Trasformazione PA, ecco i tre pilastri del modello che coinvolga tutti
La trasformazione digitale della PA passa necessariamente attraverso un significativo processo di coinvolgimento degli stakeholder e una chiara ed efficiente governance, fattori che nel nostro Paese ancora non si mostrano con l’adeguata evidenza. Gestione del cambiamento, governance, competenze sono le tre parole chiave. E’ quanto emerso dal Cantiere Cittadinanza Digitale
11 Maggio 2016
Nello iacono, Stati Generali dell'Innovazione
Il percorso di evoluzione del tema della cittadinanza digitale, come è stato definito e delimitato nei lavori del tavolo del Cantiere “Cittadinanza Digitale”, avviato da FPA, verte su alcuni “temi architetturali”:
- la normativa (ed in particolare il CAD) deve contenere solo principi, proprio per accompagnare nel tempo la trasformazione digitale di una realtà complessa come la pubblica amministrazione;
- Spid deve essere interpretato come architrave per la realizzazione di grandi portali pubblico-privati, e non un grande “single sign-on”, opportunità di sviluppo e non semplice chiave di accesso;
- l’architettura di delivery dei servizi deve tener conto del cambiamento profondo che può realizzarsi sul modello servizi, perché con il digitale “non c’è necessità di prossimità di territorio” come afferma Michele Benedetti del Politecnico di Milano, e rispetto al quale deve essere indirizzato il tema di quali servizi deve realizzare direttamente la PA e per quali, invece, deve solo fornire dati e interfacce ai servizi per la realizzazione da parte dei privati;
- la centralità dell’utente-cittadino, intorno al quale devono essere costruiti i servizi, considerando esigenze e modalità di interazione;
- il cambiamento deve prendere la forma di una trasformazione sostanziale e profonda, evitando la digitalizzazione dell’esistente, perché la cittadinanza digitale richiede una PA che pensa digitale e quindi si reinventa sulla base delle nuove tecnologie.
La trasformazione digitale della PA, in quest’ambito, passa necessariamente attraverso un significativo processo di coinvolgimento degli stakeholder e una chiara ed efficiente governance, fattori che nel nostro Paese ancora non si mostrano con l’adeguata evidenza.
La chiave di volta appare prima di tutto la capacità di gestione del cambiamento, negli aspetti legati allo sviluppo delle competenze digitali, oltre che degli assetti organizzativi interni, della definizione e della leadership del percorso di cambiamento.
E nel percorso sono da considerare anche quelli che possiamo definire “temi strumentali”, fondamentali per rendere possibile il cammino di trasformazione, che sono da affrontare con rapidità e attenzione, come la sostenibilità finanziaria (facendo sì che i diversi soggetti collaborino per evitare ridondanze e massimizzare le sinergie, sia in ambito di Pon governance che di Pon Metro, ad esempio), il coinvolgimento dei privati e i modelli di gestione (sia dal punto di vista delle dimensioni organizzative che dei modelli di business), le politiche di procurement e l’adeguatezza del bilanciamento (ancora non adeguato nel nuovo Codice degli appalti) tra contrasto alla corruzione ed efficienza delle procedure in un campo molto dinamico come quello Ict (dove ad esempio l’acquisto dei servizi cloud deve seguire le formule tipiche di business di quel settore -freemium o a fasce di consumo- che mal si adattano alle norme del Codice degli appalti); il trasferimento di buone pratiche e quindi il riuso delle esperienze (riuso certamente fondamentale ma ancora con modelli da regolamentare).
Gestione del cambiamento, governance, competenze: è in questo quadro che si può ambire al ripensamento profondo della PA, a partire dal suo ruolo nello sviluppo del digitale.
Un ripensamento che passa anche, come si è accennato, dalla revisione del modello dei servizi dei servizi ai cittadini, e quindi della “necessità del disaccoppiamento fra back office e front office, con il front office limitato a dati e servizi (API) esposti che il mercato possa utilizzare per i propri servizi integrati di front end pubblico e privato” come afferma Andrea Nicolini di Cisis, dove l’autonomia organizzativa viene reinterpretata, garantendo coerenza nelle comunicazioni, nelle interfacce, negli standard, ma avendo cura a considerare le specificità territoriali (es. per dimensione).
Infine, è necessaria un’enfasi particolare verso la gestione del cambiamento, riconoscendo la complessità della trasformazione e anche, conseguentemente, l’importanza dell’attuazione di un processo di partecipazione che includa sia i momenti di progettazione sia quelli di monitoraggio, e quindi si basi sui principi di trasparenza e accountability (strettamente connessi ed entrambi indispensabili per creare le condizioni di un coinvolgimento efficace). Soltanto così è possibile assicurare un governo complessivo e condiviso della trasformazione, e affrontare per tempo, con chiarezza e in modo aperto le difficoltà inevitabili che si incontreranno nei grandi programmi infrastrutturali come Spid e Anpr, confrontandosi nel merito anche sui problemi da superare e facendo sì che i ritardi possibili (“l’Anpr non sarà completata prima della metà del 2018” prevede Nicolini) siano affrontati precocemente e in modo condiviso con i diversi stakeholder.
E questa è la forza, insostituibile, dei processi partecipativi.