PA 2.0, una metafora utile in tempo di crisi

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“Quelli che con una bella dormita passa tutto… anche il cancro, oh yes!” cantava nel 1975 un ispirato Enzo Jannacci in una ballata passata alla storia. Il verso mi torna in mente ascoltando tanti discorsi di esperti e politici che parlano di come uscire dalla crisi. In realtà, a quel che dicono, la panacea ci sarebbe: basterebbe avere fiducia, essere ottimisti, pensare positivo…insomma una bella dormita! Temo che le cose siano invece un po’ più complicate e che la fiducia non cresca come erba spontanea dei campi, ma vada pazientemente coltivata.
Proviamo allora, ancora una volta nel nostro orticello e con tenace caparbietà, a fare un esercizio per capire come può e deve cambiare la PA perché questa fiducia nasca e metta radici. 
Questa volta lo faccio aiutandomi con una parola di moda che è insieme anche una metafora di quel che voglio dire. il “web 2.0” [1]

3 Febbraio 2009

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Carlo Mochi Sismondi

Articolo FPA

“Quelli che con una bella dormita passa tutto… anche il cancro, oh yes!” cantava nel 1975 un ispirato Enzo Jannacci in una ballata passata alla storia. Il verso mi torna in mente ascoltando tanti discorsi di esperti e politici che parlano di come uscire dalla crisi. In realtà, a quel che dicono, la panacea ci sarebbe: basterebbe avere fiducia, essere ottimisti, pensare positivo…insomma una bella dormita! Temo che le cose siano invece un po’ più complicate e che la fiducia non cresca come erba spontanea dei campi, ma vada pazientemente coltivata.
Proviamo allora, ancora una volta nel nostro orticello e con tenace caparbietà, a fare un esercizio per capire come può e deve cambiare la PA perché questa fiducia nasca e metta radici. 
Questa volta lo faccio aiutandomi con una parola di moda che è insieme anche una metafora di quel che voglio dire. il “web 2.0” [1]

Propongo quindi con forza la nascita di una “PA 2.0.

A FORUM PA 2009 un’intera sezione espositiva e congressuale sarà dedicata ai servizi on line per i cittadini e al nuovo modo di concepire il servizio pubblico. Vai allo Zoom Amministrare 2.0.

Ma che vuol dire al di là del cavalcare uno slogan? 
Due sono gli aspetti che questo mio neologismo vuole esprimere: il primo e più evidente sarà spiegato punto per punto nel prosieguo dell’articolo e si basa sull’assunto che una PA che vuole fiducia deve imparare da un approccio collaborativo basato sulla fiducia; il secondo punto è più semplice, ma altrettanto importante: quando noi utenti di informatica della prima generazione aspettavamo la versione 2.0 di un software, dopo infinite e in genere deludenti versioni 1.xx, non ci aspettavamo qualche piccolo miglioramento, ma una rivisitazione dalle fondamenta che, imparando dall’esperienza di noi utenti, ci proponesse un qualcosa del tutto nuovo e fatto proprio come ci serviva…non c’è bisogno di aggiungere altro.

L’esame puntuale sarebbe il tema di un lavoro ben più corposo che non un editoriale, ma ci tengo a mettere in chiaro sommariamente alcuni punti, anche perché saranno il fil rouge del prossimo FORUM PA di maggio (11-14 maggio).  PA 2.0 vuol dire infatti applicare alla PA alcuni paradigmi di base del web 2.0  e provare a vedere se l’esercizio funziona e ci aiuta a dissodare il giardino dove nasce la fiducia, ingrediente base di qualsiasi ricetta per uscire dalla crisi.

Su Saperi PA gli approfondimenti su Pa Digitale e Web 2.0

Tentiamo:

  • Il potere di valutare è dato all’utente: è questo forse il più evidente tra i principi del web 2.0 ed è il primo che cerchiamo di applicare alla PA che vorremmo. Come il nuovo web costruisce le sue gerarchie e la reputazione delle sue informazioni e dei suoi attori sul giudizio informato degli utenti (ad esempio con il social rating, ossia l’attribuzione di importanza/rilevanza/valore ad un’informazione da parte di chi la legge) così la PA 2.0 deve permettere ai cittadini di esprimere facilmente e intuitivamente il loro giudizio sui servizi pubblici che adoperano. La proposta di Brunetta dell’uso degli emoticons (vedi la presentazione del piano e-gov 2012 alla pagina 32)  ne è una traduzione semplice e immediata che meriterebbe forse una maggiore attenzione. Ma dare al cittadino il potere di valutare vuol dire anche dargli le informazioni in modo chiaro e confrontabile così che ciascuno possa scegliere. Qualche tempo fa avevamo riassunto questo impegno nella cosiddetta “Carta di Belluno” cui hanno aderito molti Enti locali e che ci sembra proporre un approccio semplice, ma non banale alla rendicontazione sociale.
    Un’altra importante conseguenza che deriva da una PA che dia spazio alla valutazione dei cittadini è il riconoscimento del merito. Il mancato riconoscimento del merito e la non promozione dei talenti sono peccati originali della società italiana ingessata e fondata sulla cooptazione: aprire la porta alla libera valutazione dei cittadini vuol dire fare entrare aria nuova.

