proattività delle istituzioni maggiormente rappresentative potrebbe indurre le istituzioni a prendere in maggiore considerazione la voce dell’Avvocatura.

Gli operatori di cancelleria

Ad oggi i cancellieri sono quelli che hanno forse avuto i vantaggi maggiori dall’introduzione del PCT. Nelle cancellerie dove i magistrati sono più versati nell’uso degli strumenti telematici si sono ridotti (e a volte completamente eliminati) gli spostamenti dei fascicoli e pian piano si riducono anche gli accessi degli avvocati nelle cancellerie spostando così l’attività di assistenza tradizionale verso una lavoro di back office maggiormente professionalizzante. Ad oggi dunque i cancellieri hanno la possibilità di confrontarsi con le nuove operatività che di recente sono state introdotte di cui la principale è il c.d. ufficio del processo.

Il PCT insomma sembra ormai aver travalicato i confini della sfida tecnologica ed è diventato un’occasione di miglioramento per tutti gli operatori del diritto. Non resta che la speranza, per il futuro, che siano tutti in grado di cogliere tale opportunità.

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