Smart health: l’innovazione necessaria

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La popolazione invecchia e aumenta la spesa sanitaria pubblica: solo per quella collegata ai “servizi di lunga assistenza” si stima una crescita di circa 6 miliardi l’anno di qui al 2060. Nello stesso periodo, puntare sulle tecnologie digitali potrebbe significare risparmiare sino a 6,9 miliardi di euro l’anno senza ridurre i servizi. In questo contesto “la tecnoassistenza è una scelta necessaria, tanto che sarà inserita all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza”, ha commentato il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, intervenendo il 23 febbraio scorso all’incontro organizzato da FPA, con il sostegno non condizionato di Fondazione MSD. Ripensare in digitale il sistema socio-sanitario è dunque un’occasione di trasformazione essenziale per rispondere alla nuova domanda di salute e promuovere dinamiche virtuose di crescita economica.

2 Marzo 2016

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Redazione FPA

Ripensare in digitale il sistema socio-sanitario significa scommettere su servizi più efficienti e trasparenti, su nuovi modelli di cura a misura di paziente, su risparmi di lungo periodo per il sistema sanitario; allo stesso tempo, significa investire in un mercato che può fare da volano allo sviluppo economico del Paese. Una scommessa che in Italia siamo pronti a giocare? Se ne è parlato nel corso della mattina di lavori organizzata il 23 febbraio scorso da FPA con il sostegno non condizionato di Fondazione MSD, durante la quale grandi aziende dell’ICT, come IBM, e del mondo sanitario e Start up di eccellenza (Vree Health, Axélero), si sono confrontate con il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, Istituzioni (rappresentanti del Governo e dell’Istituto Superiore di Sanità) ed esperti sul processo di trasformazione digitale del nostro sistema salute.

“Nel settore della sanità e del welfare dobbiamo programmare oggi con un occhio a quello che avverrà tra qualche anno, quando avremo una società con più persone anziane e malati cronici – ha commentato il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, intervenendo al convegno –. In questo contesto la tecnoassistenza è una scelta necessaria, tanto che sarà inserita all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza. Già oggi ci sono esperienze avanzate in diverse Regioni. Immaginiamo poi cosa si potrà fare in futuro grazie alle tecnologie. E se è vero che la sanità digitale ci farà risparmiare circa 6 miliardi di euro l’anno, soprattutto ci farà guadagnare il triplo in termini di servizio reso”.

Ma quali sono i principali passi da compiere? “La sanità digitale in Italia soffre oggi della stessa frammentazione che caratterizza tutto il sistema sanitario nel nostro Paese – ha sottolineato il Ministro Lorenzini sistemi informativi ad esempio sono differenti tra Regione e Regione, a volte anche tra azienda ed azienda. Col ‘Patto per la sanità digitale’ abbiamo sancito la necessità di avere un unico linguaggio digitale. Ma dobbiamo andare oltre, soprattutto sul tema dei dati, un grande patrimonio che però non riusciamo ancora a mettere a sistema. La parola d’ordine è standardizzare i processi: avere a disposizione i dati e poterli confrontare e analizzare a livello nazionale è fondamentale. Pensiamo solo a dati come il numero preciso di malati di diabete, oppure i risultati derivanti dall’adozione di un nuovo farmaco, o ancora il numero di cesarei effettuati nelle diverse strutture o il numero di ore che intercorrono prima di un intervento per la rottura del femore: dati fondamentali per la definizione dei LEA, per le politiche del farmaco, per valutare non solo la spesa delle diverse strutture ma anche la loro qualità”.

Come ha sottolineato Federico Gelli, Membro della Commisione Affari Sociali della Camera dei Deputati: “L’innovazione tecnologica è una grande opportunità. Proprio per questo sono importanti iniziative come quella di oggi, che vuole dare voce alle competenze e alle professionalità del mondo delle imprese di innovazione tecnologica che operano nella sanità, portando così all’attenzione del Governo la visione delle eccellenze imprenditoriali nazionali sul tema in una proposta di pieno coinvolgimento, condividendo investimenti, rischi e successi.

Che la popolazione e, quindi, anche le esigenze di cura stiano cambiando lo confermano i dati, internazionali e nazionali. Secondo il rapporto 2015 “Ageing: Debate the Issues” dell’OCSE il 12% della popolazione mondiale ha più di 60 anni, nel 2050 la percentuale salirà al 21%: parliamo di 868 milioni di persone oggi, contro 2,4 miliardi nel 2050. A livello italiano, il Bilancio Demografico Istat, presentato nel giugno scorso, parla di un Paese con una popolazione sempre più vecchia (età media 44,4 anni) e con un inesorabile crollo delle nascite (-12mila nati rispetto al 2013). La popolazione anziana (65 anni e oltre) è pari al 21,7% del totale (quasi un punto percentuale in più rispetto al 2011) e quella di 80 anni e più è arrivata nel 2014 al 6,5%. E secondo il Report Istat “Il futuro demografico del Paese: previsioni regionali della popolazione residente al 2065” (dicembre 2011) nel 2050 gli ultra 65enni in Italia saranno il 33,1% sul totale.

Quanto peserà questo sulla spesa sanitaria? Più anziani significherà, per esempio, un maggior numero di persone con problemi di autosufficienza e malattie croniche e, quindi, una spesa maggiore per le voci di Long Term Care (LTC), ovvero “servizi di lunga assistenza” comprensivi di una componente sanitaria e di una di servizi socio-assistenziali. Secondo la Ragioneria Generale dello Stato[1] la componente sanitaria della spesa pubblica per LTC, nel 2014 pari allo 0,84% del PIL (12,2% della spesa sanitaria complessiva), nel 2060 raggiungerà l’1,26%, con un aumento di circa 6 miliardi di euro l’anno.