  • Sfruttare l’intelligenza collettiva e rompere la barriera tra chi sa e dà informazioni (soggetto attivo) e chi non sa e impara o si informa (destinatario passivo dell’informazione). La caratteristica maggiormente segnalata nel web 2.0 è appunto quella di basarsi sui contenuti creati dagli utenti e di mettere in piedi un continuo accrescimento della conoscenza tramite un lavoro collaborativo. La famosa e ipercitata Wikipedia è un fenomeno di questo genere e di straordinario successo, cui lavorano centinaia di migliaia di volontari che accettano regole comuni. Cosa può insegnare l’uso dell’intelligenza collettiva alla PA? Prima di tutto che nessuno conosce il proprio territorio meglio di chi ci vive, nessuno conosce le caratteristiche necessarie per i servizi pubblici meglio di chi li usa, nessuno conosce i processi amministrativi meglio di chi nella PA lavora con competenza. Dare spazio e fiducia a questi saperi, anche interni, ci schiude una miniera inesauribile. Come cito spesso riportando Taijchi Ohno (Toyota) “Le risorse umane sono qualcosa al di sopra di ogni misurazione. Le capacità di queste risorse possono estendersi illimitatamente quando ogni persona comincia a pensare”. Una PA 2.0 è quindi un’amministrazione che ascolta, un’amministrazione che si fida.
  • I dati come tessere di puzzle sempre nuovi: è la caratteristica che i tecnici chiamano “remixability” che permette in ambiente web 2.0 di prendere pezzi di informazioni e ricomporli per costruire nuovi documenti in forma anche automatica. Ad esempio pensiamo alle informazioni RSS o ai feed che ci mettono a disposizione un “agente” che ci tiene informati, nei campi di nostro interesse, di tutto quel che succede in rete. La PA 2.0 può assumere da questa funzione il paradigma dei dati che girano intorno all’utente. Dopo anni che ne parliamo questo obiettivo non è stato ancora raggiunto, ma è a portata di mano: è già possibile pensare ad un “cruscotto” in cui ciascun cittadino abbia sotto controllo tutti i dati che le amministrazioni centrali e locali possiedono su di lui, dalle multe al suo fascicolo sanitario. Caratteristica essenziale perché la remixability funzioni è che i dati siano “pubblici” o almeno regolati secondo i diritti “Creative Commons”: un punto chiave quindi della PA 2.0 è quello di mantenere “pubblici”, e quindi a disposizione di tutti, i dati pubblici, ovviamente nel rispetto della privacy e della sicurezza.
  • La nascita del “prosumer”: figura mista tra consumer e producer rispecchia la nuova interattività del web 2.0. Nel nuovo contesto " i mercati sono conversazioni": con la Rivoluzione Digitale si assiste infatti nella new economy all’evoluzione da consumatori passivi … a prosumer attivi (vedi la definizione di prosumer su wikipedia). Per esempio, Amazon.com si è affermata come azienda leader nell’ e-commerce – in parte grazie alla sua abilità di costruire relazioni con i clienti basate sul dialogo piuttosto che sulla vendita del singolo prodotto. Amazon supporta lo scambio di informazioni fra i clienti; offre spazio per contribuire al suo sito nella forma di recensioni di tipo librario. La PA 2.0, sulla stessa lunghezza d’onda, promuove l’abbattimento della barriera tra chi fornisce servizi e chi ne fruisce e si configura, quindi, come una “amministrazione condivisa” che facendosi forte del dettato costituzionale (Art. 118 u.c. “ Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”) scardina il “paradigma bipolare” che vuole da una parte l’amministrazione come unica fonte sia di potere che di prestazioni e dall’altra i cittadini amministrati (clienti, assistiti, pazienti, ecc.) comunque soggetti passivi dell’intervento pubblico.
  • La necessità del lifelong learning ossia di un apprendimento che dura tutta la vita non è una caratteristica solo del web 2.0, ma di tutta la nostra società “liquida” che rivoluziona conoscenze e paradigmi con una velocità impensabile sino a qualche decina di anni fa. Una PA 2.0 non può quindi che essere un’organizzazione basata sulla formazione continua, sulla circolarità della conoscenza, sulla sperimentazione.

Moltissime altre sarebbero  le caratteristiche da esaminare e proporre (magari provateci voi), ma l’esercizio è già chiaro. Un’ultima cosa, però, è importante: nel web 2.0 il mercato ha premiato con grandi fortune delle grandi idee (pensiamo ai due ragazzi di Google): anche qui qualcosa da imparare c’è. Certo è difficile immaginare un innovatore della PA che diventa ricco con un’idea, ma forse premiarlo, almeno con un miglioramento nella carriera e nello stipendio che riconosca il merito, sarebbe fondamentale per non farlo sentire, in fondo in fondo, un po’ stupido.


[1] se non sapete cos’è il web 2.0 vi conviene leggere la definizione su wiki e gli articoli lì citati, soprattutto quello dell’inventore del termine Tim O’ Reilly

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