Oggi – ha ribadito Paolo Bonaretti, Consigliere Ministero dello Sviluppo Economico abbiamo aspettative di vita sempre più lunghe, che dovranno essere accompagnate da cure sempre più specifiche e tecnologicamente più evolute. E pensare a uno sviluppo dell’assistenza senza la sanità digitale sarebbe impossibile prima di tutto a livello di costi.

Il sistema sanitario deve riorganizzarsi e, soprattutto, deve farlo in modo sostenibile. E proprio dall’applicazione delle tecnologie digitali alla sanità potrebbero derivare risparmi per le casse pubbliche di 6,9 miliardi di euro l’anno, secondo le stime dell’Osservatorio Netics. Cifre simili arrivano dalla Ricerca dell’Osservatorio School of Management del Politecnico di Milano: l’adozione della cartella clinica elettronica consentirebbe risparmi fino a 1,6 miliardi di euro l’anno (in caso di dematerializzazione completa delle cartelle); la diffusione di servizi digitali per i cittadini (come il download dei referti via web, la prenotazione online di esami/visite o degli accessi al centro prelievi, anche tramite App e totem self service all’interno di strutture come farmacie e supermercati) permetterebbe un risparmio fino a 350 milioni di euro all’anno alle strutture sanitarie, e ben 4,9 miliardi di euro ai cittadini; infine importanti benefici si otterrebbero dai servizi web che consentono alle ASL e alle farmacie territoriali di gestire la distribuzione dei presidi di assistenza integrativa.

Grandi opportunità di risparmio, dunque, ma anche una più elevata qualità dell’assistenza. “I cambiamenti in atto nella nostra società, prima di tutto l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle malattie croniche, comportano la necessità di una risposta nuova da parte delle istituzioni – ha commentato Carlo Mochi Sismondi, Presidente di FPA – Bisogna avviare un percorso fortemente innovativo, in cui si passi dal concetto di curare a quello di prendersi cura, mettendo al centro la persona. In questo percorso le tecnologie digitali svolgono un ruolo ormai imprescindibile, come strumenti abilitanti per supportare la realizzazione di una nuova visione del rapporto tra cittadino e PA, in cui il cittadino è protagonista e non fruitore passivo di servizi”.

Quando parliamo di tecnologie per la sanità digitale, parliamo di un panorama davvero ampio, che include tra l’altro m-health (mobile health) e tecnoassistenza, ovvero tecnologie e soluzioni per il controllo a distanza dei pazienti, che aiutano anziani e malati cronici a vivere in autonomia nelle loro case, anche da soli: dai sensori per misurare la glicemia, ai software che ricordano di prendere la compressa, ai sensori indossati dai pazienti per un continuo check up e in grado di dare l’allarme in caso di emergenza; ma anche Online Health Communities (comunità digitali che mettono in contatto operatori della sanità e cittadini/pazienti).

Tutti ambiti ad alta intensità innovativa, in cui centrale è il ruolo della ricerca, di partnership pubblico privato e, non ultimo, di un contesto legislativo e regolatorio che incentivi l’adozione di sistemi assistenziali e di cura innovativi in grado di sfruttare a pieno le potenzialità offerte dalle tecnologie digitali.

Per promuovere in modo sistematico l’innovazione digitale è necessario – ha affermato Massimo Casciello, DG Digitalizzazione del Sistema Informativo Sanitario e della Statistica, Ministero della Salute – predisporre un piano strategico. Per questo è nato il Patto sulla sanita digitale: uno strumento per armonizzare e mettere a regime le iniziative già in essere e sperimentarne di nuove”.

Grazie agli sforzi dello Stato e delle Regioni degli ultimi anni, e all’Agenda Digitale – ha continuato Lino Del Favero, DG Istituto Superiore di Sanità – cominciano ad esserci le infrastrutture principali: fascicolo, prescrizioni, certificati. Adesso è possibile gestire bene i PDTA, i percorsi clinico-assistenziali: occorre partire da iniziative locali circoscritte e quindi ragionevolmente gestibili, ma con uno sguardo ad un percorso pluriennale complessivo, regionale, nazionale ed europeo”.

Strategia di lungo termine, partecipazione e collaborazione, coinvolgimento di tutti gli attori interessati: istituzioni, imprese, enti di ricerca, cittadini. Queste, dunque, le parole chiave per rilanciare il sistema sanitario vincendo la scommessa della sua trasformazione digitale. Una opportunità unica per recuperare il terreno perduto negli ultimi anni, in cui, secondo ’Euro Health Consumer Index’, siamo passati dal 15esimo al 22esimo posto (perdendo 7 posti) su 34, per la qualità percepita del sistema sanitario, in particolare sui temi della prevenzione, della gestione degli anziani e sulla capacità di proporre modelli assistenziali innovativi.

Per recuperare la competitività del sistema – ha sottolineato Fabio Pammolli, Presidente della Fondazione MSD – è fondamentale preservare e incentivare la capacità di innovare; capacità che è imprescindibile da politiche industriali e assetti regolatori capaci di stimolare processi di innovazione, con incentivi dedicati al finanziamento della ricerca scientifica, alla collaborazione fra Università e imprese, allo sviluppo di meccanismi di remunerazione premianti. Con riferimento specifico alla digitalizzazione in Sanità, di cui parliamo oggi, ritengo che la discussione e il confronto tra tutti gli attori protagonisti, e soprattutto le testimonianze concrete di imprese innovative e start-up, sia una importante occasione di condivisione di best-practice utile a capire dove siamo ma anche dove e come possiamo andare avanti”.

Per approfondimenti: l’articolo di Nello Iacono pubblicato sul Canale “Sanità digitale”


[1] “Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” (Rapporto n. 16, Settembre 2015)

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